venerdì 4 agosto 2023 - Libero Gentili

Cosa ci resta da negare?

Negare gli errori umani, è “umano”. Una operazione che si innesca quotidianamente nei comportamenti, nelle scelte di ognuno di noi perché se così non fosse, la vita di ognuno sarebbe costellata di rimorsi, di pentimenti, di incertezze; insomma, una sorta di paralisi verso il futuro della nostra vita biologica.

Ma purtroppo, sempre meno, siamo consapevoli che la vita biologica è solo una componente dell’individualità che ci appartiene; l’altra, la vita psicologica, non si fa scorgere così palesemente come possono farlo un malanno, un attentato alla incolumità personale ma, a nostra insaputa, individua immediatamente le scelte contingenti da mettere in atto sulla base della memoria che possiede, sulla base di esperienze passate. Che siano coscienti, queste, o meno.

La cultura del nostro tempo, se volessimo "individualizzarla", si comporta esattamente come fa ognuno di noi. Tende a cancellare ciò che è passato; anche essa per legittimare la sua attualità. Ma ci sfugge sempre più il fatto che siamo esseri storicizzati, lo siamo a partire dal nostro primo giorno di vita extrauterina, così come è storicizzata la cultura e la società nella quale viviamo.

Così come fa il nostro futuro personale, il quale è in attesa di scelte e comportamenti sulla base della memoria, o delle memorie precedenti, altrettanto fa il futuro della società e della cultura, nel momento in cui decidiamo, per facilitare il ragionamento, di "individualizzarla". Ma questo concetto oggettivato, che è la società presente, si comporta né più, né meno come fa ognuno di noi: nega. Altrimenti come potrebbe auto legittimarsi?

La negazione è un complicato procedimento di difesa; lo si mette in atto consapevolmente il più delle volte, ma spesso è la psiche profonda che lo fa per noi nella misura, credo, di quanto grave possa essere quella cosa da negare.

Lo ha fatto la storia della chiesa cristiana, ad esempio, cancellando tutti gli orrori commessi nell’antichità ai danni dell’essere umano in quanto tale, quindi di “non necessariamente cristiano”, gettandoli nel dimenticatoio e, qualora venissero rammentati e/o rimproverati da qualche critico, quella auto-legittimazione, cui accennavo sopra, porta ad una sola difesa: quella era un’altra epoca, quindi un’altra cosa.
Ma, mi chiedo, se siamo in presenza di “due cose diverse”, allora dov’è la continuità teologica, la quale rappresenta il cardine di ogni confessione religiosa?

Non diversamente fa la politica, o le politiche dei tempi attuali. Ci si stanno presentando tante previsioni, le quali assomigliano più a presagi che ad auspici, i quali vengono ignorati o, quando non se ne può fare a meno, negati con un semplicismo sconcertante del tipo “duepiùduefaquattro”. Esattamente come prendere a calci in culo la storia della nostra cultura, le scienze sociali, la ricerca scientifica e quant’altro.

Il negazionismo è una parola che è entrata a far parte del nostro vocabolario negli anni novanta. È una forma di revisionismo storico che nega la veridicità di avvenimenti della storia passata. Ma, sostanzialmente, al di là della definizione da dizionario, si tratta di un’altra forma di difesa necessaria per l’auto legittimazione.

Nel nostro paese, l’Italia, ma anche nella maggior parte delle nazioni del mondo è diventato scomodo consideraci come esseri storicizzati.
La storia si può leggere in almeno due modi: come curiosità per la semplice conoscenza di fatti avvenuti in passato – e questo è il modo in cui viene, quando viene, insegnato nella scuola - e l’altro più pertinente, come strumento per scelte e comportamenti futuri. Ma anche in quest’ultimo caso, essa può essere letta e interpretata o secondo una logica imparziale, oppure dal proprio, personale punto di vista.

Perciò, o si dimentica facilitati dal fatto che le nuove generazioni non sanno un bel niente di ciò che è avvenuto ieri, o si nega. Dovremmo essere sollevati per il fatto che questa è diventata una strategia mondiale? Quindi mal comune mezzo gaudio?

La rivista online che viene pubblicata in India, e che seguo con attenzione, The Quint, ha pubblicato questa mattina un interessante articolo, dal titolo: Bawaal. "Usa l'Olocausto come espediente della trama, solo per prendere in giro la tragedia”. È proprio questa lettura che ha ispirato le mie riflessioni.

Bawaal è un film prodotto da Bollywood che racconta la storia di un personaggio, Ajay, un insegnante “egocentrico e ossessionato dall'immagine di una piacevole ma ignorante Nisha [la sua compagna] e del loro tumultuoso matrimonio che viene salvato da, che ci crediate o no, un viaggio in Europa, precisamente nei luoghi della seconda guerra mondiale”.

“L'intero film è un tentativo di trarre lezioni di vita dalla guerra, ma il problema è che sono tutte lezioni sbagliate... L'Olocausto è stato paragonato alla "guerra interna" che Ajay combatte; Hitler è equiparato all'avidità umana e l'intera guerra mondiale viene utilizzata come espediente della trama per far riflettere i due personaggi sui propri difetti”.

“Sebbene la prima metà sia in qualche modo sopportabile, con il progredire del film, sono diventato [scrive l’autore dell’articolo Jhalak Jain] sempre più a disagio, frustrato e completamente deluso dalla sua insensibilità. Alla fine, sono rimasto solo incredulo”.

In sostanza, dalle critiche che sono state fatte, il film Bawaal si presenta come una commedia romantica ridicola, completamente slegata da qualsiasi buon senso o logica interna.
Quando i due personaggi arrivano in Europa, il film diventa una “lezione di storia” sulle atrocità della seconda guerra mondiale, le quali vengono brevemente presentate in sequenze banali e insipide.
Ma la cosa peggiore è che il film ignora ogni verità difficile e dolorosa che abbiamo imparato e continuiamo a imparare dalla seconda guerra mondiale, riducendo così tanta sofferenza in una lezione morale artificiosa su come dovremmo accettare i difetti l’uno dell’altro e imparare a perdonare.

Prendiamo, ad esempio, la visita dei due personaggi alla casa di Anna Frank, un lampante esempio di insensibilità. Dopo aver saputo della sua storia durante il periodo nazista, Ajay, il protagonista, chiede a Nisha, la sua compagna, come avrebbe trascorso il suo ultimo giorno.
A cui lei risponde che vuole vestirsi, sedersi in un bar e bere birra. La tentazione di evocare sentimenti di “carpe diem” e “vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo”, soffoca rispetto e consapevolezza del contesto in cui la scena è ambientata.

E, in particolare, una delle critiche al film è degna di nota: “a nessuna commedia romantica - nessun film in generale, in realtà - dovrebbe essere permesso di farla franca paragonando seriamente gli amanti che litigano a Hitler, o confrontando i problemi coniugali con il genocidio degli ebrei ad Auschwitz.
E per quanto questo possa sembrare cupamente divertente a molte persone, banalizzare l'Olocausto in questo modo è esattamente ciò che vogliamo evitare, specialmente nel clima globale di oggi”.
 (Sito A Good Movie To Watch).

Insomma, anche questa è una forma di negazionismo, anche se di tipo idiota, perché in hindi la parola Bawaal significa “commozione” un sentimento evidentemente non riferito alla storica sofferenza di milioni di esseri umani, ma al sentimento romantico che quella commedia suscita.

Ma oggi la gente comune sa distinguere tra ciò che è patimento amoroso e ciò che è sofferenza di milioni di esseri umani?
Dite di si?

Io dico di no. Lo dimostrano gli incassi del film e le numerose critiche positive che si leggono su internet.




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