martedì 29 novembre 2011 - francesco formisano

E se introducessimo il salario garantito?

Nelle altre realtà europee è previsto il reddito minimo di cittadinanza, un compenso economico (350 euro in media) per studenti, disoccupati ed inoccupati. Una forma di assistenza che aiuta a vivere con meno precarietà e fornisce la possibilità di vedere il lavoro non solo come necessità, ma come aspirazione degli individui. L'introduzione del reddito di cittadinanza, sarebbe inoltre conforme alla Costituzione e alle direttive dell'Ue.

Un po' di tempo fa si chiamava "salario garantito", adesso è meglio conosciuto come "reddito (minimo) di cittadinanza" e negli anni sono state studiate diverse teorie per applicarlo: a quale categoria, l'ammontare del prezzo e quindi dei costi per le casse pubbliche, e quali esenzioni andava ad abrogare e quali a rettificare, ovvero come si dovrebbe coinciliare con cassa integrazione e sussidi per la disoccupazione. Ciò che è emerso, è stata una pressochè totale assenza di dibattito in Italia - come spesso accade - che ha contribuito a rendere "eretici" tutti coloro che ne avrebbero soltanto paventato l'esistenza. Specialmente in un periodo difficile in cui viviamo oggi, dal punto di vista economico come politico, introdurre nuove forme di assistenzialismo ed incrementare il gettito della spesa pubblica potrebbe essere visto come una pessima scelta di politica economica, eppure ci sono abbastanza motivi per credere nella fattibilità, anche economica, di tale scelta.

Facciamo innanzitutto un paragone con le altre realtà europee. Sin dal trattato di Maastricht, la Commissione e il Consiglio europeo hanno raccomandato sulla "necessità per gli Stati dell'Unione di intraprendere forme di protezione sociale e garantire, quale forma di pilastro fondamentale, un adeguato sostegno al reddito". Direttiva pienamente confermata dalla risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010, che chiedeva esplicitamente agli Stati membri "l'introduzione di regimi di reddito minimo garantiti", sottolineando in tal modo la necessità di adottare misure concrete per contrastare la povertà e l'esclusione sociale e favorendo al tempo stesso, misure esplorative per favorire un ritorno all'occupazione.

In Gran Bretagna, nazione che notoriamente non è paladina dell'assistenzialismo, è previsto a partire dai 18 anni l'incame based, un equivalente di circa 330 euro, o l'income support un sostegno molto ridotto a chi lavora per meno di 16 ore settimanali. In Germania, il reddito di cittadinanza raggiunge quota 350 euro, più le spese per l'affitto e per il riscaldamento. La Francia, che è arrivata al Revenu minimum d'insertion (RMI) solo nel 1988 grazie al presidente Mitterrand, garantisce il sostegno di oltre 400 euro a partire dai 25 anni, ed è una misura che mira a garantire pienamente la famiglia; la coppia (notare anche questo particolare; non la "famiglia") con un figlio a carico e con la moglie che arriva intorno ai 350 euro tramite lavoro parziale, arriva tramite contributi pubblici ad "incassare" quasi 1000 euro, che sono destinati ad incrementarsi di 147 euro per ogni figlio in più. In Lussemburgo, i giovani arrivano ad incassare praticamente uno stipendio: 1100 euro di reddito di cittadinanza.

In Italia invece, la questione è stata demandata alle regioni, e solo Campania e Lazio (con modestissimi risultati) hanno provveduto a legiferare in materia. Ma la cosa che dovrebbe far riflettere ancora di più, è che siamo il Paese che dedica meno risorse alla protezione sociale: la media europea è del 26,5% mentre noi siamo al 24,5%. Se poi vediamo il rapporto della spesa a favore della famiglia, osserviamo che a fronte della media europea dell'8%, noi dedichiamo il 4%, e stesso dicasi per i disoccupati;1,6% contro la media del 6,3%. Solo per la spesa in pensioni spendiamo meglio dei colleghi europei destinando il 62% delle risorse contro la media del 46%.

La pretesa di un reddito, in quanto cittadino appartenente ad una comunità, è uno dei cardini essenziali che la nostra Repubblica dovrebbe adottare per adempiere all'art.2 della Costituzione(diritti inviolabili), ma anche indirettamente del 3, del 4(uguaglianza anche economica, diritto al lavoro); un'esigenza fondamentale, per garantire un'emancipazione ai giovani ed evitare fenomeni degenerativi quali l'emarginazione o la depressione. Sarebbe inoltre, una condizione che aiuterebbe a guardare al lavoro non più come una necessità, ma permetterebbe all'individuo di avvicinarsi quanto più possibile alle sue aspirazioni lavorative, senza condizionamenti temporali assillanti. Ricordando che dire cose del genere, è tradizionalmente considerata una cosa "di sinistra"(il riferimento a Mitterrand prima non è stato casuale), ed al momento l'unico ad aver pronunciato, timidamente, queste cose è stato Sel, in attesa della concretezza...



2 réactions


  • Giorgio Zintu Giorgio Zintu (---.---.---.255) 29 novembre 2011 14:11

    Veramente la questione del reddito minimo garantito è all’ordine del giorno da almeno trent’anni ed è uno strumento democratico. Occorre abolire la Cassa integrazione che favorisce esclusivamente i dipendenti delle grandi aziende che firmano i contratti. Questo è il punto.


  • (---.---.---.161) 29 novembre 2011 17:56

    possiamo fare in modo che di questa cosa se ne parli di piu’ e a tutti i livelli? grazieeeeeee


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