venerdì 7 gennaio 2011 - Antonio Mazzeo

All’ombra della Cia. Il terrore creato dai Bush (1)

Trentaquattro anni fa un aereo cubano con 73 persone a bordo veniva fatto esplodere in volo. Era l’attentato più grave della strategia del terrore pianificata dalla Cia contro il governo di Cuba. Una rete criminale sorta con lo sbarco alla Baia dei Porci, estesasi al Vietnam, all’America Latina delle dittature, al Centroamerica dei diritti umani violati. A tesserne le fila, alcuni agenti segreti protagonisti dei grandi scandali degli Stati Uniti. Una santa alleanza del terrorismo internazionale sviluppatasi sotto le ali della famiglia Bush. – 1^ parte

Sei ottobre 1976. Un aereo di linea della compagnia cubana esplode subito dopo il decollo dall’aeroporto della piccola isola di Barbados, nel Mar dei Caraibi. L’aereo, un DC-8, operava settimanalmente sulla rotta Guyana-Trinidad-Barbados-Giamaica-Cuba. A causare l’esplosione un potente ordigno nascosto sotto un sedile del velivolo. Nessuna delle 73 persone che viaggiavano nel DC-8 sopravvive all’esplosione. Molte delle vittime saranno inghiottite dalle acque dell’Oceano o dilaniate dai pescecani. Nell’attentato sono morti i 24 membri della nazionale giovanile cubana di scherma, età media 20 anni, proveniente dal campionato centroamericano appena conclusosi in Venezuela, dove la squadra aveva conquistato il titolo. Cinque delle vittime ricoprivano le funzioni di rappresentanti culturali della Repubblica democratica di Corea in visita in alcune isole delle Antille; un’altra decina di passeggeri innocenti erano giovani guyanesi che si recavano a Cuba dove avevano ottenuto una borsa di studio per frequentare la Facoltà universitaria di Medicina.

L’esplosione del Dc-8 a Barbados era il più grave atto terroristico subito da Cuba dopo il trionfo della rivoluzione guidata da Fidel Castro, l’1 gennaio del 1959. Ed era soprattutto un messaggio trasversale a tutti i paesi caraibici, perché sospendessero qualsiasi relazione politica ed economica con L’Avana, e si unissero alla campagna di isolamento e di aggressione militare decretata dall’OEA, l’Organizzazione degli Stati Americani, sotto il diktat degli Stati Uniti.

Sulle tracce dei mandanti e degli esecutori

A poche ore dal brutale attentato, giungeva la prima rivendicazione. Gli esecutori dichiaravano far parte di “El Condor”, una delle innumerevoli organizzazioni paramilitari di esiliati anticastristi con sede negli Stati Uniti (1).

In realtà gli inquirenti poterono accertare che la pianificazione della strage era stata realizzata dal ‘CORU’ (Comando de Organizaciones Revolucionarias Unidas), un coordinamento di gruppi di estrema destra operanti negli anni ’70 in tutta l’America latina e nella città di Miami (Stati Uniti), finanziato e sostenuto dalla Cia e dalla DINA, la Direzione d’Intelligence del governo fascista cileno. Una vera e propria agenzia di servizi per la realizzazione di operazioni coperte, che il 21 settembre 1976, una quindicina di giorni prima dell’attentato al Dc-8, era stata incaricata di assassinare a Washington il diplomatico cileno Orlando Letelier, ex ambasciatore alle Nazioni Unite, rifugiatosi negli Stati Uniti dopo il golpe del generale Pinochet (2).

L’asse portante del “CORU”, era costituito da agenti e provocatori di origine cubana, specializzatisi in operazioni clandestine e attentati terroristici. Al coordinamento avevano aderito i gruppi di esiliati anticastristi del “Frente de Liberacion Nacional de Cuba”, del “Movimiento Nacionalista Cubano” e della “Brigada 2506”, che avevano diretto le innumerevoli operazioni di aggressione militare contro Cuba e in particolare il fallito sbarco militare nella Baia dei Porci, nel 1961, la più grande operazione militare anticastrista, apertamente sostenuta dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Dopo il golpe di stato in Cile e il trionfo di sanguinose dittature militari in Argentina, Bolivia, Uruguay, Paraguay e Brasile, le organizzazioni eversive decisero di diversificare il proprio intervento avviando una lunga serie di attentati terroristici, perfettamente integrati nella strategia del Dipartimento di Stato e della Cia di lotta “occulta” al regime comunista dell’Avana, alle organizzazioni della sinistra popolare e ai movimenti di liberazione latinoamericani.

Il “CORU” realizzò così, nei primi anni ’70, l’attacco alle ambasciate cubane di Buenos Aires e Città del Messico e puntò alla distruzione di alcune infrastrutture di proprietà statale presenti nel Continente o in Europa. Imbarcazioni da pesca cubane e navi da trasporto sovietiche dirette ai maggiori porti dell’isola delle Antille furono assaltate nel Mar dei Caraibi da lance veloci condotte da agenti della controrivoluzione cubana, che agivano indisturbati dalle coste della Florida.

Gli attentati si intensificarono soprattutto dopo che le forze armate cubane erano intervenute in Angola accanto all’MPLA (Movimento Popular de Liberacion de Angola), a seguito dell’invasione della Namibia e dell’Angola da parte del regime razzista del Sud Africa (3). L’escalation terroristica raggiunse il suo apice nel 1976, quando i gruppi aderenti al ‘CORU’ eseguirono attentati di enorme effetto psicologico quasi a voler preannunciare l’esplosione del Dc-8 a Barbados.

Il 22 aprile un ordigno bellico aveva distrutto i locali dell’ambasciata di Cuba in Portogallo, causando la morte di due funzionari. Meno di due mesi dopo, il 6 giugno, era stata fatta esplodere una bomba davanti all’ufficio della delegazione cubana presso le Nazioni Unite; tre giorni più tardi, una valigia che doveva essere imbarcata su un aereo di linea della compagnia cubana, era esplosa anticipatamente in un hangar dell’aeroporto internazionale di Kingston (Giamaica). La strategia di sangue era proseguita il 18 agosto con l’esplosione di due bombe all’interno degli uffici della “Cubana de Aviacion” dell’aeroporto internazionale di Panama; il 22 settembre due granate erano state lanciate da un auto contro il Consolato di Cuba ad Ottawa (Canada). Nella capitale delle Barbados, infine, proprio alla vigilia dell’attentato al DC-8, era stata fatta esplodere una bomba che aveva distrutto gli uffici della “British West Indies Airways”, rappresentante locale della compagnia aerea cubana (4).

La centrale delle stragi

Le indagini sull’attentato di Barbados permisero presto di dare un nome e un volto agli autori materiali della strage ordinata dal “CORU”. Furono così arrestati due cittadini venezuelani, Hernan Ricardo Losano e Freddy Lugo, i quali avevano viaggiato sul Dc-8 nella tratta Guyana-Barbados. Giunti nell’isola, avevano abbandonato il velivolo non prima di aver attivato l’ordigno che sarebbe esploso dopo la partenza per la Giamaica (5).

Hernan Ricardo Losano e Freddy Lugo erano due veri e propri “professionisti” della lunga stagione di sangue realizzata dalla rete internazionale neofascista al soldo della Cia e dei ricchi possidenti di origine cubana esiliatisi in Miami dopo la fuga dall’isola del dittatore Fulgencio Batista. Hernan Ricardo, ufficialmente un fotografo ‘free-lance’, non aveva mai fatto mistero di accedere con facilità a grossi capitali finanziari e di tenere strette relazioni con l’Agenzia d’Intelligence degli Stati Uniti. Egli aveva avuto l’opportunità di partecipare a fine anni ‘60 ad un corso sull’uso di esplosivi organizzato dalla stazione Cia di Caracas. Inoltre aveva mantenuto stretti contatti con un alto ufficiale dell’Fbi, Joe Leo, distaccato presso l’ambasciata Usa in Venezuela (6).

Anche il secondo attentatore, Freddy Lugo, svolgeva la funzione di fotografo, alle dipendenze del Ministero delle Miniere e del Petrolio del Venezuela. Alla vigilia dell’attentato aveva chiesto un permesso per recarsi all’estero; qualche ora prima di abbandonare Caracas fu visto in un noto ristorante in compagnia del controrivoluzionario cubano Felix Martinez Suarez, presidente del “Frente de Defensa de la Democrazia”, ampiamente coinvolto nell’elaborazione di piani tendenti a convertire il Venezuela in una delle principali basi per estendere le attività terroristiche di marca neofascista a tutto il continente latinoamericano (7).

L’analisi degli spostamenti e delle telefonate eseguiti da Hernan Ricardo Losano e Freddy Lugo nei giorni precedenti all’attentato al Dc-8, permisero di accertare che l’operazione era stata coordinata dal cittadino nordamericano di origini cubane Orlando Bosh, implicato in numerosi atti di terrorismo e in particolare nell’assassinio a Washington del cancelliere cileno Orlando Letelier. Condannato a 10 anni nel 1968 per un attacco con bazooka contro una imbarcazione battente bandiera polacca ormeggiata nel porto di Miami, Orlando Bosh aveva ottenuto la libertà quattro anni più tardi grazie ad un miracoloso indulto concessogli dalle autorità giudiziarie della Florida. Nel 1974 l’Fbi lo aveva ritenuto responsabile dell’omicidio del dirigente controrivoluzionario José Elias de Torriente, nell’ambito delle lotte interne tra le differenti fazioni anticastriste residenti a Miami. Per sfuggire al mandato di cattura, Bosh decise di abbandonare gli Stati Uniti per rifugiarsi nella Repubblica Dominicana, dove con altri terroristi di estrema destra latinoamericani diede vita al famigerato “CORU”. Dopo il golpe in Cile, Orlando Bosh decise di trasferirsi a Santiago dove trovò alloggio in una lussuosa villa a due passi della sede del Comando centrale delle forze armate. In Cile il “CORU” strinse un patto d’acciaio di mutua collaborazione con i servizi segreti di Augusto Pinochet: al gruppo di Orlando Bosh la DINA assegnò la direzione del fallito attentato in Costa Rica del rifugiato cileno Pascal Allende, segretario generale del MIR (Movimiento de Izquierda Revolucionaria) e la gestione del piano terroristico per assassinare a Washington l’ex ambasciatore Letelier (8).

Il signor Bosh e il dottor Bush

Nell’ambito del piano di destabilizzazione del continente pianificato dagli Stati Uniti, i servizi segreti cileni e la Cia reclutarono Orlando Bosh per eseguire nel 1976 altre importanti operazioni terroristiche, come l’attentato contro la “Empresa Air Panamà” a Bogotà, il fallito attentato contro l’ambasciatore colombiano in Venezuela, l’esplosione di due ordigni nei locali della delegazione cubana presso le Nazioni Unite a New York. Ciò, invece di fare inserire il nome di Orlando Bosh nell’elenco dei più pericolosi terroristi dell’emisfero, gli assicurò quasi una specie di passaporto diplomatico per attraversare liberamente frontiere e godere della protezione di cancellerie e uffici diplomatici. Egli poté fare rientro negli Stati Uniti, dove fondò un’effimera organizzazione politica, “Accion Cubana”, poi passata alla clandestinità. Nonostante l’accanimento delle autorità federali che lo arrestarono per cinque volte consecutive per diversi reati, Orlando Bosh fu sempre in grado di provare la propria “innocenza” in sede processuale (9).

L’unica nota dolente gli venne dall’importante quotidiano “The New York Times”, che in un lungo reportage realizzato nei giorni successivi alla strage del Dc-8 di Barbados, ricostruì alcuni sconcertanti particolari dell’ascesa di Orlando Bosh nell’Olimpo del terrorismo internazionale neofascista. In particolare fu sottolineato il suo reclutamento da parte della Cia sin dal 1960, per avviare la campagna politico-militare anticastrista. Di lui si ricordava una violenta lettera aperta contro l’allora presidente John F. Kennedy, accusato di “aver adottato misure restrittive” a danno degli esiliati cubani presenti negli Stati Uniti. Il “New York Times”, citando alcuni funzionari del governo implicati nel cosiddetto scandalo del “Watergate” che aveva costretto Richard Nixon ad abbandonare prematuramente la Presidenza della Confederazione, denunciava il coinvolgimento diretto del gruppo anticastrista al soldo di Orlando Bosh nelle operazioni di spionaggio a favore della CIA per screditare il Partito Democratico alla vigilia delle elezioni del 1972. “Negli stessi anni – aggiungeva il quotidiano – gli uomini di Bosh venivano addestrati dalla Cia per operazioni clandestine di matrice terroristica”.

Tra i principali finanziatori delle attività dei gruppi paramilitari di estrema destra diretti dal terrorista, oltre alla Cia, il “New York Times” citava l’ex presidente cubano Carlos Prio Socarras e il plurimilionario del Texas, Howard Hunt, capo Cia della Stazione di Città del Messico negli anni ’50, tra gli organizzatori della catastrofica invasione della Baia dei Porci (10). “Tutte le forme del crimine organizzato della comunità di esiliati di Miami, così come la cooperazione in attività criminali, incluso il lucrativo traffico di droga, si crede costituiscano altre importanti fonti di finanziamento degli uomini di Bosh”, concludeva il reportage del quotidiano statunitense (11).

Che i gruppi controrivoluzionari cubani di Miami finanziassero le loro crociate anticomuniste mediante il traffico di cocaina, lo sfruttamento della prostituzione e l’estorsione a danno di ricchi cubani esiliati negli Stati Uniti, era un fatto notorio all’interno dell’Fbi e dalla Dea, ma in nome della “difesa della democrazia”, cioè dell’imperialismo yankee in America Latina e nel Caribe, Bosh & soci erano tollerati, sostenuti e protetti. La loro rete di alleanze con i maggiori produttori ed esportatori di sostante stupefacenti del continente, come vedremo in seguito, sarà utilizzata dalla Cia e dal Dipartimento Usa, per portare a termine il piano di destabilizzazione contro il governo Sandinista del Nicaragua dopo la rivoluzione del 1979 contro il dispotico e corrotto regime di Somoza. 

Note

(1) Il nome di questa organizzazione presenta un’inquietante analogia con la cosiddetta Operazione Condor, il piano di vera e propria caccia transnazionale ai dissidenti politici che fu realizzata negli anni ’70 dai servizi segreti dei regimi reazionari di Argentina, Brasile, Bolivia, Cile, Uruguay e Paraguay, grazie all’appoggio della Cia e dell’allora Segretario di Stato Henry Kissinger. Un ruolo di primo piano nel coordinamento del piano fu svolto in particolare dal capo dei servizi cileni, generale Contreras. Grazie all’Operazione Condor, furono assassinati oltre 120 dirigenti politici e sindacali del Cono Sud, tra cui l’ex ministro cileno di “Unidad Popular” Carlos Pratts e l’ex presidente boliviano Juan José Torres. Secondo alcune recenti rivelazioni, al vaglio dei magistrati argentini ed uruguayani, all’Operazione Condor parteciparono 110 alti ufficiali delle forze armate dei paesi coinvolti. Con essi avrebbero collaborato 6 ufficiali di nazionalità italiana.

(2) Il diplomatico Orlando Letelier fu assassinato mentre si spostava in un auto, grazie ad un dispositivo esplosivo che era stato posto sotto il velivolo. L’attentato fu preparato dagli agenti della DINA, il servizio segreto del regime di Augusto Pinochet, che entrarono in contatto con alcuni terroristi cubani, che tre giorni prima dell’operazione si trasferirono a Washington dove godettero della protezione degli uomini dell’ambasciata cilena negli Stati Uniti e della Cia. Subito dopo l’omicidio, l’allora direttore dell’Agenzia d’Intelligence, George W. Bush Senior, convocò d’urgenza i responsabili del ministero di giustizia, a cui la Cia chiese il segreto sui risultati dell’investigazione con il pretesto della “difesa degli interessi della sicurezza nazionale”.

(3) Nel solo periodo 1974-76, ad esempio, gli estremisti cubani avevano causato l’esplosione di un centinaio di bombe nel distretto di Miami, generando il caos tra la popolazione civile e distruggendo tra gli altri, gli uffici locali dell’Fbi e del Dipartimento di Polizia.

(4) Nella più completa impunità, la lunga sequela di attentati contro obiettivi cubani proseguì nei mesi successivi alla tragedia di Barbados. Il 7 novembre 1976, furono gli uffici della “Cubana de Aviacion” di Madrid ad essere distrutti da una carica di esplosivo. Cinque giorni più tardi fu il turno dell’Ambasciata cubana a Bogotà (Colombia) ad essere danneggiata gravemente dall’esplosione di due bombe ad alto potenziale.

(5) Un’accurata descrizione sulle indagini eseguite per identificare autori e mandanti della strage di Barbados è stata fatta dal volume del giornalista Nicanor Leòn Cotayo, “Crimen en Barbados”, Editorial de Ciencias Sociales, La Habana, 1977.

(6) Il “fotoreporter” Hernan Ricardo Losano oltre ad essere stato condannato per l’attentato al Dc-8 della “Cubana de Aviacion” è sospettato della partecipazione alla distruzione degli uffici della “British West Indies Airways” a Barbados, nel settembre 1976 e all’attentato del precedente 18 agosto contro gli uffici della “Cubana de Aviacion” nell’aeroporto di Panamà. Per ciò che riguarda quest’ultima vicenda, Ricardo Losano fu identificato, un paio di giorni prima dell’attentato, in compagnia di Gedeo Rodriguez, altro agente della rete di estrema destra di esiliati cubani, principale indiziato dell’atto terroristico.

(7) Felix Martinez Suarez agiva a Caracas sotto la protezione dell’ambasciatore cileno in Venezuela Pedro Daza, e godeva del supporto finanziario dell’“American Council for Wold Freedom”, organizzazione di estrema destra con sede in Washington.

(8) La partecipazione diretta dello stesso Bosh alle due operazioni fu provata da elementi oggettivi. Alla vigilia dell’attentato al leader della sinistra rivoluzionaria cilena, il terrorista si trasferì a San José utilizzando un passaporto falso emesso dalla cancelleria cilena. Nel caso dell’assassinio di Orlando Letelier, fu provato che Bosh si incontrò tre giorni prima a Caracas con i fratelli Ignacio e Guillelmo Novo Sampol, ritenuti dalle autorità statunitensi i due autori materiali della morte del diplomatico.

(9) L’immagine di “intoccabile” permise a Orlando Bosh di stringere importanti contatti politici e relazioni d’affare con gli uomini di punta dell’establishment repubblicano della Florida, in particolare Jed Bush, figlio dell’allora direttore della Cia, George Bush.

(10) Orlando Bosh, Howard Hunt e altri agenti Cia di origine cubana, tra cui Rafael Quintero, di cui vedremo in seguito il ruolo nella gestione del traffico di armi con la Contra nicaraguense, hanno partecipato congiuntamente allo sbarco nella Baia dei Porci e alle operazioni di spionaggio del Watergate. Ad essi si aggiunge il nordamericano Frank Sturgis, che secondo la ricostruzione del film di Oliver Stone JFK, avrebbe sparato a Dallas con Hunt contro la vettura che trasportava il presidente John F. Kennedy. Essi sarebbero stati fotografati dall’Fbi, ma le foto sarebbero poi misteriosamente sparite. Sarebbero stati fotografati anche alcuni agenti di origini cubane che avrebbero aperto degli ombrelli, come segnale per avvertire del passaggio del corteo di auto presidenziali.

(11) “The New York Times”, 23 ottobre 1976.



1 réactions


  • (---.---.---.5) 8 gennaio 2011 11:35

    Finalmente un articolo serio!


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