sabato 26 febbraio 2011 - Luca Tedesco

Sex workers, libero arbitro e utilità marginale decrescente

Gli scandali sessuali che investono il nostro Presidente del Consiglio stanno partorendo un’infinità di riflessioni circa la concezione e le caratteristiche dei comportamenti sessuali, segnatamente quelli maschili.

Purtroppo, studiosi di diverse discipline hanno impostato il dibattito solo in termini etici, sprecando l’opportunità di fornire un contributo originale, che facesse tesoro delle acquisizioni scientifiche maturate nei rispettivi settori scientifici di appartenenza (per quanto riguarda la morale, infatti, anche il più colto degli intellettuali non ne sa necessariamente di più dell'ultimo degli analfabeti).

Per i neuroscienziati, ad esempio, ha osservato Arnaldo Benini, docente di neurochirurgia e neurologia, nel suo Che cosa sono io. Il cervello alla ricerca di sé stesso, "gli eventi mentali e della coscienza sono ridotti a eventi elettrochimici". Sentimenti e stati d'animo sono il risultato di impulsi elettrici. Tale riduzionismo o fisicalismo naturalistico negherebbe quindi il libero arbitrio, essendo la coscienza un prodotto dell'attività cerebrale. È la materialità del cervello che produce insomma l'immaterialità dell'Io.

Le scienze del sistema nervoso sembrerebbero quindi sollevare ogni uomo dalla responsabilità delle azioni che compie, potendo questi sempre giustificare ciò che fa affermando di essere costretto a eseguire quanto disposto dal cervello secondo ineluttabili leggi fisico-chimiche.

La realtà, però, suggerisce Benini, è un po' più complessa; "le neuroscienze descrivono, per esempio, come uno stimolo luminoso raggiunge la corteccia cerebrale visiva, ma non spiegano, nemmeno in materia approssimativa, come lo stimolo diventi cosciente. Identificano quali aree del cervello sono attive quando si è indignati o bendisposti, ma la realtà di quegli stati d'animo e la loro causa rimangono oscure". L'elettrochimica dei neuroni, insomma, non chiarirebbe i contenuti della coscienza e della mente. L'argomento fondamentale contro la negazione del libero arbitrio avanzata dal riduzionismo delle neuroscienze, argomenta Benini, "è questo, anche se non apre la strada ad alcuna soluzione plausibile".

Bene, i neuroscienziati non possono, scientificamente, (ancora?) dimostrare l'inesistenza del libero arbitrio, ma neanche i sostenitori di esso possono, sempre scientificamente, dimostrarne l'esistenza. Questo, però, perlomeno in un Paese a civiltà liberale, dove l'onere della prova è a carico dell'accusa, dovrebbe portare a ritenere Berlusconi, come qualsiasi altro uomo o donna, “irresponsabile” dei propri comportamenti sessuali, come, in verità, di qualsiasi altro comportamento.

Fino a quando, infatti, non sarà possibile, semmai lo sarà, dimostrare con certezza l'esistenza di una volontà non deterministicamente condizionata da processi elettrochimici, nessuno dovrebbe essere ritenuto responsabile di nulla, neanche del crimine più efferato e, di conseguenza, neanche di induzione alla prostituzione minorile.

Ciò aprirebbe la strada al caos, all’anarchia sociale? Sicuramente. Ma lo scienziato, se non vuole essere servo del Principe o della Ragion di Stato, dovrebbe allora ammettere che la condanna morale e penale del reo non risponde affatto a un principio di giustizia, per l’appunto morale, ma a quello ben più prosaico e maledettamente necessario, ai fini della coesione sociale, dell’opportunità e della convenienza politica.

Ma forse anche l’economia politica, mi permetto di azzardare, potrebbe dare contributi utili alla comprensione delle attitudini sessuali umane.

Analizziamo, prima di tutto, le prestazioni sessuali a pagamento dal lato della domanda maschile.

Perché un uomo è disposto a pagare una prestazione sessuale? Immagino, essenzialmente, per due ragioni: o perché non riesce a trovare nessuno, dalle caratteristiche sessuali a lui gradite, disposto a soddisfare le sue esigenze sessuali gratuitamente; o perché non trova le prestazioni sessuali di chi pur gli si offre gratuitamente soddisfacenti.

Nell'uno come nell'altro caso non mi sembra convincente marchiare il fruitore della prestazione sessuale con le stigmate dell'immoralità. Che gli impulsi sessuali siano profondissimi e che il loro mancato soddisfacimento mini l'equilibrio psichico di una persona sono dati incontrovertibili. Riterremmo veramente giusto condannare allora una persona che, incapace di sedurre, perché non gradevole all'aspetto o perché non affascinante intellettualmente, dovesse scegliere la strada del sesso a pagamento? Riterremmo veramente giusto indicarle come l'unica via moralmente praticabile quella dell'autoerotismo tra le proprie pareti domestiche o nel cesso dell'ufficio?

Anche valutare il comportamento di colui che, pur avendo una compagna, dovesse avvalersi di prestazioni sessuali a pagamento alla luce del principio della moralità mi sembra una scelta poco fruttuosa.

Più fecondo mi sembra invece ricorrere al concetto di utilità marginale decrescente elaborato dalla teoria neoclassica. Secondo questa impostazione, largamente prevalente in economia, l'utilità marginale di un bene, vale a dire quella apportata dall'ultima unità di esso, decresce al crescere del livello complessivo di consumo del bene medesimo. Detto in soldoni, se io mangio un cono gelato, la seconda palla di gelato mi darà un incremento di utilità minore della prima, la terza un incremento minore della seconda e così via. Ad un certo punto, dopo n palle di gelato raggiungerò il punto di sazietà, punto in cui l'utilità marginale è nulla; mangiare un'altra palla di gelato, quindi, non porterebbe alcun incremento di utilità. Se anzi dovessi continuare a ingurgitare gelati, sperimenterei probabilmente incrementi di disutilità.

Ora, tale impostazione penso possa essere trasferita proficuamente anche sul terreno dei servizi sessuali. Perché un uomo, legato sentimentalmente a una donna, si rivolge a una prostituta? Perché, di tutta evidenza, ha con la prima raggiunto il suo punto di sazietà. L'immoralità, allora, risiederebbe nell'essere reticente con la compagna su questo punto, piuttosto che nel soddisfare a pagamento i suoi bisogni.

Rivolgiamo adesso la nostra attenzione al lato dell'offerta di prestazioni sessuali a pagamento.

Secondo la morale dei più (dei più e non morale comune o universale che non esiste; troverai sempre qualche nazista pronto a giustificare i campi di sterminio, a dimostrazione che su nulla può esistere una visione morale condivisa da tutti), con cui concordo pienamente, se ti rivolgi a una persona per avere sesso a pagamento, sapendo o avendo solo il dubbio che questa non offre i suoi servizi in piena libertà ma perché costretta da un magnaccia, commetti un'azione riprovevole. Non solo; in questo caso interviene anche il codice penale che ti condanna sacrosantamente per favoreggiamento della schiavitù. Fine della storia.

Però esistono anche le prostitute, le escort, le sex wokers che esercitano la loro professione liberamente, non costrette da alcuno. Pia Covre, leader del movimento per i diritti civili delle prostitute, ha nei giorni scorsi dichiarato che "va rispettata l'autodeterminazione per ogni scelta individuale" e che "vendere servizi sessuali non è vendere il corpo e non significa neanche accondiscendere al potere maschile>>.

Ecco, questo mi sembra un punto molto importante. Mi domando, infatti, se per molte delle no sex workers quello che è incomprensibile e inaccettabile è proprio il fatto che vi siano alcune donne che ritengano dignitoso se non addirittura gratificante offrire a pagamento servizi sessuali. Questa eventualità è comprensibilmente una minaccia terribile alla solidità di una visione del mondo da dove la complessità della realtà, di ciò che è e non di ciò che vorremmo che fosse, è sostanzialmente espunta, una visione del mondo un po' manichea, priva di chiaroscuri e tranquillizzante, dove da una parte ci sono i buoni, vale a dire tutte le donne, anche le prostitute, perché tutte sfruttate, queste, o dal magnaccia o, più in generale, dalla società maschilista, e gli uomini di buona volontà e dall'altra i cattivi, cioè tutti i clienti, indistintamente.

A sostegno di questa lettura si potrebbe affermare che anche le sex workers che dichiarano di esercitare liberamente sono in verità indotte a quella professione dal contesto socio-economico. Ma questo ragionamento non varrebbe forse anche per la cassiera e il cameriere troppo lenti a servirci, e per la colf filippina e la badante rumena? Che queste ultime lasciano il loro Paese e forse anche la loro famiglia solo per la gioia di pulire le natiche dei nostri mocciosi e dei nostri vecchi? Se il condizionamento del contesto esiste, esiste per tutti, anche per il figlio, aspirante batterista in un complesso rock, dell'illustre notaio, costretto, per non deludere la famiglia, a seguire le orme del padre, condannando così se stesso a una vita onusta di gratificazioni materiali e frustrazioni intellettuali. E gli operai che lavorano sulle catene di montaggio della Fiat? Lì sì che c'è, letteralmente parlando, la mercificazione del corpo, fino all'usura fisica. Forse le no sex workers girano tutte a piedi? Beh, se non lo fanno, la contraddizione tra quello che proclamano e i loro comportamenti quotidiani mi appare stridente.

Che, se poi tutte le sex workers sono sfruttate e umiliate dalla cupidigia maschile, un espediente per spezzare le loro catene c'è, eccome se c'è. La generosità sacrificale di quelle che sex workers non sono. Nessuno, di tutta evidenza, pagherebbe per quello che può avere gratuitamente come nessuno, ovviamente, può pretendere la vocazione al martirio. Se, però, le no sex workers rivolgessero un appello accorato ai clienti delle prostitute, manifestando la propria disponibilità a offrirsi gratuitamente, il loro appello, plausibilmente, non cadrebbe nel vuoto e le schiave del sesso sarebbero finalmente libere.




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