giovedì 4 dicembre 2014 - angelo umana

Torneranno i prati, di Ermanno Olmi

Tenere alto lo spirito combattivo della truppa e non far poltrire gli uomini nell’ozio: questa direttiva dei comandi superiori riferisce un ufficiale al capitano di un avamposto in trincea sulle montagne della prima guerra mondiale. Il capitano esausto risponde che l’unica direttiva che i suoi uomini sono ancora capaci di riconoscere sarebbe la via di casa. Ermanno Olmi è solito dirci le sue idee, spesso le parole in bocca agli attori sono la didascalia delle sue immagini, ne Il villaggio di cartone ma anche in Cento chiodi erano più le parole a contare.

Contro quella guerra si schiera apertamente, e il giudizio è condivisibile come per tutte le guerre, ma soprattutto si schiera contro l’ottusità dei comandi che decidevano dal chiuso dei loro uffici, senza rendersi conto delle condizioni degli uomini al fronte e senza nemmeno conoscere i territori dove si combatteva, con mappe approssimative ricopiate da altre e non recanti nemmeno l’altimetria. La piccola guarnigione realizza di essere stata mandata a morire invano, ingannata per una inutile guerra di posizione: i soldati sono stremati e vicinissimi alla trincea austriaca, molti hanno la febbre e le coperte non bastano a riscaldarsi, il posto è sepolto sotto quattro metri di neve. E’ un film di guerra, si vedono e sentono le bombe austriache che distruggono il presidio italiano, ma vediamo principalmente l’interno buio della trincea italiana e gli occhi disperati dei soldati. Dio non ha ascoltato nemmeno suo figlio sulla croce, vuoi che ascolti noi poveri cani? Ci rubano la vita prima ancora di viverla. Non c’era la morte nei nostri sogni. Il capitano rifiuterà il grado, grida al suo superiore in visita che è criminale l’ordine datogli di installare una trasmittente in un rudere poco lontano, i suoi soldati sono sotto il tiro perenne degli avversari. E’ cosciente del massacro a cui hanno mandato lui e i suoi uomini e ripiegare è stato possibile solo a una parte dei soldati. L’episodio si riferisce a un fatto vero accaduto negli altipiani del nord-est.

Alle immagini della luna sulla cresta, della neve sulle montagne, dell’interno buio della trincea e agli sguardi spenti dei soldati viene resa giustizia dal bianco e nero del film, né il colore sarebbe stato appropriato per tanta disperazione. Un soldato napoletano cantava “com’è bella a montagna stanotte …”,  all’inizio del film, quando il rancio e la posta erano in arrivo, riceveva l’approvazione dei commilitoni ma anche di una voce austriaca, tanto vicini erano: dopo non riesce più a farlo perché, dice, per cantare bisogna stare contenti.

Spesso si è parlato del desiderio, dei giovani mandati a morire, di essere ricordati. Lo confermano le parole recitate da una voce narrante e inserite da Olmi, che ha dedicato il film Al mio papà che quand’ero bambino mi raccontava della guerra dove lui era stato. 

Sono parole tratte anche da nostri scrittori come Rigoni Stern e Buzzati: I sopravvissuti sono condannati a morire due volte. La cosa difficile sarà perdonare. Di tutto quello che c’è stato qui non si vedrà più niente. Quello che abbiamo patito non sembrerà più vero, (e torneranno i prati).




Lasciare un commento