Enrico Campofreda (---.---.---.49) 18 dicembre 2016 12:10

Le rispondo ulteriormente, signor Flacco, e poi taccio, perché come solitamente dico: ho già il privilegio di scrivere e lascio ai lettori gli eventuali commenti. Che apprezzo sempre, nello spirito interattivo che caratterizza questo sito. Dico pure a chi, come lei, volesse argomentare in maniera copiosa: scrivete articoli, se volete realizzate reportage, seguite questa via che è mestiere, o almeno dovrebbe esserlo (se ci fossero editori disposti a sostenerlo, qui si apre un’altra voragine che tralascio) visto che per molti, anche illustri colleghi, l’informazione imbocca sempre più scorciatoie propagandistiche. Io cerco di evitarle. 


Non credo esista una neutralità d’informazione, ma si prova sostenere perlomeno la correttezza d’approccio sugli argomenti, approfondendo, studiando, osservando su più fronti. Sicuramente non avrà visto altri miei pezzi (non sono una ’firma’), che in parte può trovare anche su Agoravox. Nel Medio Oriente ho rivolto lo sguardo su alcune aree che continuo a esaminare, per quel che mi è possibile anche in loco. Se leggesse miei reportage e articoli su Egitto, Turchia e kurdistan turco, Libano, Territori Occupati, Afghanistan troverebbe molte delle valutazione che riporta nel suo lungo commento che è musica per le mie orecchie. Su cosa divergono le nostre opinioni? Sull’iper realismo politico e sul percorse che lei riporta sia il meno peggio per la Siria. Per me non lo è. Non solo per quello che tanti siriani, palestinesi, kurdi testimoniano da decenni sugli Asad, che lei definisce tolleranti. Forse questa valutazione può farla la componente alawita, favorita dal regime, o minoranze religiose protette, ben poco la maggioranza sunnita. Così com’è accaduto in Iraq, come sta accadendo in Turchia, se governanti e sistemi di potere non accettano la convivenza fra varie componenti sociali, religiose, razziali semplicemente non governano per tutti, governano per caste, clan, lobbies, etnie, e inevitabilmente vengono fuori problemi piccoli o angosciosi.

Sul sistema coercitivo e di interessi del clan Asad, oltre alle testimonianze di vittime, lavori letterari, esistono documentati studi di ricercatori internazionali e italiani (Dettori di Limes è uno di questi). Forse li conoscerà, non so. Non so se sia sufficiente a convincerla che questo ’meno peggio’ da molti siriani era rifiutato, già negli anni Ottanta e con altre rivolte sino a giungere al febbraio del 2011. Al di là dei giochi del Risiko mondiale, dei cambi di regime, dei sauditi (che come gli iraniani) compiono i propri calcoli per l’egemonia regionale, un presidente che ama il proprio popolo non assiste al suo dissanguamento, operato anche dai nemici, certo, ma anche dalla volontà di restare avvinghiato al proprio potere. 
Ho parlato di lui e l’ho opposto alla disperazione dell’uomo in kefia, simile a quello di Baghdad da lei citato, perché continuo a pensare che i popoli non si meritino satrapi come Bush, Clinton, Putin, Asad, Erdoğan. Né il post colonialismo imperialista e purtroppo neppure il socialismo arabo hanno creato un’emancipazione popolare, né la creano le teocrazie e i fondamentalismi. Lo scrivo da anni raccontando vicende, faccio come posso il cronista, non il politico, non propongo soluzioni e non mi sento buonista. Forse anche per questo testate che diffondono propaganda, sensazionalismo e buonismo chiudono la porta in faccia a me e altri colleghi. Ma continuiamo, convinti che le parole, le immagini, i pensieri stimolino confronto e opinioni. Quello di cui i regimi hanno sempre timore, mentre non temono di reiterare sciagure, come nel passato. E anche questo comportamento di realistico cattivismo non consola e non mette in pace l’anima. 





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