lunedì 8 febbraio 2021 - Enrico Campofreda

Afghanistan, un rene per sopravvivere

Nel Paese dove ogni cosa ha un valore, tranne la vita umana, il prezzo d’un rene dipende dal mercato e dalle offerte.

 Certo è che presso un ospedale ormai specializzato in questo genere di trapianti – New York Times ne individua uno, Loqman Hakim di Herat, Afghanistan occidentale - l’uso di organi estirpati da giovani corpi in demolizione per sopravvivere, diventa un tragico ossimoro. La drammatica realtà esiste a svariate latitudini, l’India per tutto un periodo deteneva una sorta di primato della disperazione. Seguita da Pakistan e Filippine. E più la demografia s’accresce, più i miserabili finiscono impigliati in un simile sūq. Il Sud del mondo, e quel mondo slabbrato dalla geopolitica più funesta che ne travia l’esistenza, paga il conto più brutale. Eppure nei dintorni della struttura di Herat che pratica tale mercimonio non s’aggirano i ricchi del mondo ricco. Il rene è ceduto a concittadini mediamente capaci di pagare il disgraziato venditore per salvare un congiunto gravemente malato. Il prezzo oscilla dai 3.500 ai 4.500 dollari, meno che un viaggio della speranza verso Occidente. In tal modo chi cede il prezioso organo vivrà menomato, ma vivrà. Chi lo riceve potrà avere l’opportunità di sostenere una condizione che poteva ulteriormente compromettersi. Col consenso di entrambi la religione non pone ostacoli. Venditore e acquirente vengono ricoverati senza che la struttura sanitaria chieda di più, tranne ovviamente i costi dell’intervento che il compratore ha denaro sufficiente per pagare. Per entrambi. I chirurghi non entrano nel merito, il business è una questione privata, loro prestano un’opera professionale. Il traffico d’organi è vietato ovunque, ma chi si muove in questi meandri, nei ruoli più diversi compreso quello sanitario, sa che le scappatoie sono numerose come le possibilità di tenere in piedi il percorso che può avere risvolti semplicemente commerciali, comunque diverso dagli spregevoli crimini di rapimenti infantili e adolescenziali con relativi sparizioni e omicidi. In Afghanistan si parla di “semplice” mercato. Dettato dall’indigenza nera, passata dal 50 al 70% della popolazione, e dal degrado, che la condizione in cui è ridotta la nazione con le sue guerre infinite e il vuoto economico, portano in eredità. Senza futuro. In quei villaggi, in quelle città esiste solo un presente colorato d’ocra come la polvere che tutto avvolge anche nelle giornate d’aria ferma.

Enrico Campofreda




Lasciare un commento