venerdì 12 aprile - Phastidio

La lista dei desideri fiscali di Democratici e Repubblicani

Il progetto di bilancio di Joe Biden punta sulla tassazione di aziende e ricchi, toccando il tabù delle successioni. La risposta dei Repubblicani del Congresso, attendendo Trump, è un déjà-vu di "risparmi" improbabili o sovrastimati

Nei giorni scorsi, Democratici e Repubblicani hanno presentato i rispettivi programmi di politica fiscale per il 2025. Il tema è sempre rilevante ma in quest’anno elettorale lo è di più. Joe Biden ha illustrato un progetto di bilancio che mai vedrà la luce, vista la composizione di Camera e Senato, e che proprio per questo si presenta come vetrina, segnalamento e lista dei desideri di una presidenza che potrebbe star volgendo al termine.

BIDEN: PIÙ MINIMUM TAX PER TUTTI

Come abbiamo visto qualche tempo fa, la politica fiscale di Biden poggia su un aumento di tassazione sui super-ricchi e sulle aziende, riprendendo il menù di inizio presidenza, solo in parte realizzato. Tra le proposte, l’aliquota di tassazione dei capital gain sarebbe eguagliata a quella massima sui redditi, elevata al 39,6 per cento, per chi guadagna almeno un milione di dollari, dall’attuale 20 per cento. Inoltre, l’aliquota contributiva per il Medicare, il programma di assicurazione sanitaria per gli over 65, passerebbe dal 3,8 per cento al 5 per cento per chi guadagna oltre 400 mila dollari annui.

In tal modo, i contribuenti oltre il milione di dollari pagherebbero il 44,6 per cento sui redditi complessivi, inclusi quelli da investimento.

I contribuenti con patrimoni superiori ai cento milioni di dollari pagherebbero una minimum tax del 25 per cento sui relativi redditi, contro il circa 8 per cento che riescono a pagare oggi, grazie a una serie di “preferenze” fiscali. Il prossimo anno scadono i tagli d’imposta introdotti dalla precedente presidenza Trump. Biden vorrebbe portare la tassazione delle imprese dal 21 al 28 per cento e raddoppiare dal 10,5 al 21 per cento ciò che le imprese statunitensi pagano sui redditi prodotti all’estero.

Biden propone anche di adottare la nuova global minimum tax dell’Ocse, che consentirebbe agli Stati Uniti di tassare un’azienda che paga meno del 15 per cento se il paese dove ha sede non sta applicando almeno il 15 per cento.

Biden vorrebbe inoltre portare la minimum tax domestica per le aziende dal 15 al 21 per cento. C’è poi la tassazione del famigerato carried interest, che oggi consente ai gestori di fondi di private equity di pagare una cedolare secca del 20 per cento su una parte dei propri redditi, che altrimenti sarebbero tassati ad aliquota massima, oggi del 37 per cento.

E ancora: quadruplicata la tassa sul riacquisto di azioni proprie, oggi all’1 per cento, eliminata per le aziende la deducibilità fiscale dei redditi di lavoro sopra il milione di dollari, i benefici fiscali per i viaggi con aerei aziendali, le esenzioni fiscali per chi vende immobili a patto di reinvestire in altri immobili, e soprattutto eliminato di parte del beneficio che oggi consente di trasferire agli eredi, in caso di successione, attivi patrimoniali senza pagare le tasse sulla rivalutazione. Un tabù assoluto.

Tra le destinazioni delle risorse fiscali, Biden prevede il Children Tax Credit a 3.600 dollari annui per bambini fino a 6 anni e di 3.000 dollari per quelli più grandi, tornando alla prima applicazione della misura, a inizio presidenza, contro i duemila dollari attuali. Prevista anche l’espansione dell’Earned Income Tax Credit per i working poor senza figli.

Pur con gli aumenti di entrate illustrati, il progetto di bilancio di Biden produrrebbe per il prossimo decennio deficit superiori a quelli causati dai tagli d’imposta di Trump nel 2017. Il deficit-Pil che scenderebbe dall’attuale 6,6 per cento al 3,9 per cento nel 2034. Nel periodo 2013-2016, presidenza Obama, gli Stati Uniti avevano in media un deficit-Pil “europeo” intorno al 3 per cento.

I REPUBBLICANI PUNTANO A SMANTELLARE L’IRA

Come rispondono i Repubblicani del Congresso? Con una risoluzione di bilancio piuttosto generica, in cui si punta al pareggio di bilancio entro dieci anni, da conseguire con tagli a “sprechi e burocrazia” (ça va sans dire), tagli a Medicare e Medicaid, ridimensionandone la portata, ma soprattutto lo smantellamento dell’Inflation Reduction Act di Biden, cioè della misura distintiva dell’attuale presidenza.

Né manca, per quadrare il cerchio, il contributo alla riduzione del deficit dato da “maggiore crescita”, che dovrebbe passare dal 2 per cento annuo oggi previsto dal Congressional Budget Office, al 3 per cento. Come si nota, alcune manovre da campagna elettorale tendono a essere uguali a ogni latitudine. Basta dire che il taglio di alcune spese stimola la crescita, e il moto perpetuo è pronto.

Vedremo come andrà in caso di rielezione di Trump, con l’eventualità di un Congresso dello stesso partito della Casa Bianca. Oggi ci sono meno margini per fare manovre “lafferiane”, in cui cioè si fa credere che tagli d’imposta si ripaghino grazie alla crescita da essi indotta. Questi minori margini derivano dal macigno della spesa per interessi, dopo i rialzi monstre di tassi attuati dalla Federal Reserve. Riguardo ai quali, attendiamo che l’eventuale Trump bis inizi a latrare contro la banca centrale che non abbassa i tassi quanto lui vorrebbe. Anche lì, occhio ai cortocircuiti e alle eventuali reazioni dei mercati. Perché gli Stati Uniti certamente non sono il Regno Unito di Liz Truss ma mai dire mai.




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