mercoledì 3 aprile - Phastidio

Bugie, sfacciate bugie e statistiche cinesi

La Cina punta ancora a una crescita ufficiale del 5 per cento, malgrado i crescenti problemi. L'impresa potrà essere agevolata dalle tecniche con cui l'istituto statistico nazionale massaggia i dati

In Cina, le assise annuali del Congresso Nazionale del Popolo, il cosiddetto parlamento cinese la cui funzione è quella di avallare le decisioni della leadership del partito comunista, hanno fissato la crescita annua per il 2024 al 5 per cento, in quella che da qualche anno è diventata ormai una tradizione. Un numero magico che si ripresenta malgrado dubbi sull’effettivo stato del paese, alle prese con lo scoppio della bolla immobiliare, elevato debito dei governi locali che da essa discende ed un’alta disoccupazione giovanile.

Volendo usare una regoletta banale ma utile, la crescita economica di un paese è funzione di quella della popolazione, in termini di numero di persone occupate e ore lavorate, e di quella della produttività, che a sua volta deriva dalla combinazione di capitale, lavoro e “sistema paese” inteso come progresso tecnologico ma anche istituzionale, noto come produttività totale dei fattori.

L’INDICE DI LI KEQIANG

Considerato che la Cina è in depressione demografica, per conseguire una crescita del 5 per cento serve un boom di produttività. Che esista o meno lo vedremo ma intanto tornano le domande sull’affidabilità del sistema statistico cinese. Il defunto premier Li Keqiang era famoso, oltre che per essere il volto sorridente e amichevole del regime, anche per un robusto scetticismo nei confronti delle statistiche ufficiali, rivelato nel 2007 all’ambasciatore statunitense e venuto alla luce a seguito della diffusione, da parte di Wikileaks, di un cablo di quest’ultimo a Washington.

Li Keqiang si basava su indicatori del livello di attività economica quali i volumi di merci movimentate dalle ferrovie, i consumi elettrici e i prestiti erogati dal sistema bancario. Il settimanale britannico Economist, che ha una tradizione di creazione di indici economici (vedi il famoso Big Mac Index sulla parità di potere d’acquisto), ha realizzato molti anni addietro il cosiddetto Li Keqiang Index.

Torniamo al punto: le statistiche economiche cinesi sono affidabili? Quali sono le loro maggiori e “caratteristiche” debolezze metodologiche? In Occidente alcune organizzazioni di ricerca si sono cimentate nel tentativo di ricostruire i dati della crescita cinese. il Rhodium Group statunitense ritene che nel 2022 l’economia di Pechino si sia contratta anziché cresciuta del 3 per cento ufficiale mentre lo scorso anno la crescita sarebbe stata di circa 1,5 per cento in luogo del 5,2 per cento ufficiale.

Anche la banca centrale finlandese si è cimentata nella stima della crescita cinese, stimandola a 1,3 per cento nel 2022 e 4,3 per cento lo scorso anno. Il problema delle statistiche economiche cinesi è che un numero crescente di serie storiche sono state dismesse in anni recenti, mentre quelle rimaste sono state riviste in modo tale da impedire il confronto temporale su base omogenea.

REVISIONI NON COMUNICATE?

Le discrepanze logiche tra serie storiche ufficiali e alternative si moltiplicano. Ad esempio, la crescita in doppia cifra dei consumi reali rispetto alla riduzione di vendite online di Alibaba, all’aumento dei depositi bancari e allo stato delle finanze pubbliche locali. Alcuni osservatori occidentali segnalano che spesso le serie storiche non vengono riviste all’indietro nel tempo.

Ad esempio, come scrive Greg Ip sul Wall Street Journal, l’ufficio statistico nazionale cinese indica in documenti ufficiali gli investimenti fissi a 57 mila miliardi di yuan nel 2022 e 50 mila miliardi nel 2023. Parrebbe una contrazione del 12 per cento ma in un documento separato viene riportata una crescita del 3 per cento. La spiegazione potrebbe risiedere nella revisione al ribasso dei dati 2022 che non è stata comunicata al pubblico.

In una nota a pie’ di pagina, l’ufficio statistico nazionale cinese avverte inoltre che i livelli di investimento non devono essere usati per calcolare il tasso di crescita perché, ad esempio, differenti progetti vengono campionati di anno in anno. Se il perimetro non è reso comparabile, i dati sono inutili.

Altro enigma: come è possibile che l’investimento immobiliare, causa crisi, si sia contratto del 10 per cento nel 2023, secondo dati ufficiali, ma l’investimento complessivo abbia contribuito in modo rilevante alla crescita? Quale componente di investimento ha visto un boom con pochi precedenti, lo scorso anno, considerando che i profitti sono sotto pressione, i capitali esteri escono dal paese e il credito bancario langue?

E ancora: una caratteristica delle statistiche economiche cinesi è l’elevata volatilità del Pil nominale rispetto a quello reale, che suggerisce che i dati del deflatore siano in qualche modo “massaggiati”. Lo scorso anno la Cina ha previsto una crescita nominale del 7 per cento e reale di circa il 5 per cento. Quella nominale è stata invece di circa il 4 per cento e quella reale del 5,2. Cioè, il deflatore del Pil, anziché aumentare del 2 per cento, è diminuito di 1 per cento.

IL REGIME DELLE STATISTICHE

Il problema delle statistiche economiche cinesi è che la loro messa in discussione finisce direttamente a suonare come critica del regime. Tacendo della ovvia non neutralità dell’istituto statistico nazionale, che si profonde in elogi del partito comunista, “col compagno Xi Jinping al suo centro”.

Ci sono numeri che devono essere conseguiti per ovvie esigenze di propaganda. Alla statistica di regime il compito di alterare le metodologie per conseguire il risultato. Al di là del caso specifico, è sempre utile avere consapevolezza degli innumerevoli modi (alcuni sofisticati, altri decisamente rozzi) con i quali la statistica può aiutare a modellare realtà alternative.

Per tutto il resto, ci sono le preziose indicazioni del congresso nazionale del popolo a programmare meglio la produzione di suini, per contrastare la deflazione, e il numero di volte in cui il nuovo premier, Li Qiang, ha citato il nuovo Grande Timoniere nella sua relazione ufficiale. Quest’anno, poi, infrangendo una tradizione trentennale, il premier non ha tenuto più la tradizionale conferenza stampa, perché troppo elevato è il rischio di fare ombra a Xi, uomo solo al comando.




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