venerdì 6 marzo 2020 - Enrico Campofreda

Afghanistan, la pace dei sei giorni

Pace, pace hanno ripetuto tutti, ma chi la garantisce e chi la attenta? Stamane a Kabul ha rischiato di morire nientemeno che uno dei rissosi pretendenti alla presidenza, Abdullah Abdullah, che nelle scorse settimane aveva minacciato il vincitore ufficiale di elezioni praticamente senza votanti, Ashraf Ghani. 

L’attentato ha colpito la cerimonia che commemorava Abdul Ali Mazari, carismatico leader della comunità hazara e lui stesso signore della guerra ucciso venticinque anni fa, quando il fratricida conflitto civile non era ancora terminato. Nell’attacco odierno, che non ha provocato vittime ma solo diciotto feriti (un avvertimento per prossimo sangue?), erano presenti altri uomini delle Istituzioni della passata amministrazione: il vicepresidente di Karzai, Karim Khalili. Neanche a dirlo un altro signore della guerra. Immediatamente il dito indagatore su chi siano gli attentatori s’è rivolto sui talebani. Loro hanno sdegnatamente smentito ogni coinvolgimento, sostenendo che l’agguato colpiva anche l’accordo recentemente sottoscritto a Doha. E allora di chi è la mano? Esclusa la fantasiosa ipotesi del Capo di Stato come mandante - i ferri corti fra lui e Abdullah sono noti ma finora non si è passati a quelle congiure di Palazzo che pure la Kabul filosovietica ha conosciuto - i sospetti si rivolgono alla frangia talebana dissidente che dal 2017 rivendica attentati, taluni sanguinosissimi, a nome dell’Isil. Proprio nella stessa commemorazione un anno fa le bombe dell’Isil avevano ucciso diverse persone. Fra questi miliziani del sedicente Emirato del Khorasan e la componente maggioritaria della Shura di Quetta per due anni si è stabilito uno scontro a distanza a suon di camion-bomba per il controllo di molti distretti afghani. Ovviamente a danni della popolazione di tutte le etnìe che ha contato centinaia e centinaia di vittime. Dal 2018 la Shura ortodossa ha ricevuto anche il sostegno della rissosa Rete di Haqqani, passata nelle mani di Sirajuddin molto più moderato del patriarca Jalaluddin. Così, pur sotto la guida del chierico fondamentalista Haibatullah Akhunzada, la Shura di Quetta ha intrapreso col suo rappresentante Baradar la via della mediazione diplomatica richiesta dagli Stati Uniti. Chi è rimasto spiazzato è l’Isil, che dunque si rifà sotto. E riporta la guerra strisciante in un Afghanistan che non si pacifica. 

Enrico Campofreda




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