mercoledì 27 ottobre 2021 - Doriana Goracci

Zehra Doğan, lotta con i fumetti (video)

«Disegnavo sui vestiti che mi portava mia madre o sulle lettere che ricevevo. Per i colori usavo sangue mestruale o cibo come il prezzemolo... Ho scelto questo mezzo solo perché pensavo che attraverso di esso avrei potuto raccontare nel modo migliore la mia prigionia. Non pensavo di farne un libro» Zehra Doğan.

 

Zehra Doğan è a Torino il 28 ottobre. L’ evento si tiene al Polo del ‘900, giovedì 28 ottobre alle ore 18, su prenotazione (Via del Carmine, 14) e in diretta streaming sui canali FB e YouTube del Polo del ‘900 e degli istituti coinvolti (Museo diffuso della Resistenza; Istituto di studi storici Gaetano Salvemini e Fondazione Nocentini).

Il Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà, la Fondazione Vera Nocentini e l’Istituto di studi storici Gaetano Salvemini – con il supporto di Casa Gramsci e della Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci Torino – propongono un dialogo con l’artista e attivista curda Zehra Doğan, a partire dalla sua esperienza di giornalista e attivista e prigioniera nelle carceri turche, nelle quali ha cominciato a usare l’arte come mezzo espressivo per conquistare diritti e libertà per individui e minoranze oppresse.

La Bottega dei Barbieri le dedica un ottimo articolo, completato dall'appuntamento prezioso con tutte le indicazioni.

Aggiungo un video in cui si spiega lei stessa, Zehra Doğan, e la sua arte. E la sua biografia da wikipedia:

"Zehra Doğan (Diyarbakır, 14 aprile 1989) è un'artista e giornalista curda con cittadinanza turca, nota per essere stata arrestata e condannata per aver pubblicato sui social media un suo dipinto in cui raffigura la distruzione di Nusaybin dopo gli scontri tra le forze di sicurezza e gli insorti curdi.Fondatrice e direttrice di Jinha, un'agenzia di stampa curda femminista con un personale tutto femminile, dal febbraio 2016 Doğan ha vissuto a Nusaybin, una città turca al confine con la Siria. Il 21 luglio 2016 è stata arrestata in un bar a Nusaybin e incarcerata nella prigione di Diyarbakir. Il 2 marzo 2017 è stata assolta dall'accusa di "appartenenza a un'organizzazione illegale", ma è stata condannata a 2 anni, 9 mesi e 22 giorni di carcere per "propaganda terroristica" a causa delle notizie pubblicate e dei post sui social media tra cui anche un suo dipinto in cui raffigura la distruzione di Nusaybin. “Mi sono stati dati due anni e 10 mesi [di prigione] solo perché ho dipinto bandiere turche su edifici distrutti. Tuttavia, (il governo turco) ha causato questo. L'ho solo dipinto", ha scritto Doğan su Twitter dopo la sentenza.La sua pubblicazione Jinha è stata chiusa il 29 ottobre 2016 dalle autorità turche, uno degli oltre 100 organi di stampa chiusi dopo il fallito colpo di stato militare nel luglio 2016. In prigione, lei e altre donne hanno creato il quotidiano Özgür Gündem Zindan (Free Agenda Dungeon), il cui nome è un'opera teatrale su Özgür Gündem (Free Agenda), una pubblicazione con sede a Istanbul che si rivolge al pubblico curdo.Dopo aver terminato la condanna, è stata rilasciata dalla prigione di Tarso il 24 febbraio 2019.Nel novembre 2017 un artista cinese dissidente, Ai Weiwei, ha pubblicato una lettera in cui esprimeva solidarietà nei riguardi della giornalista-artista incarcerata, facendo un parallelo tra la Cina e la Turchia nella repressione delle espressioni artistiche.Zehra Doğan ha risposto dalla prigione: "L'arte è il miglior strumento per la lotta".L'artista di strada Banksy ha espresso più volte solidarietà nei confronti di Doğan dedicandole anche un murale a New York."
Ma non c'è bisogno di stare dove cadono le bombe per essere in guerra, è sufficiente vivere in un paese con un regime autoritario per ritrovarsi nei panni del nemico, come ci insegna l'esperienza di Zehra Dogan giornalista e artista curda, finita dietro le sbarre per tre anni, solo per avere realizzato un dipinto che non è piaciuto al presidente turco Erdogan. (Tiziana Ferrario)
Avremo anche giorni migliori, grazie Zehra Doğan.
 

 




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