pv21 (---.---.---.242) 8 giugno 2017 19:22

(dis) Lessico >

Il dettato Costituzionale non delinea i caratteri di una “morte dignitosa”. Vi si afferma che tutti i cittadini hanno “pari dignità sociale” in quanto membri di una stessa società che detta comuni norme di convivenza. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione che assicuri “un’esistenza libera e dignitosa”. L’attività economica privata non può recare danno alla “dignità umana”.

E’ evidente che detta “dignità” implica un adeguato ambito di libertà nell’agire e gestire, in autonomia, i propri interessi e rapporti personali.


Mentre l’ergastolo è la pena che, per definizione, commina il regime di carcerazione per la restante parte della vita. Per contro.

NON si tratta di essere rinchiusi in un angusto cubicolo, appena rischiarato da una feritoia, avendo per suppellettile solo un pitale. A nessun carcerato possono essere negate le cure medico-sanitarie di cui necessiti.

In pratica non si possono adottare “trattamenti contrari al senso di umanità” (art.27).


Ciò detto.

Tutt’altra cosa è rivendicare per un pluriomicida gli arresti domiciliari e/o il soggiorno presso una normale struttura ospedaliera in nome di un “preteso” diritto a una “morte dignitosa”. Dove “dignità” significa solo il non voler morire in carcere.


Postilla.

CAPITA di morire in carcere anche senza essere degli ergastolani pluriomicidi.

Ossia. Se al posto dell’ergastolo venisse comminato un numero definito (e consistente) di anni di detenzione, questo non eviterebbe il riproporsi di casi analoghi.

Troppo semplice è inneggiare alla “dignità” facendo appello al buonismo di tanti.

Meglio “setacciare” la portata di certi Riflessi e Riflessioni calibrate per scopi …


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