giovedì 14 luglio 2016 - angelo umana

Whiplash, di Damien Chazelle

 “Volli sempre volli fortissimamente volli!” fu detto da Vittorio Alfieri nel 1783. E’ giusto perseguire uno scopo, come la propria realizzazione nell’arte o in altri campi, ad ogni costo, oppure si può essere comunque grandi artisti (o altro) in un corpo e in una mente equilibrati, sereni, nutriti di benessere vitale e di affetti, senza eccessive rinunce?

Pensieri che vengono in mente alla visione del film Whiplash di Damien Chazelle, 2014. Andrew è studente del conservatorio e si esercita moltissimo nella sua passione, la batteria. In lui vede il germe del campione il professore più severo e temuto, Terence Fletcher, una copia del sergente Hartman di Full Metal Jacket. Anche in questo film c’è uno studente che il terribile professore apostrofa come “palla di lardo”.

Il film è “forte”, intenso, si è costantemente in ansia per la buona riuscita del giovane batterista e per la tenzone tra i due, ma il successo arriverà, è sicuro, dato che si esercita fino a farsi sanguinare le mani, lascia la sua ragazza perché, le confessa, penserebbe alla batteria anche quando è con lei. Ecco, vien da chiedersi se la smania di emergere deve costare tutto questo, rinunciare a molto altro per avere una missione da compiere, di autorealizzazione. Altri studenti hanno abbandonato prima, uno si è perfino suicidato per sentirsi inadeguato sotto i colpi al suo amor proprio del “sergente” Fletcher. Questi è un ottimo pianista jazz, sa di musica e di disciplina ferrea, sembrava dolce a incoraggiare Andrew ad andare avanti, ma poi è capace di scenate furibonde, di lanciare tavoli e altro che gli passa per le mani all’indirizzo di malcapitati studenti e anche di Andrew.

In realtà la colpa, o il merito, del successo di Andrew si dovrà alla spasmodica ricerca di Fletcher, un uomo solo che sembra non avere altri interessi fuori dalla musica: egli cercava un carattere forte che gli potesse tener testa, qualcuno che fosse disposto a superarsi. Il film è una guerra di nervi tra i due. Ci si chiede come possa quel ragazzo tranquillo dell’inizio film, Andrew, che va al cinema col papà (la mamma se ne andò quando lui aveva 5 anni), che propone in modo molto dolce alla cassiera del cinema di uscire insieme, arrivare alla quasi ossessione per essere un grande batterista jazz.

Fletcher è l’allenatore che gli ci voleva e Andrew è lo sparring partner di una lotta per la vita. Allo studente il primo ha insegnato che nulla c’è di peggio che due paroline consolatorie come “bel lavoro!”, bisogna invece superare i propri limiti: Charlie Parker non sarebbe diventato quel che fu se qualcuno non gli avesse lanciato un piatto della batteria, la rischiata decapitazione lo fece diventare Charlie Parker.




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