mercoledì 3 febbraio 2021 - Osservatorio Globalizzazione

Diritto all’aborto tra nuovi divieti e aperture: come evolve in Europa e America

La questione dell’aborto è una delle maggiormente polarizzanti in diversi Paesi europei e del continente americano. Oggi Marco D’Attoma ci presenta le evoluzioni politiche e sociali in materia in diversi Paesi, che fanno emergere una forte divaricazione tra avanzamenti della facoltà di abortire concessi in alcune legislazioni e trinceramenti in senso opposto in via di sviluppo in altre. Segno di un dibattito non destinato a esaurisi a breve su scala globale.

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L’art. 3 della nostra Costituzione prestabilisce una eguaglianza, non solo formale, ma sostanziale tra i due sessi. Il sesso femminile è stato lungo la storia quello più sottomesso, segregato nella sfera privata familiare, e subordinato al cospetto dell’uomo, che invece ha mantenuto storicamente il ruolo che verrà definito in sociologia del breadwinner: i diritti che le donne possiedono oggi sono quindi il frutto di lotte decennali che hanno permesso loro il conferimento di diritti politici, sociali e civili.

Questo ovviamente per quanto riguarda la società occidentale. Però per alcuni aspetti la donna possiede assiomaticamente per natura degli svantaggi che dalla legge possono difficilmente essere colmati, e che arrecano ancora oggi degli oneri superiori alle donne rispetto agli uomini, e che a loro volta si tramutano in ingiustizie.

Per questo lo Stato italiano, ed in alcuni casi anche il legislatore europeo, si fa promotore di leggi che mirano a creare un burden-sharing tra uomo e donna, al fine di compensare questi svantaggi. Per quanto riguarda il periodo di gravidanza risulta però difficile prospettare una condivisione degli oneri tra uomo e donna, e questo influisce fortemente sui diritti sociali e civili. Per quanto riguarda i diritti sociali basti pensare al cosiddetto gender pay gap, che rende più svantaggioso per l’imprenditore assumere una donna per via del ‘’rischio’’ di una gravidanza, che si tramuterebbe in costi aggiuntivi per una impresa, e per questo motivo le donne ne risentono in termini di salario e di percentuali occupazionali.

Una delle lotte che ha alimentato maggiori discussioni negli anni ‘70 riguarda il tema dell’aborto, ovvero il diritto di una donna di interrompere preventivamente una gravidanza. Una battaglia che in Italia venne fortemente caldeggiata da parte dei Radicali, ai quali si deve la stesura della legge 194 del 1978. Se per la legge italiana abortire è un diritto civile, nei fatti non è proprio così a a causa di una considerevole maggioranza di ginecologi antiabortisti, riconosciuti dalla legge come obiettori di coscienza, ovvero che per motivi etici si rifiutano di effettuare ed incoraggiare tale intervento.

Ha fatto notizia il caso della giunta regionale di destra della Regione Marche che ha bloccato il conferimento della pillola abortiva Ru486, poiché a veduta loro, il calo della natalità, che rappresenta un problema consistente, porterebbe ad una sostituzione etnica.

In Italia, così come in altre parti del Mondo, bloccare la scelta dell’interruzione della gravidanza porta ovviamente una donna a rivolgersi ad alternative illecite e dannose. Le alternative si trovano spesso nelle cliniche private, per chi può permetterselo, o spesso ci si spinge nei campi nomadi, in condizioni igieniche precarie, senza il rispetto dei presidi sanitari. In alcuni casi queste carenze possono risultare fatali. Altre volte la scelta dell’interruzione della gravidanza può dipendere da altri fattori, come ad esempio il caso cinese, che con la politica del figlio unico da un lato obbligava questa pratica nel caso di una seconda gravidanza, dall’altro lato invece spingeva, soprattutto nelle aree rurali cinesi, ad effettuare l’aborto selettivo, ovvero nel caso in cui il futuro genito fosse stato di sesso femminile si sarebbe optato per l’aborto, o peggio ancora per l’abbandono del bambino alla nascita, per sperare di ottenere un maschio e portare avanti il buon nome della famiglia.

Nelle ultime settimane il tema è stato molto discusso in altri Paesi, favorendo nuove legislazioni, espansive o restrittive a seconda dei casi.

Polonia, le nuove regole sull’aborto fanno discutere

La Polonia è il Paese europeo, insieme all’Ungheria, che sta subendo una forte regressione in termini di diritti civili. L’ultima protesta di piazza ha convogliato migliaia di persone che sono insorte rispetto ad una sentenza della Corte costituzionale che è andata a rendere ancora più stringente la legislazione in tema di aborto. Con la legge attuale non sarà possibile abortire neanche nel caso in cui il feto dovesse rilevare delle malformazioni. Gli aborti legali nel Paese sono circa 2000, ma ovviamente molte donne ricorrono ad aborti illeciti recandosi all’Estero.

Honduras, un divieto rafforzato

Un altro caso di compressione del diritto di interruzione della gravidanza si è verificato nello Stato dell’Honduras, in America centrale, che come per la Polonia prevede un arresto di tale diritto. Il divieto in realtà era già previsto dal 1982, ma ultimamente è stato maggiormente rimarcato a causa della sua stesura all’interno della Costituzione, precisamente nell’art 67, che prevede inoltre una maggioranza dei ¾ dei parlamentari per poter emendare tale articolo. Quindi de facto è stata blindata questa previsione legislativa anche per il futuro.

Argentina, via libera all’aborto

In contrapposizione l’Argentina ha promosso una legislazione storica che permette l’interruzione volontaria della gravidanza, anche per motivi che non siano legati a malformazioni del feto o a concepimento a seguito di uno stupro. È stata la seconda volta che il Parlamento argentino ha discusso una simile proposta di legge, dopo che nel 2018 il Senato aveva rigettato una legge simile dopo l’approvazione della Camera. La legge è stata promossa al fine di evitare che le donne si sottoponessero ai metodi illeciti di interruzione, non perché contrari alla legge, ma perché potevano procurare dei danni alla salute.

USA, Biden cambia le regole

Un ultimo sviluppo si è avuto recentemente con la nuova amministrazione Biden, che in forte contrapposizione rispetto all’amministrazione Trump, ha deciso di bandire la Mexico City Policy, che vietava i finanziamenti pubblici alle ONG che praticano o promuovono informazioni in materia di aborto. La legge era stata voluta fortemente da Trump per favorire l’elettorato conservatore, ma con la stessa determinazione l’amministrazione Biden-Harris ha voluto mostrare un netto cambio di rotta rispetto ai diritti civili e ambientali.

La posizione della Chiesa Cattolica

Come è possibile immaginare, la Chiesa Cattolica rimane sulle sue posizioni su questo tema, e si è scagliata fortemente contro gli USA e l’Argentina per aver approvato queste leggi.

Un provvedimento che è stato definito come “contrario alla ragione, che viola la dignità umana ed è incompatibile con l’insegnamento cattolico”. Cosí la Chiesa Cattolica statunitense ha reagito all’ordine esecutivo di Biden, mentre l’arcivescovo Joseph F. Naumann di Kansas City e il vescovo David J. Malloy di Rockford hanno affermato cheÈ grave che uno dei primi atti ufficiali del presidente Biden promuova attivamente la distruzione di vite umane nelle Nazioni in via di sviluppo. Quest’ordine esecutivo è antitetico alla ragione, viola la dignità umana ed è incompatibile con l’insegnamento cattolico’’. Forse la Chiesa si è sentita tradita dal fatto che l’atto sia stato firmato proprio da un fedele cattolico, ma in realtà è dall’epoca di Reagan che i repubblicani approvano la Mexico City Policy e i democratici la abrogano.

Mentre la Commissione esecutiva della Conferenza episcopale argentina ha affermato che la Chiesa argentina continuerà a lavorare con fermezza e passione nella cura e nel servizio alla vita. Forse la scelta dell’Argentina ha comportato, ancor di più degli USA, un grave colpo alla Chiesa Cattolica, primo perché l’Argentina è adesso uno dei pochi Paesi con una legislazione pro-aborto, e secondo perché questo è il Paese di Papa Francesco. Proprio il Pontefice ha fatto sentire la propria voce in merito attraverso il proprio profilo Twitter, enunciando:

“La cultura della vita è patrimonio che i cristiani desiderano condividere con tutti. Ogni vita umana, unica e irripetibile, costituisce un valore inestimabile. Questo va annunciato sempre nuovamente, con il coraggio della parola e delle azioni”.

In conclusione, le posizioni della Chiesa sono ovviamente comprensibili, perché rimarcano la loro visione conservatrice in materia. Il Pontefice, seppur ha sempre mostrato di essere molto progressista rispetto ad altre questioni, che fino a poco tempo fa erano considerate intollerabili dalla Chiesa, si mantiene cauto in merito alla materia dell’aborto.

D’altra parte, invece è difficile invece arroccarsi su queste posizioni, che vengono viste, soprattutto dalle giovani generazioni, come qualcosa di arcaico e fuori dalla realtà. L’aborto va considerato un diritto civile ed una scelta della donna, purché sia una scelta consapevole. Questo si può affermare per diversi motivi: primo rispetto al fatto che è la donna la unica portatrice della gravidanza, quindi può sembrare giusto lasciarle l’ultima parola; secondo che nel difficile sistema attuale, aggravato dalla pandemia, risulta sempre più arduo conciliare la crescita di un bambino rispetto alla crescita personale e professionale, in relazione alle contingenze esposte nel Mercato del lavoro in termini di occupazione stabile e di carriera professionale. A spingere le donne a questo gesto non è la semplice pigrizia nel non voler portare avanti una gravidanza, ma il vedere la gravidanza come un peso, come un ostacolo rispetto ad un sistema che non garantisce una adeguata assistenza, e quindi blocca le prospettive del futuro. Quindi alla domanda ‘’come si potrebbero ridurre gli aborti leciti/illeciti, e permettere allo stesso tempo di non considerare una gravidanza come un peso?’’ la risposta potrebbe essere: garantire maggiore assistenza nel periodo preparto e postparto, stanziare maggiori fondi per l’occupazione femminile e garantire un maggiore dibattito pubblico affinché la scelta diventi consapevole, e non dettata da ragionamenti etici o da moralismi inutili.

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