lunedì 29 ottobre 2012 - Trilussa

Afghanistan, quota 52. Ma siamo sicuri di sapere veramente chi sono i talebani?

Siamo a quota cinquantadue. Cinquantadue giovani soldati uccisi in Afghanistan in una operazione che di pace sembra avere ben poco. Le immagini televisive che ci arrivano sono fatte di armi e di morti. Cosa ci stiamo a fare in Afganistan e come si debbono definire i talebani? Una risposta diversa da quella ufficiale, una visione alternativa utile per riflettere.

Siamo arrivati a quota 52.

L’ultimo è un alpino di 24 anni, il caporale Tiziano Chierotti di Arma di Taggia. Colpito all’addome è stato operato in un ospedale americano ma purtroppo le sue condizioni si sono aggravate fino al decesso. Cordoglio e partecipazione sono stati espressi dalle massime autorità del Paese ma non so quanto sollievo queste possano aver dato ad una famiglia per la morte di un figlio di 24 anni.

Nello stesso giorno sono stati uccisi anche quattro soldati americani e due inglesi (il bilancio inglese è ancora più pesante, 431 soldati uccisi dal 2001 per non parlare degli americani con 1783 vittime alla fine del 2011).

I due inglesi, di cui una donna, sembra siano stati uccisi per un 'insider attack', vale a dire per l’azione violenta di militari delle forze di sicurezza afghane che avrebbero rivolto le loro armi contro i soldati britannici. Soldati che magari erano stati i loro istruttori.

Attacchi sempre più frequenti, una specie di fuoco amico, una buona dimostrazione di quanto i militari stranieri siano graditi in quel paese nonostante i soliti discorsi dei politici sui soldati portatori di pace, sulla difesa della popolazione locale, sull’aiuto alla ricostruzione, sulla benemerita opera di transizione verso un governo autonomo, verso la tanto attesa democrazia.

Comunque cinquantadue i soldati italiani uccisi nella missione Afganistan. Non sarebbe forse il caso di domandarci cosa cavolo ci stiamo a fare?

Si rischia sempre di cadere nel conformismo di ripetere che siamo andati a portare la pace come dice il Governo e quasi tutti i partiti. Se però si osservano le immagini televisive che arrivano da quei luoghi non è che si vedano orti coltivati, edifici in costruzione, scuole con bambini puliti e festanti, immagini di eventi culturali o semplicemente strade cittadine piene di gente tranquilla e sorridente che va per negozi. Quello che vediamo sono invece militari armati di tutto punto come in stato di guerra, elicotteri con fucili mitragliatori spianati, grossi veicoli armati e protetti, enormi postazioni militari circondate da alti muri perimetrali con filo spinato, strade polverose e deserte, case diroccate, desolazione e abbandono.

I conduttori del telegiornali usano termini diversi per definire gli “altri”. L'altra sera il conduttore del TG1 ha usato il termine ribelli, di solito alternato a Talebani, insorti eccetera. Se volessimo fare un paragone col passato e portassimo tutto nel nostro paese mi piacerebbe domandare, visto che in questo caso lo straniero siamo noi e i cosiddetti ribelli sono in fin dei conti a casa loro, come andrebbero chiamati?

Sono critico e contrario a questa guerra, è vero e l’ho detto più volte. Prima di tutto perché quella che stiamo vivendo è una vera guerra e in contrasto con un articolo fondamentale della nostra Costituzione, e poi perché ritengo che la democrazia non si possa importare in un paese con le armi. Con le armi diventa un’imposizione, come una tassa o peggio una costrizione che non può avere radici profonde nella popolazione ma rimane legata alla presenza fisica delle forze straniere. Mi auguro sinceramente che non accada, perché allora il sacrificio dei nostri soldati diventerebbe ancora più inutile, ma ho il timore che al momento che i militari degli altri paesi lasceranno l’Afganistan la parvenza di democrazia che gli USA hanno imposto al paese non resisterà a lungo e la guerra civile tornerà a martirizzare di nuovo il paese. Gli insider attack sempre più frequenti e il Primo Ministro costretto a viaggiare sempre scortato da un imponente spiegamento di forze e oggetto di continue rimostranze da parte della popolazione fanno appunto prevedere una situazione sia ancora lontana da essere stabilizzata nonostante i tanti proclami pubblici in merito.

Abbiamo, è vero, degli impegni internazionali per la nostra presenza in quel paese ma questi impegni possono anche essere rinegoziati, stante anche il momento di grave crisi economica del nostro paese. Il Governo spagnolo lo fece nel 2004 ritirando completamente il proprio contingente dall’Irak ed ora sta valutando, sempre per motivi economici, di ritirare gli oltre mille soldati schierati in Afganistan.

Ma la domanda principale rimane quella del motivo per cui siamo e restiamo in Afganistan e come dobbiamo considerare i cosiddetti “ribelli”.

La mia opinione sul motivo della nostra presenza in Afganistan e sulla natura dei cosiddetti ribelli è in parte dovuta alla lettura di alcuni libri sull’argomento fra cui “Il mullah Omar” di Massimo Fini da cui deriva un diverso modo di intendere la storia e che descrive i talebani non come quei crudeli assassini che siamo stati abituati a considerare ma semplicemente come cittadini afgani che vogliono difendere le loro tradizioni, sia pure molto spesso crudeli e insensate ai nostri occhi di occidentali, in un paese martoriato da dieci anni di guerra ma sempre lontano dal fondamentalismo islamico e dal terrorismo. Uomini che chiedono solo di poter decidere liberamente del proprio futuro e del destino della propria nazione opponendosi, con le armi, all’imposizione del modo di vivere occidentale voluto dagli americani.

Un modo di vivere occidentale che per ora nel paese ha saputo importare solo quello che di peggio è nella sua natura e cioè corruzione, favoritismi, pornografia e tirannia del denaro.

È anche vero che agli occhi di noi occidentali l’applicazione della dura sharia appare incomprensibile e crudele, specie nei riguardi delle donne e dei costumi occidentali ma non bisognerebbe mai dimenticare il diritto di ogni popolo di decidere del proprio futuro e non credo che questo si possa modificare o imporre con le armi. I talebani, pur un comportamento duro e crudele e spesso incomprensibile se paragonato al nostro sentire, non hanno mai avuto mire espansionistiche né la pretesa di imporre il loro credo al di fuori della loro terra ma solo il desiderio di poter decidere da soli il destino del proprio popolo.



1 réactions


  • (---.---.---.53) 29 dicembre 2012 14:00

    Sono morti ? Le mie più sentite condoglianze...ma una cosa, come mai sono andati là come contingente di pace e poi sono armati fino ai denti ? Quanto li pagano per andare a sparare ? 800 euro ? Non credo...


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