venerdì 28 luglio 2023 - Phastidio

A sussidio, condono e mezzo

Due accozzaglie impotenti si fronteggiano a colpi di bufale, furbate e fughe nell'onirico, mentre la realtà procede inesorabile ad accorciare la catena

 

e due cosiddette coalizioni che si fronteggiano sugli assi del teatrino della politica, si esibiscono su base pressoché quotidiana in spin che servono a galvanizzare gli spalti e catturare il tempo di trasmissione televisiva e il tasso di imbrattamento della carta stampata. Non è un’esclusiva italiana ma noi abbiamo una tradizione piuttosto consolidata.

DUE TORMENTONI ESTIVI

Al momento, sono due i temi che polarizzano i sudori estivi: il salario minimo, proposto dalla grande coalizione progressista o presunta tale, con qualche ruotina di scorta liberal-centrista al seguito, e il tema dei ricorrenti condoni fiscali che sono la firma distintiva della nostra destra, da sempre.

Del salario minimo ho detto più e più volte: per sintesi, partire come al solito dal tetto e poi cercare di scendere verso le fondamenta è molto italiano ma non porta da nessuna parte, al netto dei moti di sdegno morale per le retribuzioni da fame. Nello specifico, la proposta parte dal tetto di 9 euro orari di trattamento economico minimo (Tem), cioè senza includere tredicesima, ferie, welfare e altri componenti aggiuntivi della retribuzione, e lo cala sulla contrattazione collettiva di tutti i comparti.

Numeri alla mano, questo Tem sarebbe pari al 75% della mediana delle retribuzioni nazionali, mentre la prassi internazionale indica la soglia di equilibrio intorno al 60%. Questo non è un numero magico né la costante di gravitazione universale, va da sé, ma suggerisce cautela con i proiettili d’argento in busta paga. Il problema della proposta di legge del camposanto larghissimo progressista è che, all’articolo 7, stabilisce che:

La legge di bilancio per il 2024 definisce un beneficio in favore dei datori di lavoro, per un periodo di tempo definito e in misura progressivamente decrescente, proporzionale agli incrementi retributivi corrisposti ai prestatori di lavoro al fine di adeguare il trattamento economico minimo orario all’importo di 9 euro di cui al comma 1 dell’articolo 2.

Punto piuttosto interessante, in assenza di quantificazione di tale onere. Ma anche estremamente rischioso, perché potrebbe condurre a sussidiare in permanenza interi comparti, sotto la minaccia di licenziamenti collettivi. Il tutto escludendo, piuttosto eroicamente, fughe nel sommerso e tagli “tattici” delle ore lavorate in chiaro, per compensare il maggiore onere.

Credo che la maggioranza, tentando di sopprimere in culla tale proposta di legge, senza neppure arrivare a un dibattito in aula, stia dando prova di debolezza. Forse temono che carsici mal di pancia interni finiscano con lo scaricarsi su quella proposta, al primo voto utile. Il camposanto larghissimo, per contro, oltre alle abituali sceneggiate contro gli affamatori del popolo sfruttato, ribatte che l’assenza di copertura deriva dal fatto che la medesima sarebbe demandata alla legge di bilancio 2024, che si preannuncia già piuttosto impegnativa, per usare un eufemismo.

Vi facciamo grazia della collezione di idiozie proferite da ambo i lati sulla filosofia di questo provvedimento. Fanno parte del folklore di una classe politica impotente, la cui unica attività è quella di mettere in difficoltà lo schieramento avverso e soffiare con forza nel fischietto a ultrasuoni che instupidisce elettori già ampiamente pavlovizzati.

CONDONI DI SOPRAVVIVENZA. POLITICA

A destra, invece, il tormentone estivo è gentilmente offerto da Matteo Salvini, che evidentemente in estate dà il meglio di sé e sente l’irresistibile richiamo del Papeete. Per mettere in difficoltà Giorgia Meloni, impegnata nel ruolo di responsabile statista dell’orbe terracqueo, il leader leghista lancia l’ennesimo condono “di necessità”.

La canzoncina la conoscete:

Una pace fiscale per chi ha fatto le dichiarazioni ma non è riuscito a versarle tutte è un vantaggio per lo Stato che incassa una marea di miliardi da usare per stipendi e pensioni e significa una liberazione per 15 milioni di persone.

Segue, come ormai da consolidata prassi, il calcolo del “magazzino” di debiti d’imposta non riscossi, arrivato a 1.153 miliardi, di cui un migliaio inesigibili. Eppure vedrete che ci sarà chi vi racconterà quante cose meravigliose potremmo fare, con tutti quei soldi. Praticamente, coperture platoniche. Forse proprio per questo in passato illustri filosofi si sono cimentati sul tema.

Per contestualizzare questa nuova e antica tendenza italiana facciamo parlare i numeri, forniti oggi da Giovanni Parente e Gianni Trovati sul Sole:

Tra il decreto fiscale di fine 2018 (Governo Conte icon maggioranza M5S-Lega), il decreto Sostegni (Governo Draghi a maggioranza “ampia”) e manovra 2023 (Governo Meloni) sono stati varati stralci per oltre 81 miliardi di euro. Cancellazioni automatiche e integrali di quasi cento milioni di mini cartelle o provvedimenti della riscossione. Il conteggio è ancora “passibile” di qualche aggiornamento visto che ai 63,4 miliardi delle due cancellazioni (diverse per importi e requisiti) di 2018 e 2021 si dovrebbero essere aggiunti almeno 18 miliardi.

E questo solo per i debiti dei contribuenti nei confronti di agenzie fiscali ed enti previdenziali pubblici. Andando ancora più a ritroso nel tempo, troviamo altre cifre:

Fra il 2016 e il 2018 sono stati approvati tre condoni fiscali chiamati “rottamazioni”, più il cosiddetto “saldo e stralcio”. Le prime due rottamazioni erano state approvate dai governi di centrosinistra, mentre la “rottamazione ter” e il “saldo e stralcio” dal primo governo di Giuseppe Conte sostenuto dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega (anche in quel caso Salvini era vicepresidente del Consiglio). Secondo un calcolo dell’Agenzia delle Entrate aderirono alle quattro iniziative persone che in totale avevano debiti con l’Agenzia per circa 100 miliardi di euro. Lo Stato si aspettava di ricavarne 53,8: quelli effettivamente saldati sono stati 20,28 miliardi, poco più di un quinto del totale.

Ora, dopo la riferita “irritazione” di Palazzo Chigi, pare che Salvini viri dal condono conclamato al più politicamente potabile saldo e stralcio, la cui platea andrebbe filtrata in base all’Isee, per dare senso e sostanza allo scivoloso concetto di evasione di sopravvivenza. C’è una sorta di costante, in queste iniziative: portare a casa dei soldi, da spendere in qualche modo, per evitare di tagliare spese e aumentare entrate.

Se guardiamo alla legge di bilancio e al carico di impegni di spesa che si porta dietro, c’è in effetti di che preoccuparsi. La sola riproposizione della decontribuzione per chi sta entro i 35 mila lordi annui necessita di 10 miliardi lordi e poco meno di 8 netti per un anno. Per tacere di tutte le altre spese previste, incluse quelle relative all’avvio della cosiddetta riforma fiscale (spoiler: che sarà abortita o ridimensionata a regalino agli autonomi a già bassa propensione alla compliance fiscale). Quindi, immancabilmente, ecco spuntare i creativi che invocano la “pace fiscale”. Yawn. C’è da dire che questa posizione avrebbe un puntello “argomentativo”, pur se tirato, presentandola come il “grande reset” che introduce una fantasmagorica riforma fiscale.

Una sorta di giubileo dei debiti fiscali. E vedrete che questa argomentazione arriverà, puntuale. Anzi, mi dicono dalla regia che è già arrivata, per bocca del simpatico commercialista biellese Gilberto Pichetto Fratin: “L’Italia ha la necessità di fare una grande riforma fiscale, […] su questo passaggio bisogna intervenire con meccanismi di agevolazione per chiudere pendenze pregresse”. E oplà.

LA DURA LEGGE DI REALTÀ

Nel mezzo, ci sono le schermaglie incrociate che traggono alimento dalla realtà. Per fare un esempio, il deputato Luigi Marattin ha segnalato che la posizione di Salvini sarebbe un bluff e un diversivo rispetto alla dura realtà della delega fiscale, approvata anche dal partito di Salvini, che prevede “l’automazione della procedura di pignoramento dei rapporti finanziari”, che in soldoni significa prelievo coattivo.

Immediatamente, il leader del partito di Marattin, Matteo Renzi, ha colto l’occasione per ricordare che Meloni lo aveva aspramente criticato per simile provvedimento, ai tempi del suo governo, e ha quindi chiesto di sopprimere quella misura dalla delega fiscale. Ora, prescindendo dal fatto che non mi è chiaro se Marattin concorda con l’iniziativa del suo leader, mi pare si possa dire che stiamo assistendo al solito minuetto della nostra dichiarazia, che alla fine è costretta per vincolo di realtà ad applicare provvedimenti che finiscono col somigliarsi. Anche per questo ci tocca ancora sorbirci lo stucchevole dibattito su Meloni “draghiana”. O forse improvvisamente realista, chi può dirlo?

La morale? Sempre la stessa: soldi non ce ne sono e quei pochi stanno finendo. A destra si cerca disperatamente di non aumentare le tasse, e quindi ci si lancia nel condonismo sudamericano e mediorientale per tenere a distanza elettorale una sinistra che risolve tutto a colpi di imposte, ordinarie e straordinarie. Oltre a suggestioni di moto perpetuo come quella che sussidia i datori di lavoro sul salario minimo.

Sono due accozzaglie impotenti, prese al laccio da una profonda crisi fiscale e soprattutto demografica, che insistono a mostrare un eldorado alternativo e fiabesco al popolo stressato. Ma che ve lo dico a fare?

Foto di Herbert Bieser da Pixabay




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