venerdì 25 settembre 2009 - Traiettorie Sociologiche

Traiettorie Sociologiche. Zygmunt Bauman: la letteratura come strumento e come piacere

Di Emanuela Spanò

 
Leggerezza ed enciclopedismo, capacità di spiazzare il lettore ed immaginazione, temi complessi presentati con leggerezza per catturare chi legge fino a condurlo ad una personale conclusione: la scrittura come strumento e tecnica. Ma la sociologia baumaniana non soltanto in questo è inestricabilmente legata alla letteratura, essendo un ponte gettato tra la realtà e la coscienza individuale, tra la finzione e la materialità delle cose.
 
Se Bauman ricorre spesso e volentieri alla metafora, condensatrice di significati ed incisiva dissonanza all’interno di un contesto oggettivo, e, come la critica gli riconosce, è un narratore, in maniera esplicita ha rivendicato un legame tra “la vocazione del poeta” e “il mestiere del sociologo” proprio nel comune obiettivo di demolire “i muri dell’ovvio e dello scontato” Bauman (2007, pag. 240).
 
Una concezione del “mestiere” che affonda le sue radici nella formazione culturale e politica di Bauman. Dall’Umanesimo polacco discende, infatti, il suo legame con la sociologia classica mediato dalla letteratura, mentre quest’ultima ha rappresentato per lui il rifugio dopo la perdita di ogni speranza nella possibilità di un processo indolore di democratizzazione seguita al tramonto dell’Ottobre Polacco, sul quale l’invasione dell’Ungheria nel novembre del 1956 si era abbattuta come una mannaia. Rifugio personale, dunque, ma anche strumento altro cui fare riferimento, destinato a lasciare forti tracce sulle sue elaborazioni sociologiche successive.
 
Se questo è il punto d’arrivo del rapporto con la letteratura, considerata come lo strumento più adatto e più sensibile per indagare la vita degli uomini, non è un caso che lo scrittore di cui più tardi riconoscerà l’importanza durante quegli anni bui è Albert Camus, non quello genericamente accostato all’esistenzialismo francese, ma il suo critico, vale a dire l’autore nel 1943 di Il mito di Sisifo e soprattutto nel 1951di L’uomo in rivolta.
 
Un romanzo, il primo, e una raccolta di saggi, il secondo, che rappresentano due tappe di uno stesso sofferto percorso e segnano una svolta nell’idea di azione politica dello scrittore francese, esemplificata dalla scelta di due figure così differenti come Sisifo, protagonista del primo, e Prometeo che domina il secondo.
Sisifo si trasforma nel grande simbolo dell’ assurdità della condizione umana e della possibilità di scegliere il suicidio come conclusione, logica o meno, di tale assurdità. Qui l’esistenzialismo di Camus s’incontra con l’ideale di una concezione attiva dell’essere nel mondo così da respingere la soluzione del suicidio quale risposta al non senso dell’esistenza: la rivolta diviene l’unica conclusione logica e Prometeo ne è la mitica incarnazione. Ed è proprio a lui, il ribelle, a cui Bauman guarda, immerso nel lungo sonno polacco, perché l’uomo in rivolta di Camus dice di no, ma non è una rinuncia, e può anche dire di sì, nel momento in cui inizia a ragionare autonomamente. Posizione molto vicina al “diritto alla disobbedienza” dei sociologi che Bauman rivendicherà in Voglia di Comunità.
 
Se con Sisifo, lo scrittore francese aveva già rifiutato il suicidio come soluzione, con Prometeo era la vita degli altri, per quanto assurda, a meritare rispetto. Di fronte al nichilismo, all’indifferenza che lo circondavano, il valore della vita umana diveniva un tema centrale di riflessione: in pieno stalinismo e con ancora vivi e brucianti gli effetti del nazionalsocialismo, la solidarietà incondizionata assumeva un’importanza cruciale.
 
Il processo era compiuto. Camus si era trasformato nell’anti-Sartre per eccellenza, ed è, infatti, proprio dopo la pubblicazione de L’uomo in rivolta che la rottura tra loro divenne definitiva. Coerentemente, Camus era entrato a far parte della Resistenza francese per battersi contro l’indifferenza, mentre Sartre appoggiava e avrebbe appoggiato tutte le manifestazioni del potere, dallo stalinismo al maoismo, in cui la violenza e il sacrificio di vite umane venivano giustificati in nome di un ideale astratto di società libera.
 
In altri termini, all’ideale di rivoluzione sartriano si contrapponeva quello della rivolta, della possibilità di tutelare l’umanità e ridare significato al diritto alla vita e alla disobbedienza. Sinteticamente in una intervista Bauman affermava: “Albert Camus? Mi ha insegnato la ribellione. E la sensibilità alla giustizia che è il prevenire che la gente soffra.”(2002b) ed è attraverso la sua mediazione che era approdato alla lettura di Antonio Gramsci.
 
I Quaderni del carcere ben si adattano, infatti, ad una comprensione della realtà come entità costruita e non data, parte della storia umana e non esterna ed ineluttabile:  “Gli sono grato - diceva Bauman nella già citata intervista - Mi ha permesso di congedarmi onorevolmente dall’ortodossia marxista. Senza vergogna per averla condivisa e senza l’odio di tanti ex.”
 
Negli anni della speranza, l’influenza gramsciana lo aveva portato a problematizzare e de-familiarizzare il reale, convinto della possibilità di un’alternativa, della possibilità di creare un mondo migliore.
 
Gli stessi temi e la stessa attenzione all’individuo come attivo costruttore della realtà sociale, o piuttosto come interprete nella sua singolarità della realtà sociale, sono alla base del suo legame con Milan Kundera. Al di là degli evidenti tratti biografici comuni – il disincanto nei confronti del socialismo reale, l’esilio, la scelta di una nuova patria e di un’altra lingua, Parigi e il francese per Kundera, Londra e l’inglese per Bauman – è l’attenzione all’individuo che rende la sua opera letteraria così vicina alle posizioni di Bauman.
 
Ne L’arte del romanzo Kundera sosteneva, infatti, che fosse possibile individuare alla base della storia del continente europeo un processo dialettico, che opponeva al rigido sapere tecnico-scientifico quello del romanzo, nato come esplorazione dell’esperienza umana vissuta dall’interno, e forma suprema di conoscenza del mondo, perché “il romanzo non è una confessione dell’autore ma un’esplorazione di quello che è la vita umana nella trappola che è diventato il mondo” (pag. 10), così da conciliare tutte le forme della conoscenza.
 
Anche in questo caso, all’immoralità del romanzo che non indaga i segmenti sconosciuti dell’esistenza e al “falso poeta” che non va aldilà dell’ovvio analizzati da Kundera, corrisponde la figura del “falso sociologo” che Bauman in Modernità Liquida identifica con chi rimane chiuso tra le mura dello scontato. Intesi in questo modo, sia la sociologia che il romanzo risultano essere incompatibili con ogni forma di Verità assoluta, dovendosi invece lasciar attraversare dal mondo dell’ambiguo, da nuovi quesiti e possibilità, liberi come deve essere l’ arte. Non sorprende, quindi, che Bauman affermi che Kundera “lo ha aiutato a capire la società meglio di molti altri sociologi” (Blackshaw, pag. 34).
 
Nello sforzo di allargare l’universo dei significati accessibili all’uomo, l’analisi baumaniana si oppone ad ogni forma di riduzionismo scientifico e razionale, e quindi, come anche per Kundera, forte è l’attrazione nei confronti della letteratura mitteleuropea e ovviamente di Robert Musil.
 
Già al primo impatto risulta evidente come l’atmosfera sonnolenta della Cacania di Musil assomigli molto a quella delle province dell’impero sovietico in cui vivevano sia Bauman sia Kundera. Al pari della narrativa di Musil, la sociologia di Bauman è intimamente antinaturalista e volta alla continua esplorazione delle possibilità umane, ed infatti a distanza di anni tornerà alla figura di Urlich in Amore Liquido, proprio all’inizio della prefazione opponendo al Der Mann ohne Eigenschaften, l’uomo senza qualità della società moderna, il suo Der Mann ohne Verwandtschaften, l’uomo senza legami, della società liquida (pag. V).
 
All’interno del particolare Pantheon cui fa continuamente riferimento, troviamo un altro autore italiano, Italo Calvino. Bauman, riferendosi alle sue Città invisibili, che considera come uno dei migliori testi di sociologia che siano mai stati scritti, ne parla come “il più grande filosofo tra i narratori e il maggior narratore tra i filosofi” (2002b). Ogni città infatti gli sembra dia formaad un argomento sociologico. Per tutte, Leonia, la città in cui la felicità ed il benessere sono misurati in base alla quantità di rifiuti che si gettano senza rimorsi e che per Bauman rappresenta il modello attuale in cui la transitorietà, lo scarto veloce, divengono i veri valori. E sempre a Calvino si affida per concludere Modus Vivendiusando le parole pronunciate da Marco Polo per descrivere “ l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme”, quello che la modernità liquida crea con la sua utopia del “qui ed ora”.
 
Meno netto ma non meno profondo è infine il rapporto con Jorge Luis Borges. A parte le citazioni sparse, verrebbe innanzitutto da indicare il piacere della lettura: il racconto Il giardino dei sentieri che si biforcano è infatti quello che Bauman dichiarava avrebbe portato con sé in un’isola deserta, scegliendo in una lista in cui comparivano sia Musil che Calvino, i quali indiscutibilmente “incarnano tutto quello che ho imparato a desiderare e che ho cercato invano di ottenere: la larghezza di vedute, l’essere a proprio agio in tutti i settori del vastissimo pensiero umano, il senso della poliedricità dell’esperienza e la sensibilità verso le possibilità ancora inesplorate”(Bauman, Tester 2002, pag. 25).
 
In particolare a Borges, riconosce il merito di trasfigurare le apparenze del banale, costringendo il lettore ad avventurarsi in territori inesplorati attraverso una scrittura che manifesta il piacere di sperimentare i meccanismi della letteraturae della realtà. Non deve stupire, dunque, che sia proprio Il giardino dei sentieri che si biforcano ad averlo affascinato: il racconto, contenuto in Finzioni, è un’opera a percorsi multipli con infinite storie, infinitamente ramificate, struttura molto vicina all’idea baumaniana di sociologia come ricerca incessante di nuove direzioni del possibile.
 
Al centro del racconto è, infatti, un libro che è in realtà un labirinto, poiché racchiude in sé tutti i possibili futuri, in una continua ramificazione delle conseguenze di ogni singolo gesto. Un racconto infinito, insomma, in cui il presente contiene in sé non solo il passato ma anche tutte le soluzioni future, in un cammino ininterrotto nel quale ogni deviazione può portare ad allontanarsi da se stessi. Per Borges, ovviamente, ilracconto ciclico,in cuil’ultima pagina è identica alla prima,implica la possibilità di proseguire indefinitamente, sfruttando leramificazioni del tempo, come neisentieri di un labirinto,allo stesso modo, la sociologia di Bauman incoraggia i lettori ad addentrarsi in mondi a loro sconosciuti: dell’ambivalenza, ad esempio, dell’etica, della globalizzazione. Potranno in tal modo aprirsi all’incessante ricerca di soluzioni possibili, più che probabili, pronti a ricominciare ogni volta da capo, salvo poi scoprire, ancora una volta che il sentiero scelto non era quello giusto.
 
 
 
Letture
Bauman Z., Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari, 2001.
Bauman Z., Liquid Modernity, 2000, trad. it.Modernità Liquida, Laterza Roma-Bari, 2002a.
Bauman Z., Il socialismo risorgerà come una fenice, in “Il Corriere della Sera”, 13 ottobre 2002b, a cura di Serena Zolli.
Bauman Z., Amore Liquido: sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza Roma-Bari 2004.
Bauman Z, Modus vivendi, Laterza, Roma-Bari, 2007.
Bauman Z. Tester K., Conversations with Zygmunt Bauman, 2001, trad. it. Società, etica e politica: conversazioni con Zygmunt Bauman, Raffaello Cortina, Milano, 2002.
Blackshaw T., Interview with Professor Zygmunt Bauman, “Network: Newsletter of the British Sociological Association, n. 83, 1-3 ottobre, 2002 in Tester K., Conversations with Zygmunt Bauman, trad. it.Il pensiero di Zygmunt Bauman, Edizioni Erikson, Trento, 2005.
Borges J. L., Ficciones, 1944, trad. it.Finzioni, Mondadori, Milano, 1984.
Calvino I., Le città invisibili, Einaudi, Torino, 1972.
Camus A., L’Homme révolté, 1951, trad. it.L’uomo in rivolta, Bompiani, Milano, 1996.
Camus A, Le Mythe de Sisyphe, 1942, trad. it. Il mito di Sisifo, Bompiani, Milano, 2001
Camus A., L’Étranger, 1942, trad. it. Lo straniero, Bompiani, Milano, 2006.
Donskis, Leonidas, Forms of Hatred. The Troubled Imagination in Modern Philosophy and Literature, 2003, trad. it. Amore per l’odio. La produzione del male nelle società moderne, Erickson, Trento, 2008.
Gramsci A., Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino, 1975.
Kundera M., L’Art du roman, 1986, trad. it. L’arte del romanzo, Adelphi, Milano, 1988.
Musil R., Der Mann ohne Eighenschaften, 1930-1933, trad. it. L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino, 1962.

Grazie a Quaderni d’altri tempi



3 réactions


  • magnitudo9.5 (---.---.---.189) 25 settembre 2009 21:30

    Bello! ...grazie


  • Glaros - scrittura creat(t)iva verygood (---.---.---.49) 26 settembre 2009 14:50

    Ottima riflessione che direi si muove nella giusta direzione.


  • Glaros - scrittura creat(t)iva verygood (---.---.---.49) 26 settembre 2009 14:53

    Alla ricca bibliografia, mi permetterei di aggiungere e suggerire la lettura di: Claudio Napoleoni, Dalla scienza all’utopia, Torino, 1992


Lasciare un commento