giovedì 19 gennaio 2017 - Phastidio

Lira funesta

Quella che segue è la riproduzione quasi integrale di un articolo apparso sul Corriere della Sera del 27 febbraio 1976, ineffabilmente intitolato “I limiti dei prestiti“. In esso si dà conto di come a quel tempo l’Italia, in costante crisi di bilancia dei pagamenti, andasse in giro per il mondo ad elemosinare prestiti praticamente da chiunque. Utile sapere, e lo si intuirà nel testo dell’articolo, che il nostro paese aveva in precedenza (il 31 agosto 1974) ottenuto un prestito dalla Repubblica Federale Tedesca per 1.300 miliardi di lire, a fronte del quale la Bundesbank aveva ottenuto il pegno a garanzia di 515 tonnellate d’oro italiano, fisicamente spostate, a Fort Knox, dal forziere italiano a quello tedesco.

Eravamo davvero una potenza planetaria, credetemi, cari amici. E con una valuta che faceva tremare il mondo. Soprattutto quella parte di mondo che era nostra creditrice.

Buona lettura.

Eventuali attacchi speculativi nei confronti della nostra moneta sono sempre ipotizzabili sia in questo contesto di generale disordine monetario sia tenendo conto della obiettiva fragilità dell’economia italiana. Per fronteggiare situazioni di emergenza, la Banca d’Italia sta negoziando una serie di prestiti che dovrebbero portare il totale delle nostre riserve dai 600 milioni di dollari attuali a 2,6 miliardi di dollari.

Un miliardo di dollari dovrebbe venire dal prestito CEE entro la prima metà di marzo. Sempre entro quella data verrebbe utilizzato un prelievo dal Fondo Monetario Internazionale (a bassissimo tasso d’interesse) di 530 milioni di dollari mentre alla Bundesbank potremmo chiedere la restituzione di 500 milioni di dollari che avevamo rimborsato anticipatamente sul prestito di 2 miliardi di dollari dell’anno scorso. Questa è la prima linea di difesa. In circostanze eccezionali si può anche ricorrere a 500 milioni di dollari di crediti a brevissima scadenza e a tassi d’interesse di mercato che la Riserva Federale USA ci metterebbe a disposizione.

Calcolando pure perciò un totale di riserve di 3 miliardi di dollari si può già prevedere fin d’ora che più di un terzo verrà speso quest’anno solo per il rimborso degli interessi e di parte del capitale dei debiti contratti in precedenza che attualmente ammontano a 14 miliardi di dollari circa. Gli interessi infatti da pagare ammontano a un miliardo di dollari mentre la quota da rimborsare sarebbe di 2,3 miliardi (i prestiti cioè che vengono in scadenza) ma potrebbe venir ridotta a 300 milioni di dollari se verranno rinnovati, come si prevede, il prestito di 2 miliardi della Bundesbank e quello di 500 milioni di dollari della Gran Bretagna. Con un totale massimo di 2 miliardi di dollari di riserve da gettare sul mercato che la speculazione nei momenti caldi potrebbe bruciare nel giro di 20 giorni (100 milioni di dollari al giorno era il livello raggiunto nei giorni immediatamente precedenti la chiusura del mercato) è difficile considerare questi prestiti come un sicuro argine in difesa della lira.

Vediamo di decodificare. L’Italia, malgrado precedenti prestiti internazionali, a febbraio 1976 è praticamente priva di riserve valutarie: ne ha per soli 600 milioni di dollari. Che accade, quando non si ha valuta? Una cosina da nulla: che non si possono pagare le importazioni (ma come, non si possono pagare stampando la propria valuta domestica?).

Ecco allora che il governo italiano si presenta, cappello in mano ed in tutta la sua splendida sovranità, a chiedere soldi al mondo: la CEE, il FMI, gli Stati Uniti, la Germania, la Francia e la Gran Bretagna. Meraviglioso il passaggio in cui si ipotizza di “chiedere la restituzione” (sic) di parte di un prestito fatto all’Italia dalla Bundesbank, e che era stato parzialmente rimborsato da Roma. Insomma, fate prestito! E altrettanto strepitoso il diligente e puntiglioso calcolo con cui l’articolista arriva a prevedere che, con tutti questi prestiti, avremmo potuto resistere ben venti giorni alla speculazione. Perché c’è sempre una speculazione che attacca il nostro fiero paese, sappiatelo.

Ma come mai, diranno i miei più vispi lettori, un paese con una moneta propria non riusciva ad affermare i fondamentali ed avere di conseguenza un boom di esportazioni, finendo invece a soffrire di reiterate crisi di bilancia dei pagamenti? Semplice, ragazzi: perché l’Italia non era competitiva sui mercati internazionali, col suo persistente differenziale di inflazione solo parzialmente recuperato tramite frequenti riallineamenti del cambio. E, con il salasso petrolifero, le sue riserve valutarie si squagliavano come neve al sole. Che fare? Di solito, in questi casi, l’odiato FMI prescrive una cosa molto semplice: stretta monetaria per attrarre capitali con tassi nominali e reali in aumento rispetto al resto del mondo; e stretta fiscale, per sopprimere domanda interna ed importazioni.

Solo che in Italia quelli erano anni davvero difficili: il terrorismo rosso, il Pci sempre più vicino ad arrivare al governo, le lotte operaie, le conquiste sociali, eccetera. Meglio non farsi venire strane idee austeramente antipopolari e continuare a stimolare la domanda interna, per la pace sociale. Inclusa la scala mobile sui salari, naturalmente. Peccato per l’inflazione e per il deflusso di capitali da perdita di competitività e congiuntura surriscaldata ma, ehi, eravamo sovrani! Al punto che qualcuno doveva farci prestiti per rabboccare senza sosta le riserve valutarie e continuare la festicciola.

Ma sapete poi come è andata, no? Il divorzio Tesoro-Bankitalia del 1981, il cambio coartato e non più libero di svolazzare e deprezzarsi, il sacco del Belpaese per opera dello Straniero, il Britannia non così cool. Ma non temete: ora ci penseranno i sovranisti a riportarvi indietro nel tempo. Restate sintonizzati.

 




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