lunedì 2 ottobre 2017 - Riccardo Noury - Amnesty International

Burundi, 400mila rifugiati rischiano di tornare alla repressione

Da quando, nell’aprile 2015, in Burundi è scoppiata l’ennesima crisi, a seguito della decisione del presidente Nkurunziza di candidarsi per il terzo mandato, 400.000 persone si sono rifugiate all’estero e altre 200.000 hanno dovuto trasferirsi altrove nel piccolo paese africano, la cui popolazione è di poco superiore ai 10 milioni.

Per oltre la metà dei 400.000 rifugiati si profila il rischio di essere rimandati in Burundi. Lo vuole, per convincere la comunità internazionale e i donatori che nel paese va tutto bene, lo stesso presidente Nkurunziza. Lo pretendono i governi dei due paesi che ne hanno accolti di più, Tanzania e Uganda, delusi anche dal mancato finanziamento del programma dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (solo il 7 per cento di quanto necessario).

Mentre funzionari del governo burundese vanno nei campi per rifugiati oltre-confine per convincere i loro connazionali a rientrare, l’esodo continua.

Le forze di sicurezza e gli Imbonerakure, l’ala giovanile e sempre più militarizzata del Consiglio nazionale per la difesa della democrazia – Forze per la difesa della democrazia, il partito al potere, continuano a torturare e a uccidere chi è sospettato di parteggiare per l’opposizione.

La buona notizia, l’unica, è che due giorni fa il Consiglio Onu dei diritti umani ha rinnovato il mandato della Commissione d’inchiesta sul Burundi che appena un mese fa aveva dichiarato di aver raccolto prove attendibili di crimini contro l’umanità commessi nel paese durante gli ultimi due anni.




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