venerdì 17 giugno 2016 - SiriaLibano

Libano, elezinoi municipali. A Beirut il cambiamento deve attendere

A Beirut, come in tutto il Libano, si sono concluse le elezioni municipali il 22 maggio scorso. Un cambiamento era nell’aria – e ci resta, per ora. Perché dalle urne non è uscito niente di nuovo, se non la conferma della classe dirigente tradizionale.

(di Flavio Edoardo Restelli, per SiriaLibano).

Nella lotta per la rappresentanza, la società civile si dà appuntamento alle prossime elezioni legislative, rimandate per ben due volte negli ultimi anni e ormai non più rinviabili.

“Bisognerebbe capitalizzare questo relativo successo trasformando Beirut Madinati in un vero partito”, auspica Elie Abu Halka, volontario per Beirut Madinati, interpellato via Skype. “Ma i candidati per le municipali non sono dei politici, non è scontato che vogliano impegnarsi a livello statale”, ha aggiunto parlando da Beirut.

Come alle ultime municipali (2010), l’astensione è restata altissima: 80%. Ma dietro a quella che potrebbe sembrare una semplice vittoria delle solite facce si nasconde uno scenario più complesso.

Tre liste si sono affrontate nella capitale l’8 maggio. La formazione al Bayarita (i beirutini), sostenuta da Tayyar al Mustaqbal (Movimento del Futuro) dell’ex-primo ministro Saad Hariri, ha conquistato 24 seggi su 24 (45,10% delle preferenze espresse). Schiacciata la concorrenza delle due liste indipendenti avversarie: Muwatinun fi dawla (Cittadini in uno Stato) dell’ex ministro del Lavoro Charbel Nahas e soprattutto Beirut Madinati (Beirut la mia città) autrice di un risultato notevole (30,66% delle preferenze), ma insufficiente anche solo per ottenere un seggio, a causa della legge elettorale in vigore.

All’indomani della cosiddetta Rivoluzione dei Cedri (2005) e del ritiro delle truppe siriane, i protagonisti della guerra civile (1975-90) sono tornati alla ribalta, chi dall’estero (Michel Aoun), chi dalla prigione (Samir Geagea), togliendo spazio a nuove creazioni politiche. La famiglia Hariri, implicata nei giochi del potere fin dalla metà degli anni ’80 prima con Rafiq, cui è intitolato l’aeroporto internazionale di Beirut, poi con suo figlio Saad, è diventata molto popolare fra i ceti meno abbienti grazie a un gran numero di donazioni (finanziate anche dall’Arabia Saudita), e un ordine bloccato si è instaurato a scapito della crescita verso un sistema democratico.

Fino all’invasione della spazzatura nelle strade di Beirut, avvenuta la scorsa estate, i leader politico-comunitari erano figure quasi intoccabili. Che fossero corrotti, che non si preoccupassero davvero degli interessi dei cittadini, era risaputo. Ma nel caldo clima omertoso del Libano ognuno era convinto – o si convinceva – che tutti fossero delinquenti, tranne il proprio candidato. La crisi dei rifiuti è stata la dimostrazione evidente della noncuranza e dell’inefficienza della classe politica. Giunti alle nuove elezioni, i maggiori partiti si sono tutelati facendo blocco fra loro e occultando i conflitti comunitari, per non rischiare di perdere seggi a vantaggio del neonato movimentoBeirut Madinati. L’unica formazione tradizionale a non sostenere al Bayarita è stata Hezbollah, sciita e islamista, che non si è presentata alle elezioni e i cui sostenitori, pur di opporsi a Saad Hariri, leader sunnita, si sono espressi in favore di Beirut Madinati.

L’astensione di massa, benché abbia favorito il successo di al Bayarita, è comunque il frutto della dilagante sfiducia in un cambiamento e un segno di distanza dallo Stato, percepito come assente. Racconta ancora Abou Halka a SiriaLibano: «Abbiamo l’opposto dello Stato interventista. Lo Stato non ti dà niente e ti prende in giro. Era già debole prima della guerra, ora lo è ancor di più. I politici tradizionali hanno rimpiazzato lo Stato con le loro milizie e i loro partiti e favoriscono i conflitti fra minoranze etnico-religiose e l’organizzazione su base comunitaria. La comunità fornisce cibo e lavoro: a che serve lo Stato? ».

Beirut Madinati ha pagato un pizzico di elitarismo, che le è valso il successo nei ricchi quartieri cristiani della circoscrizione 1 ma pochi voti nella povera e densamente abitata circoscrizione 3 a maggioranza sunnita. Il basso tasso di partecipazione nei quartieri più poveri spiega l’impressionante percentuale d’astensione: “Nella circoscrizione 3, da cui provengono la maggioranza degli votanti di Beirut, la popolazione in difficoltà non ha abbastanza coraggio per votare Beirut Madinati, ma i sunniti non hanno gradito la scelta di Hariri di allearsi con i rivali di sempre (fra gli altri, il partito sciita Amal, ndr), e hanno decretato che, date le premesse di queste elezioni, fosse meglio restarsene a casa”, spiega Abu Halka.

Ma è stato soprattutto il peso economico di Saad Hariri e compagni a determinare la vittoria di al Bayarita, sbarrando la strada a Beirut Madinati grazie a un vasto sistema di ricatti e pressioni. «Il giorno delle elezioni», prosegue Abu Halka, «davanti all’ingresso del seggio elettorale, ho provato a convincere un signore a votare per noi; mi ha risposto: “Sono 25 anni che lavoro per Michel Pharaoun (attuale ministro del Turismo, ndr). Al lavoro mi hanno detto di votare al Bayarita, e io lo faccio”».

Contro questo regime vecchio e clientelare la società civile tornerà alla carica alle prossime elezioni legislative. Perché qualcosa si è mosso, e per i leader tradizionali la battaglia contro il rinnovamento si preannuncia più dura che mai.

Dopo Beirut Madinati, in attesa di un Lubnan Dawlati (Libano il mio Stato).




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