mercoledì 9 agosto 2023 - Phastidio

Un sms è brutale, ma serve il domicilio digitale

Casi di attualità, gestiti in modo cervellotico, confermano la necessità di spingere per arrivare alla comunicazione digitale tra cittadino e PA. Se ne parla da molto tempo, è previsto nel PNRR ma si può accelerare.

 

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

sembra di poter capire che la gestione del Reddito di Cittadinanza, meglio dire della chiusura del Reddito di Cittadinanza per centinaia di migliaia di famiglie, possa passare attraverso un sms.

Ai percettori del Reddito “occupabili” (secondo la fantasiosa definizione della neolingua), come noto, è stata “notificata” la cessazione del beneficio con un sms, dal testo pensato dalla Sibilla Cumana: “Domanda di Rdc sospesa come previsto dall’articolo 13 del DL 48/2023 conv. Legge 85/2023. In attesa eventuale presa in carico da parte dei servizi sociali”. L’unica cosa chiara è che l’erogazione del reddito è sospesa, sul resto cala il mistero, a meno che non si pretenda di considerare chiaro e comprensibile a tutti il concetto di “presa in carico”, fermo restando che la presa in carico difficilmente viene considerata valore equivalente alla moneta in una qualsiasi negoziazione.

Ma, Titolare, al di là del merito delle decisioni connesse al Reddito, quel che interessa è il metodo utilizzato per informare i destinatari dello stop al beneficio: un sms, appunto.

Strano. Da sempre per le pubbliche amministrazioni si pone il problema, piuttosto rilevante, della forma dei provvedimenti e, soprattutto, delle modalità per renderli noti ai destinatari.

UNA COMUNICAZIONE SCRITTA E “SACRALIZZATA”

Senza entrare troppo in noiosi dettagli, la legge 241/1990 e un oceano di sentenze impongono alle PA di esprimersi mediante provvedimenti aventi forma scritta e “sacralizzati” in altre forme e contenute, in assenza dei quali può scattare persino la nullità: l’intestazione, la parte “narrativa” che racconta i fatti, la “motivazione”, che spiega le ragioni della scelta, la parte “decisoria” ove si esprime la volontà del provvedimento, il luogo, la data, l’indicazione precisa del soggetto che sottoscrive, la sottoscrizione autografa o digitale.

Non parliamo, poi, degli strumenti per comprovare l’avvenuta trasmissione e conoscenza: da sempre un intrico di norme complicatissime ed astruse impone alle PA, a garanzia della “piena conoscenza” del cittadino, sistemi di notifica complessi e barocchi, tra i quali spicca l’odissea della notifica a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, corredata da decine e decine di giorni di attesa tra compiuta giacenza, notifica della compiuta giacenza, efficacia definitiva della notifica e, finalmente, dispiegamento dell’efficacia del provvedimento.

Intere batterie di provvedimenti delle pubbliche amministrazione regolarmente si incagliano a causa di problemi sulla regolarità delle notifiche; basti pensare al solo esempio della trasmissione degli accertamenti e dei ruoli tributari.

Pensare di inviare per sms la notifica di un’infrazione al codice della strada, o dell’avviso di pagamento di un tributo, o di un qualsiasi altro provvedimento sarebbe indice, per il funzionario che fosse autore di tale idea, di un serio intervento di analisi delle capacità lavorative, oltre che dell’intendere e del volere.

Evidentemente, tutto ciò non vale per l’Inps. In effetti, l’Istituto da sempre si caratterizza, nel mondo della PA, per essere sostanzialmente un soggetto a parte, che quasi tutto può e decide in bella solitudine ed indipendenza; per esempio, nessuno ha mai messo in discussione la decisione atavica di non condividere con altre amministrazioni le preziosissime proprie banche dati.

Dunque, se “la bugia pietosa a’ medici è concessa”, la comunicazione delle decisioni tramite sms all’Inps è parimenti consentita. Perché non si sa, ma prendiamone atto.

Soprattutto chiediamoci, allora, perché non sia possibile estendere questo sistema di comunicazione ad altre fattispecie, per semplificare ed alleggerire davvero l’azione della pubblica amministrazione.

LA SANZIONE PER VIOLAZIONE DELLA CONDIZIONALITÀ

È da sapere, Titolare, che nell’ambito proprio delle politiche del lavoro esiste la cosiddetta “condizionalità”, cioè il condizionamento della percezione di qualsiasi beneficio del disoccupato, dalla Naspi al Reddito di Cittadinanza, all’effettivo svolgimento delle azioni di ricerca attiva previste dal patto di servizio che si stipula con i servizi pubblici per il lavoro.

Se, per esempio, un percettore di Naspi non si presta a seguire i corsi di formazione nell’ambito del progetto GOL, allora i servizi pubblici debbono adottare un provvedimento di decurtazione o decadenza dalla percezione della Naspi.

Ma, attenzione: tale provvedimento deve essere notificato secondo i crismi bizantin-burocratici della raccomandata A/R, altrimenti il Comitato per i ricorsi di condizionalità istituito presso l’Anpal (ma, ora che l’Anpal non c’è più, che fine fa?) annulla senza pietà il provvedimento, sicché il beneficiario un po’ furbetto continua a percepire la Naspi, pur sottraendosi ai doveri di ricerca attiva di lavoro.

Eppure, come l’Inps, anche i centri per l’impiego dispongono di un’anagrafica completa di contatti come numero di cellulare e mail.

Perché, allora, non estendere il più possibile, ma con norme di legge e non su iniziative estemporanee, la legittimità delle comunicazioni tramite strumenti digitali, prevedendo metodi più “formali” solo per determinate fattispecie (sanzioni amministrative e procedimenti tributari, fermo restando tutto il mondo a sé stante delle notifiche nell’ambito dei procedimenti giudiziari)?

In effetti, sono anni che ci si pensa. Il PNRR ha previsto tra i propri obiettivi anche quello della costituzione di una piattaforma digitale delle notifiche, invero da molto tempo presente nel codice dell’amministrazione digitale.

Sembra che siamo ad un passo: è stata varata la piattaforma Send, il cui scopo è proprio quello di consentire, finalmente, contatti interamente digitalizzati tra PA e cittadini, con anche la possibilità di un sistema misto: la PA attiva comunicazioni solo digitali, il gestore della piattaforma fa pervenire ai destinatari privi di indirizzi digitali le comunicazioni in forma cartacea.

Sintetizzato così, Titolare, sembra semplice. Ma, non è per nulla, tanto è vero che ancora si annaspa e il sistema è ben lontano dall’essere diffuso e funzionale.

Anche perché appunto si lascia ancora aperta la possibilità di una gestione mista digitale-analogica, sicuramente non funzionale ad una vera semplificazione.

Sicuramente il problema del profondo digital divide non aiuta al funzionamento pieno di questi sistemi: basti anche ricordare l’avversione di molti allo Spid e agli strumenti di pagamento della piattaforma PagoPA.

SPINGERE IL DOMICILIO DIGITALE

Eppure, basterebbe poco. Ogni cittadino quando chiede servizi alla PA è costretto a pagare il più medievale e odioso dei tributi: l’imposta di bollo, una gabella dovuta per il semplice fatto di rivolgere un’istanza ad una pubblica amministrazione o di compilare un modulo o una fattura.

C’è da chiedersi perché non funzionalizzare il gettito ad un’operazione semplicissima: finanziare la creazione di una casella o comunque di un punto di contatto obbligatorio, definibile domicilio digitale o come meglio si creda, come obbligo per qualsiasi cittadino si rivolga a qualsiasi PA e come condizione per ottenere sussidi, permessi, iscrizioni, autorizzazioni.

Si chiede una carta di identità, uno sgravio da imposta, un permesso, una licenza? L’imposta di bollo da scontare sia alla base dell’apertura obbligatoria dell’accesso digitale, pubblico o, se privato, con provider scelto liberamente dal cittadino; ovviamente, tale scelta va fatta solo una volta: tutte le PA dovrebbero potere accedere ad un registro nazionale di tali indirizzi digitali.

In tal modo, si avrebbe una decisiva semplificazione dei contatti tra PA e cittadini e la notifica delle decisioni adottate dalle amministrazioni cesserebbe di essere un incredibile problema operativo autoprodotto da un Legislatore molto propenso, come Penelope, a disporre regole anche severe, per poi disfarle a causa di una raccomandata.

E, Titolare, si scongiurerebbero sms tanto improvvisati, quanto oggettivamente odiosi. Quante volte abbiamo letto sui giornali articoli di pesante critiche ad aziende che hanno licenziato propri dipendenti con un anonimo, algido sms? C’è da chiedersi perché ammettere simile pratica anche per la PA, considerando oltre tutto che la limitazione a poche centinaia di caratteri certo non può consentire la produzione di testi comprensibili, a detrimento della trasparenza complessiva dell’azione amministrativa.

 




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