venerdì 11 agosto 2023 - Phastidio

Servizi sociali comunali: livelli essenziali di dissesto

Uffici locali fortemente sottodimensionati si preparano ad essere travolti dall'onda d'urto dello smantellamento del reddito di cittadinanza e della conseguente presa in carico dei beneficiari dei sostegni

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

quando il gioco si fa duro non è che i duri entrino in campo ma si fa duro il muro della realtà contro la quale prima o poi si va a sbattere.

Dopo un po’ di tempo che questi pixel hanno glissato, si torna a parlare del(l’ex) Reddito di Cittadinanza, ma soprattutto delle sue prospettive future, partendo, ovviamente, da lontano.

Il decreto-lavoro che ha modificato il sussidio ha alcuni pregi, accanto a moltissimi difetti. Tra i pregi, una più accorta distinzione tra interventi di effettiva assistenza sociale e, invece, misure di aiuto alla ricerca di lavoro (politiche attive).

PRESA IN CARICO

Tra i difetti, ve n’è uno esiziale che sta immediatamente producendo il caos: la situazione davvero sconfortante dei servizi sociali comunali, quelli chiamati a “prendere in carico” gli ex beneficiari del Reddito (insieme a molti altri destinatari).

Per avere un quadro della situazione difficilissima degli uffici comunali basti leggere i dati, per esempio, del rapporto del Cnel “I SERVIZI SOCIALI TERRITORIALI Un’analisi per territorio provinciale Rapporto ONSST 1.2022“, a cura di M. Bocchino, E. Padovani. Ne riportiamo un brevissimo stralcio:

Nel 2019 (all’inizio della pandemia e della conseguente emergenza sanitaria) si è rilevato un minimo aumento della spesa sociale dei Comuni rispetto all’anno precedente (+0,48%) che rappresenta un valore inferiore al tasso di inflazione. Il complesso della spesa resta pari allo 0,42% del PIL, che arriva a 0,7% con le compartecipazioni degli utenti e del servizio sanitario nazionale (SSN), di fatto soltanto un terzo di quanto impegnano nel medesimo settore i bilanci pubblici di altri Paesi europei (intorno al 2,1/2,2%).

Era, dunque, noto che i servizi sociali dei comuni non navigavano per nulla in tranquille acque organizzative? Sì che lo era.

Tanto è vero che all’epoca del Governo Conte-1, quando si varò il Reddito di Cittadinanza, oltre a provare a potenziare i centri per l’impiego (intento ancora rimasto prevalentemente sul molo), si provò anche a rafforzare proprio i servizi sociali.

Qualcuno ebbe, infatti, modo di accorgersi che i comuni, nel dedicare moltissime attenzione ad incarichi a capi di gabinetto e uffici di staff dei sindaci, incarichi ai “city manager”, incarichi di consulenza e collaborazione di vario tipo, rinvio al mai della riscossione dei tributi e delle entrate patrimoniali, assunzione di dirigenti e funzionari a contratto e senza concorso, stabilizzazione di precari assunti non si sa come, appalti senza gara, sottoscrizione contratti decentrati per destinare risorse a pioggia, erogazione di contributi ad associazioni amiche e sagre varie, si erano comprensibilmente un po’ distratti ed ai servizi sociali avevano lasciato le briciole.

IL RISPETTO DEI LEP

Infatti, la legge 178/2020 (Legge di Bilancio per il 2021) all’articolo 1, comma 797 e seguenti ha introdotto un sistema alquanto complesso per finanziare i comuni e consentire di assumere un numero di assistenti sociali almeno utile per rispettare i cosiddetti LEP, livelli essenziali delle prestazioni.

Come dice, Titolare? Cosa sono i Lep? Per capirlo, leggiamo l’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, ai sensi del quale spetta esclusivamente alla potestà legislativa dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. I Lep, quindi, sono livelli minimi di servizi che i vari enti pubblici debbono assicurare ai cittadini.

Allora, risulta chiaro che i comuni, distratti come sintetizzato prima, sono stati per anni al di sotto della soglia di galleggiamento dell’efficienza minima dei servizi sociali, ampiamente sottodimensionati rispetto alle esigenze complessive. Tanto che è stata necessaria la spinta del finanziamento statale, per provare ad allettarli ad investire un po’ in servizi che sono ovviamente ad alta incidenza di manodopera e, per funzionare, non essendo sufficiente un cartonato dietro una scrivania o un risponditore telefonico ad albero, hanno bisogno di personale, tanto personale.

La spinta ha prodotto un risultato? No, ovviamente. Dati i moltissimi vincoli ancora persistenti alle assunzioni di personale pubblico, largamente giustificati dalle note restrizioni alla spesa pubblica complessiva, non ci si poteva aspettare che in pochi mesi fosse possibile rimediare ad ataviche lacune e carenze organizzative.

Ora, i nodi vengono al pettine. Tra i tanti rimasti un po’ sorpresi dalla sospensione del reddito di cittadinanza, della quale però si sapeva fin dalla campagna elettorale e decisa comunque da un decreto che è dello scorso maggio (il d.l. 48/2023), vi è, per esempio, il presidente dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci), Antonio Decaro, che ha dichiarato ai media “Non ci sono risorse nei comuni per i servizi sociali”.

Forse, accorgersene prima, ben prima, prima ancora che provasse a rimediare lo Stato col finanziamento, destinando ai servizi sociali, che dovrebbero essere la priorità, adeguate risorse e personale, avrebbe aiutato a scongiurare il caos di questi giorni e a reggere meglio il carico che a partire dall’1.1.2024 si abbatterà sui comuni. Se, infatti, nel nuovo sistema di protezione sociale, composto da reddito di inclusione, per i “non occupabili” e il supporto per la formazione e il lavoro, destinato agli “occupabili” sarà l’Inps il punto di accesso (le domande saranno rivolte all’Istituto mediante un applicativo del quale si conosce, ad oggi, solo l’acronimo, Siisl, ma non funzionante), i comuni avranno il delicatissimo compito di prendersi cura, anzi, “prendere in carico” le persone e decidere a quali percorsi destinarli, riservandoli ai propri uffici, oppure ai centri per l’impiego (mediante anche complessi sistemi di valutazione combinata tra vari enti).

I SERVIZI SOCIALI SEGUIRANNO. O FORSE NO

Un impegno lavorativo di elevatissimo rilievo, che piomba addosso ai comuni, esattamente come avvenne ai tempi del Reddito di Inclusione (Rei), una sorta di Reddito di Cittadinanza che non ce l’aveva fatta, ancora, come conferma il presidente dell’Anci, in gran parte privi delle risorse organizzative minime per fare fronte al carico.

Come sempre, le riforme sono effettuate senza adeguata analisi dell’impatto regolatorio e non curandosi troppo della capacità delle strutture di svolgere le attività in modo efficiente.

Il caso della sospensione del Reddito è emblematico: d’improvviso, servizi sottodimensionati debbono prendere in carico centinaia di migliaia di persone il più presto che possono, per ripristinare l’erogazione del sostegno, utilizzando una piattaforma digitale che però non c’è e prepararsi, non si sa come, a gestire a partire da gennaio un volume di prese in carico di circa 5-6 volte tanto quelle che in fretta e furia cercheranno di attivare ad agosto.

Nel frattempo, i centri per l’impiego proveranno ad attivare gli ex percettori del Reddito verso il Supporto alla formazione per il lavoro (il pronunciabilissimo – in cecoslovacco – acronimo: Sfpl…), agganciandoli ad attività di formazione. Il Spfl garantisce 350 euro mensili per 12 mesi di formazione: ma corsi della durata di 12 mesi sostanzialmente ad oggi non esistono.

 




Lasciare un commento