Tullio Pascoli (---.---.---.218) 3 febbraio 2016 19:48
Questo grottesco vizio tutto italiano di ricorrere abusivamente ad espressioni straniere viene da lontano.

In un enorme numero di casi, sono persone che utilizzano certi termini senza essere nemmeno in grado di formulare una frase completa di quella lingua straniera in generale, e senza conoscere il giusto significato degli stessi vocaboli in particolare. Si potrebbe citare tutta una miriade di termini che certi aspiranti ad eruditi traducono in modo totalmente soggettivo ed inadeguato, magari attribuendo agli stessi un presunto genere. Esempio tipico è quando, riferendosi ad un virile personaggio di sesso maschile lo definiscono "una star": un vero ossimoro... Non potrebbero benissimo dire "astro"? 

Ma spropositi analoghi nel nostro caro e povero Paese sono davvero infiniti.
Ricordo quando quella comica figura della RAI che, a proposito dell’atterraggio sulla luna, aveva tradotto "moon landing" in "allunaggio", ma "land" si traduce in "terra" o "terreno", quindi, non sarebbe stato più adeguato andare direttamente alla traduzione corretta di "atterraggio lunare", senza ricorrere a stravaganti neologismi?

Già, ma la genesi di tanti spropositi - così comuni in TV -, deriva da una nostra particolare inclinazione all’esibizionismo; il nostro incallito vizio di voler sembrare, di apparire, di celebrarsi, di incinerarsi generato da un’endemica ed esuberante vanità che caratterizza moltissimi dei nostri connazionali, molto probabilmente indotti da complessi d’inferiorità, per la consapevolezza della propria deleteria ignoranza. 
Non per niente la grande maggioranza degli Italiani, se legge qualcosa, si limita a certi giornali di color rosa, qualche titolo od articolo di giornale, ma raramente un buon libro. Così, quando non trovano un termine corretto nella nostra meravigliosa e ricca lingua, si affrettano a prendere in prestito qualche espressione straniera - già storpiata nella pronuncia - che, nella loro immaginazione, avrebbe il significato del valore che si intenderebbe esprimere...

Questo avviene con patetica frequenza nell’ambito giornalistico, dello sport, della politica e perfino dell’economia. Certo, la lingua è un ordine spontaneo come il mercato: è l’espressione delle libere scelte degli individui, e quindi, è in costante mutazione ed in un certo modo condizionato dall’evoluzione tecnologica, è naturale che sorgano termini sempre nuovi...

Tuttavia, in molti Paesi, trattandosi di termini tecnici si coniano neologismi adattati alla propria lingua e si ricorre a adeguate traduzioni: gli Spagnoli per "mouse" usano "ratòn" traduzione letteraria di topo; i Francesi, per "computer" usano "ordinateur"; noi che lo abbiamo inventato, potremmo benissimo usare "computatore";infatti, chi ha fatto ragioneria ha seguito anche la materia di "computisteria"; dall’altra parte dell’emisfero, i Brasiliani per non dire "privacy" usano "privacidade"; a mio modesto avviso, tutte versioni, molto più orecchiabili di certe espressioni straniere che i Nostri, generalmente, pronunciano in maniera sbagliata o le applicano senza che corrispondano alle corrette rispettive traduzioni.

Pertanto, sono perfettamente d’accordo con le oltremodo pertinenti osservazioni e con i suggerimenti che l’autore qui propone. Complimenti!

Io suggerirei, addirittura di mostrare un virtuale cartellino giallo a quei locutori della RAI quando per "tempo di recupero", durante le partite di calcio, sciorinano certe blasfemie come "extra time".

Cordialmente,

Tullio


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