Conordo con Francesco. Cercare di capire è tutto ciò che ci resta, ed è diverso dal condividere. Capisco la fatica di un netturbino, gli estremi di un fanatico, la miseria di un tossico anche faccio un lavoro ed una vita diversa. Scriveva ieri Indymedia: "E’ praticamente fisiologico che una compagine sociale così iniqua nella distribuzione dei doni e del carbone contenga in sé molta desolazione e molta rabbia. Per ogni stella che brilla in cielo ci sono mille persone nella stalla. Per ogni sorriso sul rotocalco patinato dei giovani e belli, ci sono diecimila smorfie di pena sulla carta straccia della miseria. Così crescono i depressi, gli avviliti, i frustrati: quante persone conoscete che non amano più la vita, che si sentono fallite, escluse, scaricate dal treno che corre e corre? Quante persone nei bar, nelle strade, nelle case si lamentano, sbuffano, succhiano psicofarmaci, bevono troppo, fumano troppo, si sfondano di tristezza?"
E’ questo il gioco in cui siamo capitati. Si distribuiscono le carte: uno ha quattro assi perché è fortunato o perché bara, e gli altri perdono le dieci fiches che hanno davanti. E allora parliamoci chiaro: una società che premia chi ce la fa e dimentica chi non ce la fa, che produce e coccola un’elite, non deve stupirsi se nelle sue viscere cresce anche qualche manipolo di disperati pronti a sfasciare tutto. E’ fisiologico, pressoché inevitabile. E’ la bilancia del mondo. Più fortuna getti su un piatto, più violenza si piazza sull’altro. Noi odiamo la violenza, ma non ci piace nemmeno una società che ingrassa pochi e lascia che tanti giovani si consumino nella disperazione. La disperazione, alla fine, rende pazzi, rovina tutto, distrugge tutto.
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