martedì 6 aprile 2021 - Osservatorio Globalizzazione

Blockchain, criptovalute e economia verde: occhio ai facili entusiasmi…

La tecnologia della blockchain è una tecnologia fantastica che cambierà il nostro modo di agire, di scambiarci la proprietà delle cose, di scrivere contratti e persino di pensare e di essere.

Sembra una strada spianata verso la libertà digitale di ciascuna persona ed anche la via maestra verso la green economy.
In superficie è una promessa di quelle che rassicurano.

Abbiamo scavato per cercare le auspicate conferme.

Blockchain e Bitcoin sono davvero la rivoluzione verde verso cui siamo convinti di essere in cammino?

Sono compatibili fra di loro, sviluppo economico e finanziario sostenibile, politiche ambientaliste, politiche salariali, blockchain e cryptocurrency?

Questi ultimi anni sono stati caratterizzati dal ripetuto annuncio della rivoluzione della blockchain, dalla comparsa di molteplici cripto valute e dal lancio della campagna per la guerra ai cambiamenti climatici. Ma siamo certi che la blockchain, il Bitcoin più le sue sorelle e il friday for future siano compatibili tra di loro?

Con la blockchain possiamo già da oggi comprare e vendere e persino possedere monete non emesse da banche, non vincolate ad una area geografica, ad uno Stato, un confine o a un mercato specifico.
Con la blockchain potremo anche garantire servizi pubblici o monitorare la supply chain (cioè la filiera completa: dal produttore al consumatore passando attraverso tutta la catena di fornitori, trasportatori…) e persino la qualità di ciò che indossiamo o mangiamo.

Per capire la blockchain, meglio avvalersi di testi specializzati

Una volta chiusa la parentesi influenza cinese, torneremo ai fattori del cambiamento che gradualmente l’umanità si stava accingendo ad affrontare, inclusi nel progetto della green economy.
Il principale di questi è l’ingresso – oggi anche nel dibattito popolare – di quelle tecnologie che stanno trainando o accompagnando la transizione verso un mondo completamente nuovo.

La blockchain ci consentirà di tagliare fuori numerose figure intermediarie come i notai, i bancari (e le banche), i commercialisti o alcuni distributori di merci e servizi che fungono da collo di bottiglia e soprattutto costi aggiuntivi per il consumatore finale.

Questo almeno nelle intenzioni di chi ce la racconta. Da un’attenta lettura però appare tutt’altro che scontato.

Tutto dipenderà da chi la controllerà e a chi consegnerà la gestione dei servizi erogati tramite la stessa.

Tra le tante promesse c’è anche quella dell’ottimizzazione della logistica, forse di produrre con minori sprechi e quindi di contenere le emissioni dei gas serra.

Trattandosi di tecnologie invisibili, siamo probabilmente tutti spinti a credere che siano anche pulite e quindi sapientemente congeniate per aiutarci nella transizione verso la green economy.

Questa promessa è realistica? Verrà mantenuta?

Per approfondire la questione ci siamo affidati ad una lettura piuttosto tecnica.

Blockchain – tecnologia e applicazioni per il business è un libro che spiega nei dettagli come funzionano le diverse tipologie di blockchain e in particolare le cripto monete.

Non fare di tutta la blockchain un fascio

Per i non addetti ai lavori, sentire parlare di blockchain può indurre a pensare che la tecnologia in sé sia monolitica ed univoca. In realtà essa avrà un diverso impatto (anche ambientale) a seconda di come verrà impiegata e dalla mole di calcoli che dovrà supportare.

Non vogliamo fare quindi di tutta la blockchain e di tutte le cripto valute un fascio, bensì cercare di evidenziare particolari rischi insiti soprattutto nella narrazione che ce ne viene fatta.

Vogliamo dunque invitare chi legge ad approfondire con strumenti magari tecnici, piuttosto che continuare ad idealizzare la blockchain o a pensarla per sentito dire.

Il rischio maggiore infatti è che tutto questo parlare della transizione ecologica in corso possa rivelarsi la transizione da un modello speculativo e di interessi economico-finanziari ad un altro di uguale impatto ambientale, economico e sociale.
Insomma, attenti che non stiano riverniciando di verde la vecchia baracca cadente della globalizzazione.

In questo articolo vi mettiamo in guardia, insomma, sul cosiddetto greenwashing, ovvero l’operazione di facciata che brands, industrie, e propaganda mettono in piedi per sembrare più ecologici senza esserlo diventati affatto.

Questioni di immagine

La tale azienda s’è data alla svolta ecologica. Produce ad impatto zero, usa materiali riciclati per imballare i prodotti, parla un linguaggio “green” e lo fa con testimonial credibili.
Peccato che l’unica cosa che abbia fatto davvero sia stato pagare dei pubblicitari perché aggiornassero la comunicazione. Magari stanno semplicemente impacchettando il loro vecchio prodotto con carta riciclata o facendolo passare in un magazzino alimentato ad energia solare prima di immetterlo sul mercato.
Succede veramente…

È più o meno quello che fa Apple. Risulta il brand IT più green al mondo, peccato che l’unica cosa veramente green siano la sua sede a Cupertino e i suoi data center. Tutto il resto sono impegni sulla carta. Intanto la sua supply chain rimane quella di prima. Certo la sua lista di fornitori si sta via via adeguando agli standard ecologici, ma con calma.

Per carità, non vogliamo sommarci ai critici verso Apple che è pure l’azienda più concentrata a darsi una ripulita.
Vogliamo solo dire che la tecnica del greewashing è subdola e capace di confondere dati, numeri e… le idee ai consumatori.

Insomma stiamo invitando chi legge a tenere gli occhi aperti e le antenne alzate per non cadere nel tranello della propaganda di facciata.

Glossario indispensabile

Miner (minatore): mining deriva dal termine inglese “to mine” cioè estrarre. Nel gergo odierno si riferisce alle criptovalute. Il Mining è riferito al processo di estrazione dele crypto currency. Minare Bitcoin significa ottenere Bitcoin dopo averli generati dalla rete e distribuiti online.
Attualmente per generare un Bitcoin è necessaria talmente tanta potenza di calcolo (da qui l’enorme dispendio di energia) da rendere necessario l’utilizzo di particolari strumenti, più potenti dei normali PC, collegati in rete in modo da sommare tutta la potenza di calcolo necessaria. Ciascun proprietario di queste macchine è un miner. La sua ricompensa consiste in una frazione di Bitcoin proporzionale al lavoro svolto dalla/e sua/e macchina/e durante l’estrazione.

Gli sponsor del Friday for future

Tutto o quasi ci viene fatto credere essere nato dai sit-in che Greta Thunberg amava fare ogni venerdì dinnanzi al comune della sua città.

Così si narra sia nato il personaggio della piccola Greta.

Alla sua battaglia contro il riscaldamento globale, condotta dalla sua sedia per ricchi e in crociera sulla barca a vela milionaria.

E quale migliore testimonial, oltre che sponsor, poteva esserci di Sun Justin, creatore di BitTorrent, la piattaforma di condivisione libera online?
Il giovane imprenditore ha donato ben 1,5 milioni in Bitcoin alla causa di Greta Thunberg.

La domanda che dovrebbe sorgere ad una notizia del genere è: battaglie ambientaliste e le cripto valute (e la blockchain stessa) sono compatibili tra di loro?

Chi sono i maggiori investitori nella rivoluzione verde?

Anche Bill Gates, nonostante sia un arci-nemico di bitcoin (la blockchain su cui viene scambiato il Bitcoin) e del Bitcoin (la cripto valuta), investe sui metodi di pagamento online e punta sulla blockchain, come spiega questo articolo,
Per comprendere i motivi dell’avversità di Gates verso il Bitcoin leggi quest articolo.

Facebook ci punta per sostenere il suo progetto di criptovaluta, LibraPayPal è entrato nel mercato del Bitcoin perché inizierà a transare in Bitcoin (video).

Il recente nuovo boom di Bitcoin è stato sostenuto anche da altri investitori istituzionali.

Tesla ha fatto lo stesso acquistando Bitcoin per 1,5 miliardi di dollari e Apple potrebbe seguirla a breve.
Sempre Tesla, poche settimane dopo ha annunciato per bocca del suo fondatore Elon Musk che è finalmente possibile acquistare le sue auto green pagano in Bitcoin.

Insomma pare che il Bitcoin ci aiuterà a salvare il mondo, se non fosse che Bitcoin, il più grande progetto che utilizza il PoW (Proof of Work, ovvero la misura economica per scoraggiare attacchi, consumi energetici elevatissimi renderanno economicamente svantaggioso attacchi al sistema ndr) consuma attualmente circa lo 0,3% dell’elettricità mondiale (oltre i milione di dollari al giorno tra elettricità e hardware per il mining) e molti ritengono che questa situazione non sia sostenibile nel lungo periodo. Tuttavia l’enorme consumo di energia è la ragione per cui un processo di consenso basato sul Proof of Work sia difficile da attaccare. È l’enorme quantità di potenza di calcolo necessaria per validare la blockchain che ne garantisce l’immutabilità. La potenza di calcolo e l’elettricità utilizzata sono la prova effettiva del lavoro eseguito.

Un consumo pazzesco di energia

Se internet è stata una importante voce di capitolo del consumo energetico degli ultimi 10 anni, il Bitcoin assicura già oggi di sapere fare peggio.

Secondo un Report dell’Università di Cambridge, la rete bitcoin consuma 121 TWh l’anno. Detto così, per la maggior parte dei lettori non significa nulla.

Sei Bitcoin fosse una nazione, oggi sarebbe tra le 30 più energivore al mondo.

Che etica c’è dietro al sostegno di cause ambientaliste tramite la criptovaluta più dispendiosa dal punto di vista energetico?

La corsa verso la blockchain pubblica

Altri soggetti istituzionali che investono sulla blockchain ne abbiamo? Beh, chi se non gli Stati o i gruppi di Stati?

Come detto all’inizio, che si tratti di spreco di energia o investimento dipende dall’uso che di questa si fa.
L’unione europea ad esempio ci ha puntato 400 milioni di euro di investimenti nel 2020.

Obiettivo dichiarato: la European Blockchain Partnership in cui un ruolo di spicco ce l’ha proprio l’Italia che è entrata nel novero dei 24 Paesi riuniti in questo progetto.
Ad Austria, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, UK si sono successivamente aggiunte: GreciaRomania e Danimarca.

L’Italia è stata l’ultima ad aggregarsi con una firma del Ministro allo sviluppo economico e al lavoro Luigi Di Maio del Movimento Cinque Stelle apposta il 27 settembre 2020.

La blockchain è davvero così evoluta, democratica ed ecologica? Ecco i rischi.

Dietro alle cripto currency non c’è soltanto il continuo alimentare di bolle speculative atte a gonfiare il valore di ciascuna con l’intento di attirare sempre nuovi investitori, polli da spennare inclusi.

Fidarsi dei miner

Se un gruppo di miner decidesse di colludere, non è da escludere che potrebbero eseguire con successo un attacco del 51%. Nel Bitcoin, per esempio, più della metà dell’hashrate è concentrata in 5 mining pool e oltre il 70% dell’hashrate è concentrato in Cina. Uno scenario di questo tipo è lontano dall’idea di decentralizzazione. Alcune blockchain minori sono state vittime di attacchi del 51% e, anche se i danni sono stati mitigati, hanno subito un duro colpo dal punto di vista della reputazione.

E se il detentore del record di miner Bitcoin (con relativo consumo di energia) è la Cina che punta sul carbone… buona rivoluzione green a tutti!

Fonte: Fortune

L’altra faccia della rivoluzione verde

Tra le maggiori perplessità destate dagli industriali che supportano la green revolution c’è la contraddizione che questi dimostrano tra l’applicazione dell’amore universale verso il pianeta e quello verso i lavoratori.

Se di rivoluzione si trattasse dovremmo vedere, quale primo valore condiviso, la redistribuzione delle risorse dall’alto verso il basso.
Invece stiamo assistendo all’accelerazione della concentrazione di risorse finanziarie e alla polarizzazione delle risorse naturali.

Questa ipocrisia risulta si sta ripercuotendo fatalmente sulla riduzione dei salari e dei diritti dei lavoratori proprio da parte dei presunti alfieri della rivoluzione green.

Tesla mentre licenzia i lavoratori limitrofi al sindacato, sta incontrando enormi difficoltà a reperire personale specializzato in Germania a causa dei bassi stipendi offerti e al suo ostracismo per le garanzie e i benefit dei lavoratori.

L’industria internazionale sta facendo la propria parte al contrario…

Idem le banche ed i fondi di investimento, tanto impegnati nella propaganda ecologica in corso. S se da un lato ci bombardano con messaggi green dall’altra tagliano il personale (a causa della scarsa competitività del comparto e dell’innovazione tecnologica) ed investono sul carbone:

Quindi, se da una parte, si rende necessario un recupero del terreno da parte degli Stati nei confronti dei leader dell’IT sul tema della sovranità digitale – come economiaspiegatafacile.it auspica da molto tempo – dall’altra occorre restare desti.

La blockchain è una rivoluzione gattopardesca?

Cambiare tutto perché tutto rimanga come prima? Vera rivoluzione o regolamento di conti tra potentati finanziari? La blockchain nasce per rendere liberi i comuni cittadini o, semplicemente, la finanza sta cercando di fare fuori gli antichi guardiani dei cancelli, per avere ancora di più le mani libere?

Da questa interessante lettura ho scoperto che: la blockchain non è affatto un sistema già evoluto, non è sicura, non è democratica, non è governata da algoritmi ma da interessi privati o di partito… (comunista cinese, ndr).

Tutto ciò è sufficiente a farci temere che in Italia verrà utilizzata per trasferire la stessa burocrazia e gli stessi interessi economico-burocratici dalla mano destra alla mano sinistra degli stessi soggetti (o simili) che oggi gestiscono il potere. Insomma temiamo che si tratti della digitalizzazione all’ennesima potenza dei noti colli bottiglia, a caro prezzo per i consumatori.

Ci fa pensare che la burocrazia si stia preparando a trasferirsi su una nuova piattaforma con gli stessi costi o di poco inferiori e che sostanzialmente oggi serve alla creazione di incubatoi di progetti futuri.
Infine che complessivamente è un osceno consumo di energia.

Tutto sommato, ad una attenta lettura del fenomeno blockchain viene naturale fare delle constatazioni che hanno valore nell’adesso. Insomma: oggi pare essere così; domani si vedrà.

La blockchain è tutt’altro che un progetto evoluto e stabile; e fin qui tutto normale per una tecnologia appena nata. È molto più in divenire di quanto non ci venga raccontato e questo dal punto di vista della corsa all’innovazione è positivo, perché non esclude a priori nessuno (ma ovviamente avvantaggia i leader del settore).

Restiamo convinti che la tecnologia in sé vada sviluppata con obiettivi di inclusione e di semplificazione. Non significa solo tagliare intermediari burocrati, notai e banchieri.
Se guardiamo alla narrazione che scorre a fiumi sui giornali ed in internet, la direzione intrapresa è tutto fuorché di buon auspicio.

Insomma, approfondendo, ciò che ci pare svelarsi non è l’inizio della green economy, ma che siamo spettatori di una vera e propria green eco-medy.

(Originariamente pubblicato su “L’Economia spiegata facile”)

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