venerdì 3 luglio 2020 - Enrico Campofreda

Afghanistan, fra talebani e spie

I nuovi volti, le recenti frontiere dell’affarismo di guerra afghano prospettano sempre più intrecci d’ogni genere, collaborazioni fra Intelligence e criminali, che poi è una rimpatriata fra simili. 

Certo, gli agenti delle strutture maggiormente sofisticate improntano piani altrettanto raffinati, perciò dovrebbero scegliersi pedine affidabili non solo per raggiungere lo scopo, ma per serbare anche un decente livello di segretezza. Però ambienti infarciti di personaggi degeneri oppure negligenza e superficialità degli stessi Servizi, che sanno di non dover tenere la guardia alta, producono storie come quella di Rahmatullah Azizi apparsa sul New York Times, attorno all’intreccio di taglie pagate dalla GRU russa ai talebani per uccidere soldati statunitensi, anche in epoca di trattative di “pace”. Oggi quarantenne, Azizi è raccontato da conoscenti come un ex ragazzo che non aveva neppure una coperta per coprirsi. L’emancipazione giunge attraverso il canale del contrabbando di droga, verso l’Iran e altrove. Ma il salto affaristico di quest’elemento minore del panorama criminale afghano giunge quando viene contattato da appartenenti all’intelligence moscovita per il ruolo di mediatore impegnato a trovare miliziani pronti a uccidere soldati americani, in una fase in cui le trattative di Doha non avrebbero dovuto condurre a scontri aperti. Tutto in cambio di laute somme.

Vero, falso? L’escalation economica di mister Azizi, attualmente dotato d’un cospicuo patrimonio immobiliare, di pattuglie di guardie del corpo degne dei più agguerriti Signori della guerra, oltreché di cumuli di contanti: mezzo milione di dollari sono stati trovati in una delle sue abitazioni di Kabul durante una perquisizione messa in atto da militari afghani e statunitensi, evidenziano il cresciuto affarismo del chiacchierato cittadino afghano e avvalorano la tesi. Gli intrecci della geopolitica possono far pensare a un abbandono da parte dei suoi ultimi padrini, quelli del “Direttorato per l’informazione” molto utilizzato da Putin in politica estera come contraltare del “lavoro” della CIA. Poveri coloro che si ritrovano in mezzo alle trame di simili Servizi, soprattutto se si tratta di civili innocenti. In quest’operazione che doveva, e magari ha, riempito le tasche di combattenti talebani, forse nuclei borderline rispetto alla linea ortodossa della Shura di Quetta, impegnatasi nel corso delle trattative a non sparare sul nemico, gli uomini di Mosca potrebbero aver tramato per far saltare il tavolo di pace, reso peraltro già traballante dalle ritrosie all’accordo del governo Ghani. Oppure per mettere in difficoltà la linea Trump, dopo una fase di apprezzamento e sostegno. Certo è che le superpotenze nei confronti del combattentismo islamico d’ogni epoca - mujaheddin, qaediasta, talebano e del Daesh - attuano il doppiogioco favorevole alla propria industria bellica, oltre alle geo strategie talora cangianti. Una prassi che prosegue e si rinnova.

Enrico Campofreda




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