venerdì 27 settembre - Laura Tussi

“Dare senso al tempo, camminare nella libertà”. Con prefazione di Carlo Maria Martini

“Dare senso al tempo, camminare nella libertà”. Il Decalogo tra etica, cinema, letteratura, filosofia e differenze di genere. Il senso della festa nel contributo di Laura Tussi all’opera curata da Pierpaolo Frigotto e introdotta dal card. Martini

 

Elaborare un punto di vista originale sui dieci comandamenti, un punto di vista non soltanto religioso, ma anche laico e legato alle differenze di genere, coniugato, cioè, al maschile e al femminile. È quanto si è proposto di fare il progetto, realizzato
all’interno del polo liceale «Guarino Veronese» di San Bonifacio (Verona), dal titolo: Camminare nella libertà. Il Decalogo tra etica, cinema, letteratura, filosofia e differenze di genere. Ne è scaturita un’opera corale pubblicata dalla San Paolo nel 2012, curata da Pier Paolo Frigotto e introdotta dal card. Carlo Maria Martini, il grande biblista, arcivescovo emerito di Milano.
“Il Decalogo – ricorda il curatore – inizia nella Bibbia con una frase d’importanza decisiva per la comprensione di ciò che va a proporre:
«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Esodo 20,1;
Deuteronomio 5,6). Le singole direttive contenute sono una conseguenza dell’azione liberatrice di Dio. In altre parole, Dio dice al
suo popolo: io ti ho liberato dalla schiavitù, ora ti affido dieci regole per restare libero e non ricadere in essa. Ti do i
dieci comandamenti, le dieci leggi della libertà. Il fine del Decalogo,lo scopo che Dio si propone consegnando agli
uomini i dieci comandamenti è uno solo: la libertà”.

Afferma il Concilio Vaticano II: ‘Mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà e intanto sorgono nuove forme di schiavitù sociale e psichica’. Ma che cos’è la libertà? È necessario chiederselo perché quotidianamente si è posti di fronte a una concezione sbagliata di essa che spesso produce l’opposto di quello che persegue e promuove: una libertà distruttiva e irresponsabile, capace di scuotere le fondamenta della società umana. Si tratta di una questione cruciale. La Veritatis splendor di Giovanni Paolo II
individua proprio nella libertà il cuore cui vanno ricondotti “i problemi umani più dibattuti e diversamente risolti nella riflessione morale contemporanea”, consapevoli che “non si dà morale senza libertà”. E non esiste libertà senza morale, di conseguenza. Su che cosa si intenda per libertà, oggi si misurano due concezioni. La prima la identifica come facoltà primaria della condizione umana. Secondo
questa visione, essa non dipende che da se stessa, è autoreferenziale, soprattutto è libera da qualsiasi verità, percepita come condizionamento o costrizione. Una seconda concezione vede invece la libertà come facoltà dipendente dalla ragione e dalla volontà. Essa agisce alla luce della verità sulla quale si misura con un atto razionale e volontario. È questa la libertà che Dio, Essere libero,
vuole per l’uomo fatto a sua immagine e partecipe della sua libertà”.

I comandamenti sono stati letti con il contributo di autorevoli esperti esterni di riconosciuta levatura culturale: Olinto Brugnoli, Ferdinando Camon, Paolo Dal Ben, Marco Dal Corso, Giorgio Erle, Marco Gay, Giulio Giorello, Barbara Mapelli, Raffaele Masto, Cettina Militello, Emilio Pasquini, Giuseppe Pellizzaro, Damiano Rizzi, Martino Signoretto, Piero Stefani, Laura Tussi, Marco Vannini,
Maria Beatrice Zanotti.

Commenta il card. Carlo Maria Martini nella sua introduzione: “Impressiona per la sua vastità il progetto “Decalogo oggi. Un cammino di libertà”. Impressiona anche per il numero degli autori e la loro autorevolezza, per la collaborazione attiva di giovani studenti e per l’intreccio tra etica, cinema, letteratura, filosofia. Questi undici volumi sono il segno che le «dieci Parole» (così sono chiamati i comandamenti dal popolo che li ha ricevuti, gli ebrei) contengono un significato enorme, per ogni epoca, e che sono alla radice di ogni serio pensare la vita.

Nell’era della Net Generation, dove tutto sembra dover scorrere alla velocità del «tempo reale», pensare un’opera di undici volumi, lasciare che maturi come un frutto nel susseguirsi di tante fasi, sapere che è intrisa della pazienza e dell’attesa di tante persone, fa onore alla Parola. L’intreccio di tante luci su ciascuno dei comandamenti rende quest’opera meritevole di uno sguardo attento e appassionato, di un tocco leggero, come davanti a un’opera d’arte”.

Riportiamo di seguito il contributo all’opera della nostra Laura Tussi

Il significato sociale del momento festivo (di Laura Tussi)

“La festa come microcosmo comunitario”
La festa è un microcosmo variegato con un certo grado di complessità per le varianti culturali, antropologiche e tradizionali in essa comprese. Risulta un momento della vita sociale di durata variabile, che interrompe la sequenza delle normali attività quotidiane, contrappo- nendovisi come periodo di particolare effervescenza. La festa si caratterizza, rispetto al resto del tempo, per l’interruzione del lavoro produttivo, manifestando opposizione al sistema costituito e vigente attraverso i momenti dell’eccesso, della trasgressione e dell’infrazione di norme e divieti precostituiti, dell’inversione, dello spreco e della distruzione.

Quali sono, nella cultura borghese e nell’attuale struttura economica capitalistica, il significato, il valore e la funzione della festa? Qual è, che cosa significa e quali modalità assume in esse la categoria del festivo?

La prima indicazione viene data come termine di una antinomia: festivo è il tempo del non lavoro, il tempo improduttivo, il tempo sottratto allo sfruttamento, ma che il piano del capitale recupera attraverso l’organizzazione del «tempo libero». Festivo è quindi il tempo da dedicare al consumo, il tempo per le compere, il tempo per andare al cinema, il tempo per coltivare un hobby. Un tempo, in ultima analisi, illusoriamente libero, in realtà altamente condizionato e organizzato.

Tempo feriale e tempo festivo vengono così a essere, nel sistema capitalistico avanzato, fortemente strutturati come parti integranti del meccanismo produttivo che separa — e separando istituzionalizza e controlla — il momento della produzione da quello del consumo.

Se il consumo è dunque la forma alternativa al lavoro, e poiché il lavoro si contrappone al festivo, allora il consumo sarà la sostanza stessa della festa.

Questo, che potrebbe apparire semplicemente come un sillogismo, può fornire una chiave di comprensione del complesso meccanismo di costruzione ideologica del capitale avanzato e delle forme diffuse del consenso che esso tende a raccogliere. Nella cultura contadina il piano festivo non era affatto distinto dal momento produttivo, non era necessariamente separato dal lavoro. Il periodo della vendemmia, quello della mietitura, della raccolta delle olive, momenti del ciclo produttivo della vita contadina, erano tutti inscindibilmente legati ad altrettanti momenti di festa, almeno lo erano fino a che la struttura capitalistica non si è imposta anche nelle campagne.

In questi casi il lavoro si caratterizza come «festivo» non solo per i suoi aspetti di opera collettiva indirizzata concretamente a cogliere i frutti di un’annata di fatiche: è festivo anche perché si ha socialmente da spartire con tutta quanta la comunità una parte della produzione. Per questa stretta connessione tra festa e lavoro non è difficile individuare, nelle società agricole del mondo arcaico, istituti di festa che, nati dal vivo contesto produttivo, ne assumessero alcuni momenti come elementi fondanti la festa stessa e ne celebrassero le ricorrenze annuali.

Tali furono sicuramente tutti quegli istituti festivi connessi alle emergenze agricole stagionali. È nell’attuale assetto capitalistico che la «festa» risulta incompatibile con il momento produttivo, anzi si definisce in opposizione ad esso: non può esservi momento di festa se non nel tempo di non lavoro. Giustamente Angioni distingue ulteriormente fra tempo non lavorativo e tempo libero. Non tutto il tempo non lavorativo si identifica con il tempo libero. Esiste infatti un «tempo necessario», utile alla mera rigenerazione della forza lavorativa ed esiste un tempo libero oltre le esigenze per la sopravvivenza.

Dentro una società rinnovata dall’etica del profitto e ispirata a una mentalità razionalista, doveva necessariamente ridursi lo spazio consentito alla festa.

“La festa come luogo dell’anima”


Attualmente risulta avvertibile nel tessuto sociale, nella gente, un ripensamento, una volontà: l’esigenza di recuperare il valore popolare del momento festivo, per esempio tramite istituti e associazioni dove si svolgono attività e si approntano «laboratori di creazione e animazione» dell’esistenza umana, rivolti al recupero storico, ambientale e culturale del territorio, spaziando in iniziative artistiche e culturali, finalizzate a occupare collettivamente il tempo libero e a renderlo fruibile, proprio perché vissuto in condivisione con gli altri, come tempo festivo e comunitario, non più individualistico e privato, ma avulso dagli alienanti ingranaggi di mercato che la società occidentale impone.

In tal modo il popolo sta cercando di recuperare spazi e ambiti ricchi di senso; riportando e riconsegnando al presente, attraverso una rieducazione del collettivo «al recupero della memoria», i valori insiti nel mondo contadino, tramite l’approfondimento delle proprie radici storiche, della propria identità culturale, a livello individuale, locale e globale (nazionale). Ciò implica la ricerca di valori liberatori, veri e autentici, da riapplicare nel contesto sociale attuale, per ricreare e riappropriarsi di contenuti significativi. L’istituto festivo è la riaffermazione e al contempo la negazione dell’ordine sociale esistente, in un mondo che riproduce il tempo della vita quotidiana per affermarlo, negarlo e infine migliorarlo. È un locus conclusus, uno spazio/tempo, un luogo dell’anima, un «ambiente magico» dove si partecipa a un lavoro di preparazione svolto collettivamente. Come sostiene il filosofo russo Bachtin, il momento celebrativo del rito ha rapporto con gli scopi superiori dell’esistenza umana: la rinascita, il cambiamento, il rinnovamento, la rigenerazione.

Il Carnevale, festa popolare per antonomasia, racchiude in sé il principio comico, l’espressione ridanciana, lo scherzo, il riso del popolo (come nell’opera di Rabelais) nella totale liberazione dalla serietà gotica, per aprirsi a una nuova concezione libera e lucida tipicamente rinascimentale. Il Carnevale, come ogni festa popolare, presenta diversi linguaggi espressivo-comunicativi schietti e genuini, appunto comico-carnevaleschi, compresi nel realismo grottesco, un sistema di immagini tipiche della cultura comica popolare, in cui l’elemento materiale e corporeo, positivo, universale, proprio dell’insieme del popolo, si oppone al totale distacco dalle radici materiali del mondo, i cui simboli sono la fertilità, la rinascita, la crescita in abbondanza. Il «basso materiale e corporeo» è la terra, il grembo materno, la placenta primigenia, l’origine a cui tutti devono tornare a far riferimento per poi svincolarsi assumendo coscienza del sé, recuperando la memoria personale, la propria storia di vissuti, suffragando così l’indipendenza e la maturità: questo è il compimento del festivo. Ogni esperienza è un parto che fa assumere all’uomo responsabilità, trasformandolo da figlio/allievo in tutore/generante.

“La festa tra regole, trasgressione e mito”
Secondo Freud, in *Totem e tabù* (1913), la «festa è un eccesso permesso, anzi offerto, l’infrazione solenne di un divieto», essenzialmente una trasgressione legittimata delle regole, delle norme, dei tabù religiosi. Egli mette così in evidenza il carattere codificato, controllato e, in definitiva, repressivo dell’apparente libertà festiva e quindi la funzionalità alla conservazione dell’equilibrio sociale di quegli «sfoghi» ed «eccessi» legittimati che Marcuse identificherà come «desublimazione repressiva».

Tale aspetto repressivo risulta, probabilmente, più accentuato nel contesto attuale che in passato, in rapporto alla progressiva confusione tra festa e vacanza, i cui sfoghi ed eccessi sono divenuti sempre più funzionali alla produttività, al consumismo esasperato e all’alienazione dell’uomo in identificazioni sostitutive, che apparentemente lo allontanano dai suoi reali problemi.

Roger Caillois, in *Théorie de la fête*, considera la festa un intermezzo di confusione universale in cui l’ordine cosmico è soppresso, ricalcando le orme di Eliade nel *Mito dell’eterno ritorno*. Con apparente paradosso egli ha cercato di individuare il corrispettivo moderno della festa nella guerra, come tempo dell’eccesso, della violenza, della distruzione, dello spreco, della sospensione e trasgressione di ogni norma corrente del vivere Ecco il testo corretto:

In Caillois si avverte l’insegnamento degli antropologi francesi Durkheim e Mauss, secondo cui il fenomeno festivo è un’occasione per il gruppo di riscoprire le proprie origini, in un recupero periodico della propria storia, dove la comunità rifonda se stessa e trova la propria ragion d’essere. Afferma Antonino Buttitta: «Così come ogni anno, all’approssimarsi dell’inverno, la natura muore, anche il tempo può morire. Tutto ciò però non accade al di fuori della volontà degli dèi e degli uomini. Se essi lo vogliono, la natura rinasce, il tempo consumato si rigenera e ricostruisce».

Il festivo è considerato come una generazione periodica del tempo, mediante la ripetizione simbolica della cosmogonia, dell’atto della creazione. Con il ricordo dell’evento mitico e la ripetizione di esso, il rito rivive e recupera l’evento rifondatore, separandolo in illo tempore, in un passato fuori dal tempo. Infatti, secondo Cardini, l’uomo «prelogico» non teme il tempo ciclico della ripetizione, del ritorno a se stessi, alla propria storia, in senso rigenerativo, ma il tempo lineare che prevede una fine, un annullamento nichilistico. In Eliade, la ripetizione, l’«eterno ritorno» è concepito come recupero di modelli, archetipi, azioni esemplari fondati da eroi o santi civilizzatori, in una valorizzazione metafisica dell’esistenza umana perché connessa a radici trascendenti.

L’opposizione tra tempo festivo e tempo normale partecipa della dialettica sacro-profano, per cui la festa risulta periodo di elezione finalizzato alla celebrazione di riti sacri. Accentuando, appunto, la presenza rituale, con i corrispettivi modelli mitici — miti cosmogonici, miti dell’età dell’oro — Eliade interpreta l’istituto festivo come il momento apicale, in cui la comunità rivive il «caos», stadio di indifferenziazione originaria, e ricrea il «cosmo», l’ordine, e anche studiandolo e interpretandolo, irrazionalisticamente, come spia di un preteso desiderio, attribuito al cosiddetto «uomo arcaico», di negare il tempo profano per attingere al tempo sacro delle origini.

La vita arcaica è dunque immersa nella sacralità e anche nella «ripetizione» ciclica del rituale, del mito cosmogonico, caratterizzante l’ontologia dell’uomo «prelogico» — o meglio «arcaico» —, con la funzione di segregare, isolare la temporalità dell’evento esemplare festivo, mitico e separarlo dalla realtà quotidiana, dal trascorrere lineare del tempo. Quindi, per Eliade, il sacro si esprime in forme tutte legittime presso i più svariati popoli, perciò risultano illogiche le lotte confessionali e i particolarismi. In una prospettiva filosofica fenomenologica, egli astrae l’istituto festivo dal contesto storico globale, inserendolo in una prospettiva a-storica, in cui il tempo sacro, contrapposto al tempo profano ordinario, è concepito quale occasione di suprema liberazione e catarsi dai limiti della condizione esistenziale per raggiungere l’assoluto. L’antropologia storicista, invece, considera la festa in stretto rapporto funzionale con l’aspetto profano dell’esistenza, perché conclude e riapre il ciclo normale del tempo del lavoro, concentrando il sacro nell’ambito del rituale, permettendo, nel restante tempo, di essere liberi per l’attività profana.

“La festa come nascita, crescita, morte e risurrezione”
Il rito celebrato nei giorni di festa proietta la vicenda quotidiana del gruppo in una prospettiva a-storica, in illo tempore, per reintegrare la comunità nella sua realtà economica, sociale e storica. La festa scandisce, nelle popolazioni contadine, le fasi del calendario agricolo che sono state inglobate dal cristianesimo nella liturgia, nella scansione liturgica dell’anno, insieme ai rituali arcaici precristiani, rigenerando, così, e dando nuovo significato al senso del sacro.

Il calendario liturgico agricolo racchiude la metafora pedagogico-educativa, con il recupero del senso ciclico di rinnovamento di ogni vita nella celebrazione dell’evento festivo. Il solstizio d’inverno sancisce la nascita, il Natale, l’avvento del Cristo portatore di luce, di vita nuova, dopo il rigore dell’inverno, della morte nel caos primigenio.

L’equinozio di primavera è la risurrezione, la rinascita, il cambiamento, la transizione «a vita nuova», il trapasso a una diversa esistenza, rigenerante e ricreativa, con la stagione primaverile.

L’estate con le sue messi comporta la crescita di quanto si è seminato.
La verifica del seminato avviene in autunno con la vendemmia e la raccolta di frutti, periodo in cui nuovi semi cadranno nel terreno o verranno trasportati dal vento in altri «giardini» e forse lì daranno vita a nuovi germogli di cui altre persone, magari sconosciute, trarranno giustamente profitto. Il seme rimarrà in incubazione tutto l’inverno per germogliare ciclicamente con il nuovo anno.

Trasportando metaforicamente questi aspetti in ambito educativo, l’educatore trasmette seminando valori e significati, pur non sapendo quale frutto darà il seme, se riuscirà a germogliare o morirà sopraffatto dalla gramigna o dalle intemperie.

“La festa tra sacro e profano nell’attuale società occidentale”
Nella festa sussiste un’organizzazione e scansione sociale del tempo contrapposto al tempo individualizzato odierno. Nell’attuale società occidentale orientata al consumo di passatempi e beni effimeri, privi di valori autentici, in una prospettiva evasivo-compensativa ed edonistica, il tempo libero risulta afinalizzato, privo di occasioni per la formazione integrale dell’uomo, in una deviazione cronica estetizzante e individualistica.

I mass media occupano il tempo libero costringendo all’individualismo l’ambito che prima era vissuto collettivamente, tramite la festa popolare, sublimazione istintiva delle capacità comunitarie. «La festa come tempo festivo è un modello gnoseologico che implica come condizione la collettività e l’autoaffermazione nell’esperienza festiva».

Il rituale sacro della festività, come anche il popolo che lo approntava e celebrava, è ormai scomparso dalla società contemporanea di stampo occidentale, assorbito ed espropriato dal tempo quotidiano libero, partorito dal sistema produttivo capitalistico. Risulta un tempo privato — non più collettivo e comunitario come quello festivo — individualistico, spesso occupato e manipolato dai mass media.

Nel contesto occidentale attuale il tempo libero è autoamministrato, non speso in senso comunitario e collettivo, ma appartiene all’uomo come momento psicologico nei luoghi solitari, personali e remoti della psiche (solitudine, individualismo). Per questo motivo si verifica una crisi nell’associazionismo e nel collettivo: la personale identità dovrebbe invece essere risocializzata e partecipata. Il rituale festivo è in crisi perché viene meno il popolo che lo celebrava, per l’assenza di una classe sociale portata alla condivisione di valori e ideali comuni e comunitari, improntati su rivendicazioni contro un’espropriante logica consumistica e capitalistico-produttiva.

Il popolo del festivo in Occidente è stato travolto dalla rivoluzione industriale, dallo sviluppo tecnologico, dall’alienazione, dall’eclissi del sacro. Si avverte un fenomeno presente da tempo, ormai consolidato: la mancanza di comunità. Esso si manifesta con la scomparsa della famiglia estesa, la riduzione di momenti comunitari all’interno del nucleo familiare, la difficoltà, soprattutto nelle grandi città, di «vivere il quartiere» e di praticare scambi sociali in luoghi di ritrovo per il tempo libero o nello svolgimento di pratiche confessionali (oratorio, chiesa) o politiche (partito). Nel contesto sociale contemporaneo occidentale mancano luoghi «epifanici» di manifestazione di una presenza comunitaria e solidale, dove si celebrino riti collegati alla quotidianità, per attribuire senso e significato autentici all’esistenza nell’arco della giornata. Si avverte la necessità di un cambiamento profondo nella società, che recuperi l’alleanza tra individui e il buon funzionamento di gruppi e istituzioni, al fine di accompagnare l’esistenza con la dimensione del festivo.

Laura Tussi su FARO DI ROMA

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Bibliografia essenziale:

  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altr*



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