lunedì 19 marzo 2012 - Glaros - scrittura creat(t)iva

Della possibilità del ’buon’ senso

Mentre qualche specifica presa di distanza sembra accompagnare le mie ormai rare esternazioni, forse a causa del fatto che, da qualche tempo, esse 'interessano' qualche area privilegiata e/o qualche suo più o meno titolato detentore, mi accingo a trattare un aspetto delle questioni che, a differenza di quanto potrebbe sembrare, pare confermarsi sempre più indifferibile, come avevo già tentato di chiarire fin dal mio primo intervento su AgoraVox.

La cosiddetta questione ontologico/ermeneutica, materia ufficialmente per addetti a quei lavori, dietro le quinte continua ad essere quella che permette di fondare più o meno a 'ragion veduta' una determinata visione del mondo. Al riguardo, l'antitesi più essenziale risulta quella fra un diffuso ed imperante relativismo delle interpretazioni sempre più 'spinto' ed in alcun modo fondabile e, sul 'fronte' opposto, la possibilità/necessità di una fondazione legittima del vero, nella quale ci si possa ancora sanamente ri-conoscere.

Non so se riuscirò nell'intento, ma spero che intanto debitamente ri-conosciuto possa risultare l'intento in 'materia' che mi prefiggo.

Come noto ai succitati addetti ai lavori, all'epoca dell'uscita del cosiddetto 'pensiero debole', si scatenò l'abituale ridda che Roland Barthes, con un'efficace immagine, chiamava la guerricciola fra caste intellettuali; un 'contenzioso' i cui strascichi sono giunti fino alla più recente fugace rivisitazione fatta da Umberto Eco nel suo Dall'albero al labirinto, 2007.

 All'epoca del lancio Carlo Augusto Viano, in Va pensiero, 1985, aveva sarcasticamente bollato, insieme al resto dei fumosi deboli argomenti quello, giustamente ritenuto contraddittorio, relativo all'auspicio di una nuova ontologia che i "flebili", come Viano li chiamava, avanzavano parallelamente alla loro 'debolezza'. Del resto Gianni Vattimo, cui spetta senz'altro la paternità del conio, in tempi più recenti ha ritenuto di sposare le tesi dell'Italia dei Valori che, come tali (tesi e valori), non dovrebbero di certo esimersi dal rappresentare idee chiare e distinte in materia. A meno, beninteso, di qualche reinterpretazione dello Scilipoti di turno, interpretazione a suo dire tuttavia non comprensibile dai comuni mortali...

Negli Scritti di un'altra follia, recensiti qui dall'amico Damiano Mazzotti, 'liquidavo' a mia volta la questione dei deboli, auspicando al contrario l'esigenza di quella che definivo una "riflessione forte e chiara", un pensiero critico dunque che non permettesse ai 'su(p)ponenti' di turno di gestire gli argomenti a loro esclusivo uso e consumo.

La storia recente non pare abbia mancato di confermare al contempo l'assenza e l'esigenza di 'chiarezze'; tuttavia le varie implicazioni di quel diritto mite auspicato da Gustavo Zagrebelsky, forse in parziale sintonia con le italiche 'debolezze', hanno fino ad oggi impedito di rilanciare la 'giocata'. Sì perché, come qualche altro filosofante non mancò di farci notare, pare che tutto sia comunque Per gioco, (cfr. Dal lago/Rovatti, 1993), ancorché poi la posta di quel gioco sia ben più alta di quanto possa a prima vista sembrare, interessando appunto, oltre che la nostra stessa vita, quel sostrato ontologico di cui però solo una fetta privilegiata dei più o meno liberi popoli detiene la più 'consona' conoscenza.

Come, spesso comprensibilmente incompreso, tentavo già di argomentare creat(t)iva-mente negli articoli degli anni scorsi, per essere dunque all''altezza' del contraddittorio, occorre comprendere il senso di certi cortocircuiti, mentali e non, uno spesso criptico doppio senso che, solo ove sia colto, ci permette di rispondere sullo stesso piano di certi suoi altolocati presunti detentori. Quando dunque si siano percepite la stratificazione, ma anche la coincidenza di certi argomenti e delle loro cose, ecco che, nel fumoso contesto, incominciano ad apparire immagini del mondo via via più nitide e, come tali, riproponibili in tanto in quanto esse ne possono rappresentare un'eventuale visione alternativa e non solo una comoda rendita di posizione.

Quanto sopra detto, fatta salva l'inevitabile complessità della materia unica di cui si tratta, risulta a tutti gli effetti la sola possibilità di poter intendere e gestire in modo sano il binomio potere/democrazia. Il resto continua a rimanere 'materia' per le caste di cui sopra. Ad un primo kratologico sondaggio sulla fondabilità della verità storica, provvedo intanto a lasciare una provvisoria 'sentenza'.



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