mercoledì 21 settembre 2011 - Enrico Campofreda

Berlino, tutto il fascino dei pirati

La vela del logo, più vichinga che nibelunga, era dispiegata da cinque anni. Nelle elezioni del 2009 conseguendo un 2% nazionale il Piratenpartei ricevette anche la visita di cortesia della cancelliera Merkel. Alle elezioni di domenica ha attraccato sulle rive della Sprea con un fragoroso 8,9% definito dai media un arrembaggio.

Ma il movimento, sicuramente di rottura, non mostra velleità di saccheggio piuttosto si autodifende. Difende i diritti del cittadino oppressi da manovre liberticide mascherate da misure antiterroristiche. Il maggior caso riguarda la libertà d’espressione negli spazi web che una legge dell’allora ministro dell’interno Schaeuble, detta “Stasi due punto zero” e tuttora presente in Germania, vuole limitare attraverso una sorta di schedatura di massa. Rilancia parole d’ordine come il reddito minimo garantito, che un’imborghesita Die Linke lascia cadere.

Certo in una fase di crisi l’obiettivo può apparire assolutamente velleitario ma i pirati ci credono e sulla base di tanta precarietà, anche intellettuale, chiedono altri servizi gratuiti, primo fra tutti i trasporti. Fra i numerosi libertari che reclamano molte liberalizzazioni, cannabis compresa, ci sono comunque giovani che si definiscono liberali, collocandosi su posizioni nient’affatto di sinistra.

E se i simboli continuano ad avere un significato il fatto che il manipolo dei quindici pirati eletti (una sola donna) nell’emiciclo del Consiglio berlinese andrà a occupare i banchi a destra vorrà pur dire qualcosa. Comunque fuori dai marchi politici il comune denominatore di quest’elettorato che sostiene referendum digitali è la protesta verso i nodi scorsoi introdotti dal sistema. Dal rischio privatizzazione del web alla precarietà dell’occupazione, tutto cementato dall’aumento del costo della vita che in Germania sta rendendo impossibile anche un’esistenza minimalista.

E’ interessante conoscere alcuni strumenti organizzativi del partito, che in questi anni s’è dato una sede ufficiale però conserva meccanismi aggregativi sui generis. Funziona per “democrazia liquida” che poi vuol dire usare la tecnologia di internet per scegliere, ad esempio, i candidati da votare. Liquid democracy è il software che i pirati utilizzano per costruire contatti simulando un’assemblea politica con tanto di mozioni e votazioni. Una sorta di social network in cui candidati, simpatizzanti o sostenitori del partito, si ritrovano. Fate con loro un bell’incontro virtuale visitando il sito web.piratenpartei.de.

Simone Buttazzi, un berliner d’origine italiana che vive nella città-Stato lavorando come traduttore per alcune case editrici, in base a una legge che consente agli stranieri residenti di votare ha scelto questa formazione:

L’ho fatto perché mi sembrava simile a Die Linke ma con una leadership decisamente più giovane e pragmatica. Mi sono informato sui loro candidati che sono fra i trenta e quarant’anni e hanno un profilo simile al mio: giovani precari con la particolare passione per la rete, la comunità dei nerds. Oltre al mio hanno attinto voti soprattutto nella fascia compresa fra i 18 e i 35 anni. Fra le proposte lanciate m’è parsa allettante quella di riutilizzare i molteplici spazi abbandonati della città per non farli cadere in mani esclusivamente commerciali”.

Nella disamina dei flussi e riflussi del voto i analisti tedeschi affermano che fra le schede favorevoli ai pirati 21.000 provengono dalla scelta partecipativa di astensionisti incalliti, 16.000 sono voti travasati dal bacino dei Verdi, 13.000 dall’Spd, 12.000 da Die Linke. Seguono 6.000 voti dai liberali e 4.000 dalla Cdu. Una spesa tutto sommato trasversale seppure tendente a sinistra.

Nel disincanto verso l’ingessato quadro politico nazionale che accomuna tutta vecchia Europa, il fenomeno tedesco potrebbe essere avvicinato ad altri movimenti di protesta come l’italico Movimento Cinque Stelle. Ma uno dei candidati di punta del Piratenpartei, Andreas Baum, che non si può certo definire un leader, pare lontano mille miglia dalle infoiate filippiche d’un Beppe Grillo. Però chiosa che lui non deve scrivere lettere a Fidel o ricevere benedizioni politiche.

Prosegue Buttazzi che sul web e tramite Rss ha incrociato per mesi le proposte piratesche:

Il parallelo coi grillini non è fuori luogo ma attualmente lo scontro politico nelle due nazioni è differente. Qui non avviene con la bava alla bocca come da voi, il dissenso dei pirati pur robusto non è feroce nonostante il nome prescelto. E soprattutto non hanno avversari sguaiati come certi parlamentari e ministri che si vedono in Italia. Il Piratenpartei attira perché parla di trasparenza della gestione politica e amministrativa, lancia progetti a vantaggio della kiez-kultur, la cultura di zona che conserva ciò che la mercificazione del mercato annulla. Semplicemente razionale il loro approccio alla questione della tossicodipendenza, dicono: anziché fare la guerra ai drogati occorre affrontare il tema della dipendenza prevenendola. Il Piratenpartei attira perché lancia affascinanti idee a costo zero, in certi casi assolutamente utopistiche, ma in questo mondo angosciato dalla crisi e dalle follie delle Borse l’utopia torna di moda. I giovani senza futuro quali strade dovrebbero seguire ?”

In verità nella provincia berlinese tartassata da una galoppante disoccupazione ben prima dello scoppio della crisi, quella disoccupazione punitiva frutto dell’unificazione guidata dai cancellierati Koll, anche molti cinquantenni e sessantenni vivono la precarietà dei trentenni. E c’è da giurare che nei travasi di voto su menzionati taluni provengano anche da queste fasce generazionali.

La Berlino dove il borgomastro Wowereit si conferma per il terzo mandato e che con lui conserva il mantra assai figo della “città povera ma sexy” non è simile alla Christiania dei Settanta. La cementificazione seguita all’unificazione le sta cambiando in fretta i connotati istillandole cronici germi modaioli e chissà cos’altro.




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