lunedì 23 marzo 2020 - Enrico Campofreda

Covid-19, primi due casi nella Striscia di Gaza

Lo divulga un servizio lanciato da Al Jazeera: il Covid-19 è penetrato a Gaza. Le autorità sanitarie, per bocca del ministro della Salute Youssef Abulreesh, hanno individuato due pazienti con evidenti sintomi (febbre e tosse secca) che sono stati posti in quarantena. 

Sono palestinesi che tornavano dal Pakistan entrando dal confine di Rafah. I quaranta chilometri della Striscia, dove vivono in altissima densità due milioni di gazawi, presenta annose criticità, già dall’epoca dei ripetuti attacchi militari israeliani, dalla criminale operazione denominata “Piombo fuso” (2008-2009) alle successive: “Margine di protezione” (2014) e oltre. Tali attacchi hanno deliberatamente e ripetutamente distrutto i servizi igienici (rete fognaria) e i già carenti servizi sanitari, impedendone la ricostruzione col rigidissimo embargo reiterato nel tempo. Così Gaza presenta un’ampia fascia della popolazione che vive in case tuttora disastrate o in abitazioni precarie che, in una fase in cui la pandemia del Coronavirus impone isolamento e distanza, risulteranno inadeguate per evitare i contagi. Le autorità politiche hanno presente la triste realtà, ma possono fare poco. Fra l’altro le ragioni sanitarie s’aggiungono a quelle d’un ferreo controllo militare dei confini, Israele sta cancellando tutte le autorizzazioni per farli attraversare anche ai pur limitati soggetti che svolgono attività lavorative fuori dalla Striscia. Fra costoro i visti di medici e infermieri vengono esaminati caso per caso. La preoccupazione è elevatissima, e la chiusura di scuole e luoghi pubblici già attuata da giorni pur in assenza di casi, non attenua l’allarme. Ora che il virus s’è affacciato si tratterà di limitarlo. Il problema maggiore, come peraltro in tutte le situazioni di alta densità abitativa e di stazionamento sotto lo stesso tetto, è rappresentato dalla mancanza di spazio dove far vivere la gente per evitarne i contagi. I centri di quarantena dislocati a Rafah, Deir al-Balah e nella parte meridionale di Khan Younis potrebbero non essere sufficienti al possibile aumento di persone infette. Inutile ribadire come tutti gli strumenti riguardanti l’assistenza e la terapia intensiva come ventilatori polmonari e simili, che in queste settimane risultano deficitari anche in qualche ospedali di alcune località italiane, a Gaza diventano solo un sogno. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ribadito che la situazione in quel territorio è assolutamente insufficiente già alla normale assistenza per la popolazione, figurarsi davanti a una pandemia.

Enrico Campofreda 




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