venerdì 20 giugno 2014 - SiriaLibano

In motorino per Beirut

Hamra

di Renato Ferretti

Voglio raccontarvi una storia.

Sabato sera due amici a cena mi raccontano un episodio accaduto un’oretta prima di incontrarli.

Mentre viaggiavano in due su un motorino, verso le nove, erano stati fermati a un posto di blocco (hajiz, parola molto importante da queste parti) dalla polizia, per un controllo. Il poliziotto ha intimato loro di tornare a casa, pena la confisca del motorino: da oggi, dopo le sette di sera, li informa, è tassativamente vietato girare in motorino per Beirut, se non per ragioni lavorative.

La novella mi getta nel panico: anche io qui uso un motorino – un Aprio nero, il più diffuso, il più fedele compagno dei lavoratori nel settore dell’asporto. Nonostante tutte le persone che incontro mi sconsiglino di usarlo poiché pericoloso, dicono (al che rispondo con una scaramantica mentale toccata d’attributi), rimane il mezzo di trasporto più conveniente e veloce in città.

Fino ad aprile 2014 il divieto era in vigore, ma era sufficiente pagare una tassa alle poste per ricevere l’autorizzazione. Il divieto totale di guidare un ciclomotore, da quanto ne so, vigeva anche in Giordania e in Siria fino a qualche anno fa. Le storie raccontatemi per giustificarlo sono le più disparate: dalla pericolosità del mezzo, all’attentato ad Hafez al Assad che sarebbe stato perpetrato da un uomo in motocicletta. Ma non sono mai riuscito ad avere un’unica definitiva versione.

La domenica mattina me ne vado subito a piazza Sassine, ove so di poter trovare solidarietà per la causa e informazioni adeguate presso i professionisti del settore: due ragazzi in divisa rossa parlottano seduti sui motorini per l’asporto. Mi avvicino e chiedo consiglio.

Il più vecchio, con l’aria di sapere di cosa parlo, comincia la sua storia da lontano. Mi spiega come le cose funzionavano prima e come adesso, mi racconta con complicità della sera precedente, dei vari posti di blocco che ha dovuto evitare per non farsi controllare mentre andava a lavoro e della strada che ha preso per evitare i controlli rientrando a casa. Alla fine mi rivela che, dall’indomani, lunedì 9, il divieto di condurre motorini dopo le sette entrerà in vigore, ma che sarà possibile pagare l’autorizzazione alle poste, come fino a qualche mese fa. Persuaso e rincuorato dalle sue parole, un po’ orgoglioso per la complicità accordatami, me ne ritorno a casa.

Il mattino dopo vado alle poste di buon’ora, sapendo che spesso sono affollatissime e i tempi di attesa piuttosto lunghi: non ho un’idea precisa di quali siano le mansioni che l’ufficio postale svolge qui. L’unica volta che ho spedito due cartoline in Italia, non sono mai arrivate. Mi dico che è stato solo un caso. Con tutto quello che hanno da fare alle poste, le mie cartoline immagino siano solo l’ultimo dei loro problemi! Dove potete convalidare l’equipollenza di un diploma universitario? Dove potete chiedere informazioni sulla data entro la quale è obbligatorio fare la revisione del mezzo di trasporto (che, però, può essere controllata anche da casa o in qualsiasi banca)? La risposta è la medesima: alle poste.

Arrivato, l’impiegata mi racconta un’altra storia: non sa nulla di questa autorizzazione, loro non hanno ricevuto alcuna disposizione. “Vada al ministero dell’Interno, a Hamra: lì potrà avere tutte le risposte che cerca”. Il suo tono secco è una frusta: le mie poche certezze svaporano in men che non si dica.

Dopo un breve passaggio inconcludente alla sicurezza generale (amin al ‘amm), chiedo informazioni a un poliziotto che, sudaticcio nel calore dell’asfalto, dirige l’orchestra mattutina del traffico beirutino. “Dopo le sette di sera è vietato condurre motocicli”, mi risponde con sicurezza professionale. Ma posso avere l’autorizzazione? “Sì, al ministero dell’Interno”. E continua a sbracciarsi con gesti automatici guardandomi solo con la coda dell’occhio.
Rassicurato dalla perentorietà della risposta, mi avvio già più leggero verso la meta.

Il ministero dell’Interno è circondato da blocchi di cemento dipinti di rosso e di bianco, i colori della bandiera. Mi sono sempre piaciuti i posti di guardia dell’esercito qui: dipinti in tal modo aggiungono colore a questa città mediterranea, già spesso luminosa di per sé.

Attraversato il metal detector, chiedo al soldato responsabile al banco dove poter fare l’autorizzazione.

Mi risponde di fretta che da aprile non c’è più autorizzazione. Gli spiego allora – raccontandogli la storia dei miei amici come fosse la mia – che ero stato fermato ad un posto di blocco etc etc, lui più infastidito dalla mia incredulità che convinto, mi risponde sbrigativo di andare a chiedere dentro.

All’interno, stessa risposta. E stessa insistenza da parte mia.
L’uomo in tuta mimetica dietro alla scrivania mi dice: “Probabilmente la polizia voleva soltanto scucirti qualche soldo, visto che sei straniero”. Dal modo in cui mi parla colgo da parte sua un sentimento di insofferenza mista a vergogna nei riguardi della polizia. “Ah, sempre i soliti ladri con metodi da accattoni!”, sembra dirmi.

Poi allungandosi verso di me, mi chiede quasi paternamente: “Ce l’hai la patente? Il motorino è registrato?”. “Sì”. “Allora non ti preoccupare”, aggiunge con una smorfia e un gesto della mano. Me ne vado già più rassicurato.

All’uscita decido di andare a parlare con il poliziotto che solitamente dirige il traffico dell’incrocio all’inizio di Hamra, a qualche centinaio di metri dal ministero, per avere un’ultima conferma. Non poteva andarmi meglio: quando arrivo sono ben in tre, parlottano e fumano.

Gentilissimi e sudati, mi raccontano l’ultima storia della mattinata: la legge non è ancora in vigore e si può ancora circolare dopo le sette di sera. Effettivamente, aggiungono, nei giorni precedenti erano stati approntati molti posti di blocco per il controllo dei motorini, ma semplicemente per scremare chi avesse le carte in regola e chi no.

Ringrazio e me ne vado. Non voglio rinunciare a credere in quest’ultima versione della storia.

** Nota: Il quotidiano al Akhbar si è recentemente occupato di questo divieto. Qui il link all’articolo.




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