lunedì 13 marzo 2017 - UAAR - A ragion veduta

Aborto | Popolo di navigatori, di santi e di obiettori

L’aborto è un diritto. Dal 1978, nonostante il referendum del 1981 e nonostante i continui tentativi di affossare, se non in parlamento nella pratica, la legge 194 che lo riconosce, disciplina e regolamenta. Tentativi che vanno a segno, tanto da rendere impossibile in moltissimi nosocomi e addirittura in intere province e regioni l’usufruire del diritto di cui sopra. Questo perché ancora con anacronistica protervia la normativa consente l’obiezione di coscienza.

Introdotta giustamente per tutelare chi era già operante nella sanità pubblica al momento dell’entrata in vigore della 194, protegge senza alcun senso, quarant’anni dopo, anche i neo assunti. Anzi, è diventata il passe partout indispensabile per gli avanzamenti di carriera. Nel pubblico; che poi cosa realmente facciano i ginecologi obiettori nella professione privata non sempre, o quasi mai, è realmente dato sapere.

E quindi con un paradossale percorso inverso alle stesse finalità della legge (che è, sì, a tutela della maternità come dice il titolo stesso, ma nell’ottica di promozione della libera scelta della donna) quella che doveva essere l’eccezione è diventata la regola, tanto da conclamare spesso e volentieri una vera e propria interruzione di pubblico servizio. Comprensibile quindi, ma non meno disgustosa, l’ondata di polemiche per il concorso al San Camillo di Roma, bando già peraltro uscito vittorioso da un ricorso al Tar, che ha lo scopo di assicurare due (ben due!) medici non obiettori a un reparto che, al momento, accetta solo dieci donne al giorno. Donne che sono costrette, in fila in cortile da prima dell’alba, a sgomitarsi l’un l’altra per rientrare nelle poche fortunate. Nel centro di Roma, nel 2017.

Ci si scandalizza, si grida addirittura alla discriminazione, per il primo timido tentativo di ridare concretezza a un diritto già riconosciuto oggi sempre più difficile da esercitare: il diritto all’autodeterminazione in materia sessuale e riproduttiva.

D’altronde, la disinvolta preminenza moralistica che a torto si vorrebbe veder associata alla scelta obiettrice fa sì che questa possibilità venga estesa anche extra e contra legem. Dai farmacisti comunali che non consegnano la c.d. pillola del giorno dopo (contraccettiva, non abortiva) al rifiuto di semplici prescrizioni o analisi se anche lontanamente collegate a un’interruzione di gravidanza. E in tutti i casi ci si appella a quello che, non proprio improvvisamente ma certo con peculiarità italica, sovrasta qualsivoglia fonte o obbligo normativo: il codice deontologico professionale. Come se l’Ordine, medici o farmacisti o personale sanitario che sia, con la sua — oggi discutibilissima — autodichia valesse di più e avesse maggior peso dell’ordinamento giuridico globalmente inteso.

E poi c’è il crudele, crudelissimo gioco sulla pelle degli altri, la violenta e ingiustificata bilancia che in nome di chissà quale morale fa pesare in modo molto diverso le differenti volontà.

Proprio mentre scriviamo, in questi minuti, è morto Dj Fabo. In Svizzera. Perché qui c’è chi bercia scompostamente di voto frettoloso su una proposta di legge, quella sul cosiddetto testamento biologico, che si discute in parlamento da solo otto anni. Che dopo 16 testi e 3200 emendamenti (stile unioni civili, insomma) potrebbe finalmente arrivare alla discussione parlamentare. Potrebbe, se non scivolasse di rinvio in rinvio fino, più che alle calende greche, probabilmente alle elezioni. Progetto di legge che comunque ben si premura di tutelare, grazie ad opportune modifiche in corso d’opera, guarda caso proprio il volubile e difficilmente interpretabile codice deontologico. Per fornire insomma al medico tutta quella ampia discrezionalità che sconfina nell’ignorare sic et simpliciter le volontà del paziente.

Perché il diritto a una morte dignitosa solo in altri paesi è riconosciuto, e da decenni. Solo in altri paesi è considerato un bene da tutelare quantomeno al pari di coloro che a questo diritto vogliono liberamente rinunciare. Qui da noi, no. Aiutiamoci a casa loro. Fatta la legge, trovato l’inganno, si dice. E su questo siamo bravi. Ma, qui da noi, andiamo persino oltre e siamo bravissimi: troviamo l’inganno prima ancora sia fatta la legge.

Adele Orioli
Responsabile iniziative legali Uaar

Testo integrale dell’articolo pubblicato su Left dell’11 marzo 2017



1 réactions


  • Danilo (---.---.---.151) 14 marzo 2017 21:52

    per la maggior parte dei medici è normale interrogarsi quando la propria azione porta alla interruzione della vita di un essere umano. Perchè al netto di tutti i diritti, i traumi traumi psicologici, le problematiche economiche,i veti religiosi, è questo che avviene in un aborto. È una forma di autoconservazione nella natura della nostra specie. Non vedo perchè meravigliarsi.


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