venerdì 5 novembre 2021 - Enrico Campofreda

Afghanistan: Haqqani, i guastatori

L’attentato, l’ultimo del 2 novembre all’interno dell’ospedale militare di Kabul, nella zona non facilmente accessibile di Wabir Akbar Khan, evidenzia tutta l’impossibilità talebana di controllare il territorio. Addirittura il centro della capitale. Più o meno quel che accadeva al peggior esecutivo Ghani da un paio d’anni a questa parte. 

Pur agghindati con divise recuperate nei magazzini del governo precedente, le forniture pagate coi fondi internazionali ora praticamente azzerati per la disperazione della popolazione e dello stesso Gotha dell’Emirato, i miliziani diventati esperti di “sicurezza” hanno solo potuto ingaggiare un conflitto a fuoco con gli assalitori. Ne hanno eliminati cinque – così dichiara un portavoce taliban – fra la prima deflagrazione del corpo d’un kamikaze e il secondo martire. Ma fra le vittime, salite a venticinque, c’è anche un responsabile di quelle Forze di pattugliamento gestite direttamente dalla Rete di Haqqani: Hamdullah Mokhlis, tenuto in gran considerazione dal clan. Il suo diretto superiore sia nelle veste ufficiale di ministro degli Interni, sia in quella di leader del network, Sirajuddin figlio ed erede del fondatore Jalaluddin, dovrebbe risultare doppiamente colpito. Perché ha perso un elemento di fiducia e perché il piano di controllo del Paese è palesemente in crisi. Eppure il passato, remoto e recente, degli Haqqani rende il gruppo sibillino e inaffidabile. Nei due decenni di conflitto contro le truppe Nato, la maggioritaria Shura di Quetta in più occasioni ha riscontrato atteggiamenti riottosi di questi ‘studenti coranici’ che oscillavano fra i confratelli di Peshawar e la vicinanza al mondo qaedista. Sugli Haqqani ha sempre potuto contare l’Intelligence pakistana (Isi) interessata a manipolare le alleanze di guerra e guerriglia oltreconfine così da attuare cospicue ingerenze. Non è un segreto che nei mesi precedenti la presa del potere a Kabul, il gruppo (oltre a Sirajuddin ci sono lo zio Khalil, il fratello Anas, i parenti Najibullah e Abdul) abbia premuto per un’accelerazione della conquista di tutte le province, così da rendere smodata e caotica la ritirata statunitense.

Strattonando tutti i firmatari dell’Accordo di Doha, non solo Khalilzad, gli uomini del Pentagono e della Casa Bianca, ma proprio Baradar il capo delegazione di casa, considerato un moderato. Delle varie anime della galassia taliban che ha assunto il comando del Secondo Emirato, gli Haqqani sono risultati solo parzialmente limitati. Certo, a fine agosto Sirajuddin, che ambiva a diventare premier, s’è ritrovato “solo” capo di Polizia e Intelligence, e poco importa se queste figure sono incarnate da combattenti riconvertiti in ruoli di cui hanno solo vaghezza di competenza. Di fatto il leader della Rete ha uno dei poteri più ambìti. E poi Anas svolge funzioni politiche nell’attuale transizione, Khalil patrocina il dicastero dei Rifugiati, Najibullah ha il portafoglio della Comunicazione, Abdul dell’insegnamento Superiore, non tutti sono incarichi di primo piano, però il clan è un gruppo di potere organizzato. Organizzatissimo. Il più coeso fra i talebani. E nei frazionamenti e nelle conflittualità interne potrebbe – come ha fatto altre volte – dare fondo alla doppiezza. Dunque stare nell’Emirato, ma aprire porte alla dissidenza che ha dato vita allo Stato Islamico del Khorasan. Alcuni osservatori giurano che, grazie a loro, un rilancio del qaedismo in terra afghana sia più di un’ipotesi. Del resto l’Afghanistan attuale sprofonda in un caos anche maggiore a quello degli ultimi anni. Dal punto di vista dello stragismo verso i civili la situazione insegue la frequenza di attentati dell’ultimo triennio. Mancano le incursioni dall’aria operate da caccia e droni americani, ma non è detto che simili interventi non possano riprendere. O da parte d’una Nato che torna sui suoi passi o delle potenze interessate al sottosuolo (la Cina innanzitutto) che l’insicurezza della terra di sopra blocca nel suo affarismo. E gli Haqqani? Per ora sono ministri dell’Emirato, potrebbero finire nelle maglie d’un Califfato o del terrorismo guastatore che esalta la morte a prescindere. Come ha fatto di recente Sirajuddin in un raduno di parenti dei martiri jihadisti capaci di sacrificare l’esistenza per contrastare l’invasione occidentale. Del resto gli Haqqani pensano che la trattativa in Qatar abbia rinnegato la ‘guerra santa’. Una battaglia che deve proseguire e destabilizzare la pacificazione.

Enrico Campofreda




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