venerdì 22 maggio 2020 - Carmelo Musumeci

Carcere: la vendetta della giustizia

Un buon giudice disse: “Le migliori medicine contro il male sono l'amore e le attenzioni”. Qualcuno gli domandò: “E se non funzionano?” Lui sorrise e rispose: “Aumenta le dosi”.

 
Quanto male si fa in nome della giustizia o della sicurezza sociale?
In più di un quarto di secolo di carcere, qualche volta ho pensato che i “buoni” sono peggio dei cattivi. Solo che la loro cattiveria non la chiamano crudeltà, ma la chiamano giustizia. Credo che molti confondano la giustizia con la vendetta, ma spesso questa non solo è inutile ma è veramente una maligna spirale di odio.
 
Sul ritorno in carcere di alcuni boss mafiosi rottamati, in disuso, anziani e malati, ho letto in rete dei commenti di persone contente di questa decisione. Non capisco cosa ci sia da essere contenti se la legge li aveva messi fuori, ma forse il mio senso di giustizia è diverso da quello della gente comune, perché penso che i morti non chiedano vendetta, credo piuttosto che questa la vogliano i vivi. Dopo tanti anni lo spirito di vendetta è ingiustificato nei confronti di persone che nel mondo criminale non contano più nulla.
 
In questi giorni abbiamo visto che l’attenzione politica e mediatica si è concentrata su vecchi dinosauri condannati per la mafia del passato, invece di cercare i nuovi spavaldi mafiosi del presente. Si è persino criticato l’operato della magistratura di sorveglianza, che ha solo rispettato la legge e la Costituzione.
 
A chi farà comodo che questi vecchi boss muoiano in carcere? Non lo so. Penso che forse farà comodo ad alcuni politici, o ai nuovi boss che da anni hanno preso il loro posto. Credo che la vendetta non renda migliore né chi la prova né chi la subisce. E inoltre si fa un favore alla cultura mafiosa. Perché la legittima. E così sembra che la mafia vinca sempre anche quando perde, perché la vendetta moltiplica il male, anche quando viene giustificata in nome della giustizia. Ovviamente se uno commette un reato deve pagare per la gravità di quel reato commesso, ma certo non si deve arrivare alla vendetta o alle condanne esemplari perché non servono a niente (accanirsi contro uno non purifica la società dalla delinquenza).
 
Nelle carceri andrebbero garantiti i diritti fondamentali delle persone e salvaguardata la dignità, altrimenti, se insegnano durezza, avremo in cambio solo persone aride. Se le carceri sono solo luoghi di frustrazione e tortura, è certo che non faranno diventare le persone migliori. Credo che far morire in carcere un ex boss, vecchio e malato, anche se ben curato, ma lontano dai familiari, sia una sconfitta per la giustizia e per le vittime stesse e, come se non bastasse, sia un favore alla mafia, perché in certi ambienti cancerogeni molti di questi mafiosi una volta defunti passeranno da eroi.
 
In tutti i casi penso che quello che debba far inorridire non sia tanto la notizia che alcuni boss siano usciti per motivi di salute ma, soprattutto, il fatto che siano stati messi alla gogna mediatica quei magistrati che hanno rispettato una legge dello Stato.


1 réactions


  • Persio Flacco (---.---.---.38) 23 maggio 2020 10:14

    Strana teoria. La pena non è vendetta, altrimenti sarebbe affidata ai congiunti delle vittime, come si faceva prima che la civiltà giuridica evolvesse e affidasse allo Stato il compito di fare giustizia.
    E infatti è lo Stato, attraverso un organo che amministra la legge, a comminare la pena dopo un processo nel quale gli imputati hanno diritto a difendersi.
    E la pena si definisce in tal modo perché è una forma di afflizione impartita al colpevole, non una vacanza rieducativa.
    Perché l’afflizione? Perché sia di ammonimento ad altri a non commettere gli stessi reati dei colpevoli, perché siano ammoniti che se lo fanno subiranno l’afflizione della perdita della libertà.

    Dunque non si può dissuadere senza minaccia di afflizione: questo è ovvio, ed è umanamente comprensibile. E serve anche a dissuadere chi volesse farsi giustizia da sé. Perché è anche umano desiderare di togliere dal mondo chi ingiustamente e crudelmente ha tolto dal mondo chi ti è caro, ad esempio. O chi ha mandato in rovina te e la tua famiglia privandoti con la violenza e la sopraffazione del frutto dei tuoi sforzi.

    Evitare che alla violenza si risponda con la violenza è compito della giustizia, altrimenti le basi della società sarebbero distrutte.
    Certo, il carcere dovrebbe offrire quante più possibili occasioni di riscatto del colpevole, una condizione di vita quanto più lontana possibile dalla crudeltà gratuita, perché il reo abbia la possibilità di migliorarsi, di cambiare. Questo non rimedierà ai torti e ai delitti che ha perpetrato: i morti non torneranno in vita, le vite rovinate per sempre dal loro crimine non saranno mai sanate. Ma almeno la persona del reo avrà la possibilità di rinnegare ciò che era e ciò che ha fatto. Nessuno potrà mai sapere quanto sincero è il suo cambiamento, e infine solo le persone che egli ha offeso potranno perdonarlo. Ma questo non compete alla giustizia: è un fatto privato e personale, ad essa compete salvaguardare l’equilibrio sociale e la legge.
    Così che i vecchi boss che si sono macchiati di mille efferatezze, che hanno offeso in mille modi la società e la civiltà, portano una colpa non solo verso le loro vittime ma verso la società tutta, e finché vivono quella colpa è viva. Nessuno ha il diritto di perdonarli in luogo della società.


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