martedì 11 maggio 2021 - David Lifodi

Dal Brasile alla Guyana per il diritto all’aborto

Brasil de Fato ha raccontato le storie di donne costrette a passare la frontiera, soprattutto dagli stati confinanti, perché la legge brasiliana permette il ricorso all’aborto solo in pochi casi e proliferano le cliniche clandestine dove vengono utilizzate tecniche rudimentali e molto pericolose.

 

Foto: Fernando Frazão/Agência Brasil, ripresa da https://www.brasildefato.com.br/

In Brasile il diritto all’aborto corre lungo la frontiera: in Guyana è un diritto, mentre nel più grande paese dell’America latina prosperano le cliniche illegali che utilizzano tecniche rudimentali. A raccontarlo è un documentato reportage di Brasil de Fato, dal titolo Quando a linha de fronteira decide se as mulheres sobrevivem ou não ao aborto, a cura di Martha Raquel, che ricorda i soli tre casi in cui è possibile ricorrere all’aborto in Brasile: gravidanza indesiderata a seguito di uno stupro, rischio di vita della gestante e anencefalia del feto.

Primo paese sudamericano a interrogarsi sull’urgenza di depenalizzare l’aborto, nel 1971, solo pochi anni dopo che l’Inghilterra aveva approvato l’Abortion Act nel 1967, oggi la Guyana è scelta da molte donne brasiliane intenzionate ad abortire e provenienti soprattutto dagli stati di frontiera perché l’interruzione volontaria della gravidanza avviene tramite modalità sicure.

In Brasile quasi 5 milioni di donne tra i 18 e i 39 anni sono ricorse almeno una volta all’aborto, ricorda Brasil de Fato, raccontando la storia di una adolescente che, grazie alla disponibilità economica della famiglia, si era recata in Guyana perché nel Roraima, lo stato confinante dove risiedeva, non aveva accesso all’aborto legale, sicuro e gratuito del Sistema Único de Saúde (SUS).

Tuttavia, scrive Martha Raquel, il caso dell’adolescente è uno dei pochi terminati a lieto fine perché gran parte delle donne è costretta a ricorrere a cliniche clandestine dove gravi emorragie sono all’ordine del giorno. In Guyana l’aborto è stato legalizzato nel 1995 e permette l’interruzione volontaria della gravidanza fino alla 12° settimana, oltre ai casi in cui si prefiguri un rischio per la salute o addirittura per la vita della donna e la linea di frontiera che la separa dal Brasile assume un significato di particolare importanza.

In Brasile sono almeno 1.500 le donne che ogni giorno scelgono di percorrere la strada dell’aborto, ma se lo fanno aldifuori dei tre casi previsti dalla legge vanno incontro alla detenzione da uno a tre anni insieme a coloro che le aiutano a farlo illegalmente. La fonte di Martha Raquel ha precisato che oggi gode di un buon lavoro e sottolineato che ha potuto portare a termine i suoi studi, ma non sarebbe stato in grado di farlo se non si fosse presentata la possibilità, insieme alla disponibilità economica della famiglia, di recarsi in Guyana.

Lo stato del Roraima, da dove proviene la ragazza che ha raccontato la sua storia a Brasil de Fato, è in prevalenza conservatore con una forte presenza di comunità evangeliche. Secondo il Núcleo de Mulheres de Roraima, che fa parte dell’Articulação de Mulheres Brasileiras, nel Roraima, come in tutto il paese, gli evangelici fondamentalisti si fanno scudo della loro contrarietà all’aborto per criminalizzare le donne.

Le femministe sottolineano inoltre che, soprattutto nei casi in cui i casi di aborto clandestino sono resi pubblici, le donne coinvolte, in maggioranza povere e nere, con un basso reddito e già impegnate a mantenere famiglie numerose, finiscono per essere abbandonate a se stesse e messe alla gogna, ribadendo al tempo stesso il diritto, soprattutto per le minorenni, di vivere serenamente la loro infanzia e adolescenza.

Gran parte di queste storie, almeno fino al 2018, sono state raccolte sul sito web Somos Todas Clandestinas, che è anche il titolo di un libro pubblicato in Brasile nel 2016 in occasione del Dia da Descriminalização do Aborto in America latina e Caribe.




Lasciare un commento