lunedì 14 dicembre 2020 - Riccardo Noury - Amnesty International

Commercio di strumenti di tortura: occorrono regole più rigide

Il 9 settembre 2020 a Bogotá, la capitale della Colombia, Javier Ordoñez è stato fermato dalla polizia per una presunta violazione dei divieti anti-Covid19. Gli agenti lo hanno bloccato a terra e lo hanno colpito per circa cinque minuti con una pistola elettrica. L’uomo è morto poche ore dopo in ospedale a causa dei traumi contusivi riportati.

In Arabia Saudita un detenuto etiope di nome Solomon ha riferito ad Amnesty International di essere stato colpito con scariche elettriche dal personale penitenziario dopo che si era lamentato per l’assenza di cure mediche. Ecco la sua testimonianza:

“Se ci lamentiamo, ci colpiscono con qualche strumento elettrico fino a svenire. È come quando tocchi qualcosa di elettrico con le dita. Ti lascia segni rossi sulla pelle. A quel punto, per paura che lo rifacciano di nuovo, non protestiamo più e restiamo calmi”.

Questo invece è il racconto di un detenuto del Burundi:

“Ci hanno colpito per 20 minuti sulla schiena, sulle natiche e sui piedi. Erano in sei e si davano il cambio. Per una settimana ho avuto difficoltà a camminare. I miei piedi erano così gonfi che non riuscivo neppure a mettermi le scarpe”.

Alla vigilia di un vertice di alto livello delle Nazioni Unite sui “commerci di tortura”, Amnesty International e Omega Research Foundation hanno chiesto in un rapporto pubblicato oggi di agire con urgenza per vietare le vendite globali di materiale che serve a infiggere dolori e ferite lancinanti e per assicurare che strumenti destinati alle forze di polizia per il controllo dell’ordine pubblico non finiscano nelle mani di chi se ne servirà per commettere violazioni dei diritti umani.

Dopo oltre 30 anni dalla sua messa al bando – denunciano le due associazioni – la tortura continua a essere usata, spesso con esiti mortali, nelle prigioni e nei luoghi di detenzione di ogni parte del mondo. Che senso ha proibire la tortura e permettere al contempo i commerci di strumenti realizzati appositamente per torturare come manganelli chiodati o ceppi per le gambe?

Il vertice in programma alle Nazioni Unite coinvolge 60 stati membri dell’Alleanza per un commercio libero dalla tortura che ha l’obiettivo di esplorare modalità per regolamentare i commerci globali di equipaggiamento destinato alle forze di polizia per il controllo dell’ordine pubblico.

Per aiutare questo processo, Amnesty International e Omega Research Foundation hanno diffuso un “Quadro di riferimento per un commercio anti-tortura”, che illustra i passi essenziali che gli stati dovrebbero intraprendere per regolamentare in modo efficace le vendite di strumenti per il controllo dell’ordine pubblico e l’esecuzione di condanne a morte.

Tra questi, il divieto di commerciare prodotti di per sé destinati a compiere violazioni dei diritti umani come i bastoni acuminati, le cinture elettriche e i ceppi per le gambe.

Altri due passi importante dovrebbero essere il divieto di commerciare materiali per l’esecuzione delle condanne a morte come cappi e sedie elettriche e l’introduzione di robusti controlli sui prodotti farmaceutici a doppio uso affinché non siano utilizzati nelle esecuzioni mediante iniezione letale.

Si dovrebbe poi evitare che fiere commerciali e siti Internet promuovano tutta una serie di prodotti per le forze di polizia che di per sé danno luogo a violazioni dei diritti umani: congegni elettrici collegati al corpo di un prigioniero e attivabili da remoto, ceppi per le gambe dal peso aumentato, strumenti di contenzione per tenere un prigioniero bloccato contro una parete, manganelli chiodati, bastoni elettrici, pistole stordenti, guanti e materiali per la cattura che rilasciano scariche elettriche.

Particolare attenzione, infine, dovrebbe essere rivolta a quelle forze di polizia che usano equipaggiamento e armi fuori dalle strutture detentive in modi che possono costituire maltrattamenti e torture: proiettili di plastica e di gomma e di altro tipo potenzialmente letale che hanno causato gravi ferite e anche la perdita della vista; l’uso gratuito e punitivo di sostanze chimiche irritanti come lo spray al peperoncino nei confronti di persone che non costituivano alcuna minaccia; e l’uso massiccio di gas lacrimogeni in luoghi ristretti.

 




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