Breivik e le ideologie dell’odio: cosa comporta scegliere tra "follia" e "punizione"
di Guido Salvini*
La sentenza per la strage di Utoya, attesa per il 24 agosto, non riguarderà solo la sorte personale di Breivik ma porrà molte domande. Se sarà giudicato incapace, seguendo le conclusioni di una prima perizia della Corte, Breivik che rifiuta una sentenza simile più della condanna stessa, sarà internato per molto tempo in un luogo di cura con l’obiettivo di guarirlo dalle sua follia e di farne cessare la pericolosità. Se sarà giudicato sano di mente, seguendo una seconda perizia, sarà condannato ad una ventina di anni di carcere perché nella civile Norvegia non esiste né la pena di morte né l’ergastolo.
Il giudizio sulla sanità di mente di un imputato che compie crimini orribili e talvolta è anche convinto di aver fatto il giusto, è uno dei più difficili per i giudici di ogni paese. Lo è nei delitti comuni, al di là dei casi evidenti di chi uccide un passante sicuro di aver sentito delle “voci”. Infatti spesso manie, forme narcisistiche, caratteri antisociali collocano la capacità dell’imputato in una zona grigia e sempre con maggior frequenza gli studi neuropsichiatrici spiegano ai Giudici che non solo la pazzia manifesta ma anche simili disturbi della personalità possono dominare la mente di una persona e renderla non del tutto libera di decidere. Se quindi, in assenza di criteri sicuri nei rapporti tra le scienze mediche e la giustizia, nei processi comuni il giudizio di sanità mentale o meno rimane “convenzionale”, questa discrezionalità si sente ancor di più nei delitti a sfondo ideologico.
Breivik è pazzo? O ha elaborato una visione del mondo che, per quanto ripugnante, corrisponde ad una sua scelta? Tanto per fare un po’ di ordine, l’ideologia che Breivik diffondeva nei suoi scritti in Internet non ha comunque molto a che vedere con il fondamentalismo cristiano e nemmeno con il nazismo: maggiori sembrano i legami con massonerie occulte e Breivik si è sempre dichiarato anche un deciso filo-semita ed esaltatore di Israele come baluardo contro l’Islam. Le sue idee, tra l’altro con venature ecologiche e prive di pregiudizi nei confronti degli omosessuali, sembrano piuttosto un amalgama che ricorda, in modo più radicale e portato alle estreme conseguenze, l’ideologia del leader populista olandese Pim Fortuyn, ucciso nel 2002 da un fanatico di estrema sinistra.
Comunque, pazzia o punizione, entrambe le decisioni sono in realtà tecnicamente possibili e credo che le decisione dei giudici discenderà, anche inconsciamente, dalla percezione della miglior “accettabilità” politica e culturale di una delle due conclusioni. La Corte può affermare che l’imputato, convinto di dover preservare "l’identità" della Norvegia dagli islamici, ha addirittura trucidato, per dare un messaggio folle, i suoi connazionali che non prevengono ma favoriscono l’invasione del loro paese. In ogni caso è solo pazzo e la sua ideologia non interessa: questa sarebbe una sentenza per un verso “accettabile” ma un po’ finta. Una decisione in tal senso aprirebbe anche una contraddizione che nessuno sembra per ora cogliere. Altri giovani, spinti da un’ideologia politico-religiosa, hanno fatto crollare le Torri Gemelle e hanno ucciso migliaia di civili, tra cui molti loro correligionari, in Europa e in altri paesi del globo, spesso immolandosi a loro volta con gioia, al fine di salvare la “purezza” della cultura islamica messa in pericolo dall’Occidente.
Ma, anche se la maggior parte degli attentatori non fosse morta suicida, nessuno avrebbe preso in considerazione in eventuali processi che anche l’ideologia del fondamentalismo islamico è sintomo molto serio di follia con connotazioni religiose, meritevole più di un ospedale psichiatrico giudiziario che del carcere. Nessuno lo avrebbe sostenuto e sarebbero stati condannati e basta, come avvenuto in India per i terroristi superstiti della strage Mumbai e in Indonesia per quelli della strage di Bali. Giudicare gli autori degli attentati jihadisti “folli” sarebbe stato vissuto non solo come un oltraggio per le vittime ma politicamente poco gestibile. Perdipiù sarebbe stato considerato un’offesa, con conseguenze anche gravi, dal complesso del mondo islamico, notoriamente molto suscettibile, giudicato implicitamente come quello che alberga una fede che con grande frequenza genera psicopatici.
Sembra invece meno difficile e più “accettabile” giudicare folle Breivik, rimuovendo però il problema che anche in Europa c’è qualcuno che considera l’altro una “non persona” da cancellare sulla base della propria escatologia. Certo, la distanza tra le elaborazioni di Br
eivik e le idee democratiche e di tolleranza religiosa che hanno civilizzato l’Europa è incomparabilmente più grande di quella che separa gli jiadhisti dai comuni seguaci del Corano e incomparabilmente minore è il numero di chi in Europa accorcia tale distanza tra religione e odio rispetto a quanto avviene nei paesi islamici. Ma giudicare Breivik solo un lupo solitario e un pazzo rischierebbe di allontanarci dal riflettere sui problemi e sui pericoli che anche l’Europa vive con la crescita diffusa di movimenti xenofobi che esaltano un violenza identitaria e quasi mistica. Anche noi abbiamo avuto il nostro piccolo Breivik e cioè quel Giuseppe Casseri, vicino a Casa Pound e appassionato di esoterismo e di fantasy, che a Firenze nel dicembre 2011 ha fatto strage di immigrati senegalesi. Il problema giudiziario non si è posto solo perché Casseri si è ucciso e nessuno quasi se ne ricorda più.
Una sentenza a Oslo solo “medica” rischia quindi di non essere la miglior cura né per Brevik né per le sue vittime né per tutti noi.
* Magistrato presso il Tribunale di Milano