lunedì 4 luglio 2016 - clemente sparaco

Brexit. Popolo, democrazia ed Europa

Io non ho paura del popolo.

Dopo l’esito del referendum che ha decretato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, alcuni soloni dell’europeismo hanno sollevato eccezioni antidemocratiche. “E’ stato incauto promuovere questo referendum e affidare ad un no o ad un sì problemi tanto complessi”, in quanto “fattori emotivi legati all’immigrazione ne hanno falsato l’esito” – ha sostenuto Giorgio Napolitano. “E’ stato un abuso di democrazia” - ha dichiarato Mario Monti, con un’affermazione, a dir poco, inquietante. Quanto allo scrittore Roberto Saviano, autore di Gomorra e icona dell’intellighenzia di Sinistra, ha paragonato il referendum all'ascesa di Hitler, con un accostamento che, quantomeno, pecca di anacronismo e dilettantismo storiografico. E lo sdegno non ha risparmiato le oligarchie europeee, arroccate nell’europarlamento e nelle euroistituzioni.

Ma dietro lo sdegno si nasconde un timore, il timore del voto popolare, quello che liberamente espresso ha ribaltato i sondaggi della vigilia in Inghilterra, quello che in Austria è stato viziato da irregolarità, secondo la sentenza della Corte Costituzionale austriaca (per cui lo si dovrà ripetere in autunno), quello che nemmeno le alchimie dell’italicum in Italia sembrano più in grado di veicolare e manipolare.

Per quanto mi riguarda, sommessamente affermo che io non ho paura del popolo, come non ho paura della storia

Né credo che sia solo un'opinione personale, in quanto credo che questo dovrebbe essere lo slogan di tutti i democratici, una sorta di io sono Charlie o di io sono Parigi, pronunciati all’indomani degli attentati, a ribadire che non c’è da avere paura, che si continua per la propria strada, la strada della libertà in cui si crede e per cui, se è necessario, si muore. 

Il popolo non è una massa. La massa è qualcosa di materiale, di indistinto, che procede per inerzia, non per intima energia. Il popolo ha una storia, una tradizione che si tramanda attraverso le generazioni, quel lascito che ha il sigillo personale dei padri, con i loro volti, con il ricordo indelebile impresso dentro di noi. Quanto alla coscienza di un popolo, o meglio di essere un popolo, essa ha a che fare con la memoria e prende forma non in astratto, quasi non avesse un corpo, ma in rapporto diretto con i luoghi, gli spazi, le terre, i sentieri, le parole, in cui si sedimentano le esperienze, i sogni, i ricordi, le immaginazioni, nel percorso del tempo. Perché il popolo non è un’astratta configurazione statuale priva di concreti rimandi emotivi, affettivi, ma è in ragione di quello che ci hanno insegnato, che abbiamo creduto, vissuto, sofferto, che abbiamo e che siamo.

La democrazia, poi, non è la forma politica dell'assenza di verità, quella forma che garantisce il massimo possibile di autodecisione evitando conflitti devastanti, la democrazia del politically correct, basata sul presupposto nichilista che non esistono priorità etiche, perché non esistono un vero, un bene e un giusto universalmente condivisi. Priva di appartenenza e di radici, quella democrazia si traduce in un vincolo collaterale, in un mero sistema di convenienze, che non genera comunità e, tantomeno, solidarietà. Lo si vede tanto più in Europa oggi. Se, ad esempio, si va a rileggere Progetto di Costituzione europea, redatto nel 2003, ma abbandonato sei anni più tardi a seguito dei referendum che l'hanno bocciato in Francia e nei Paesi Bassi, si scopre che esso è un manifesto del relativismo, nel segno di una libertà senza verità e di un’unione senza identità, senza radici (si ricorderà la questione sollevata da Giovanni Paolo II del mancato riferimento alle comuni radici cristiane). Nessun riferimento a valori di coesione, di condivisione, ma la remissione alle logiche del mercato, quelle che servono a regolare le contrattazioni, gli scambi, i flussi in entrata ed in uscita.

Si pretende di unire su basi materialiste ed economiciste, spacciando per valori i parametri, i vincoli di bilancio, gli indici macroeconomici. Si dice di voler costruire una comune casa europea, ma si bada solo agli interessi delle caste chiuse nelle loro idiozie finanziarie, nelle angustie di un potere autoreferenziale, nella miseria spirituale del nostro tempo. La volontà dei popoli è ignorata, aggirata, gabbata, per cui ci si spinge ad irridere le scelte di interi popoli, a massacrarne le economie, a calpestarne la sovranità e la dignità. 

Nella crisi della democrazia rappresentativa e dell’Europa si assiste, quindi, al processo di ritirata della politica sul terreno dell’economia, alla resa alle logiche della globalizzazione nel segno del neoliberismo. Il Nuovo Ordine Mondiale, equivalente all’omologazione tecnico-mercantile del mondo, al mondialismo delle banche, della finanza, delle multinazionali, spinge al mercato unico, alla moneta unica, al pensiero unico, con l’asservimento della cultura, delle istituzioni, dei mass media, all’apparato burocratico e finanziario, che non eletto da nessuno ha il potere di decidere per tutti.

La sfiducia verso quelle istituzioni europee non è, allora, casuale, nascendo dalla percezione diffusa fra i popoli della loro inadeguatezza e incapacità ad affrontare, governare ed intervenire positivamente sulle condizioni materiali di vita delle persone: il lavoro, la sicurezza, l’immigrazione fuori controllo, il futuro. 

L’Unione europea non è che una starnazzante parodia. Non un popolo, non uno stato, ma un mercato, una moneta, per quel che vale.

Foto: simeones/Flickr




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