venerdì 28 agosto 2020 - angelo umana

Volevo nascondermi

Volevo nascondermi mi piacerebbe nominarlo anche “volevo gli abbracci mancati”. Potrebbe dirsi, se vi pare, il film sugli abbracci negati al bambino Ligabue o Laccabue, e sulle conseguenze che questa mancanza ebbe. 

In una scena ad inizio film compare la sua mamma che lo consegna ad una coppia adottiva a Zurigo e l'immagine di lui che piange mentre la mamma va via rimane forte in mente. Questo abbandono pare produrgli un rifiuto della realtà circostante e di questi genitori adottivi, è rifiutato e deriso a sua volta dall'ambiente e dagli altri bambini, un insubordinato per la scuola e per il lavoro, un disadattato che soggiornerà in manicomi quando verrà mandato a Gualtieri in Emilia, il padre naturale era di colà. Esistettero in Svizzera questi affidi con supposti “scopi assistenziali” a famiglie che facevano lavorare tra gli stenti dei bambini senza che nulla fosse loro riconosciuto, nemmeno l'istruzione. Verdingkinder si chiamavano, bambini a contratto (sull'argomento fu fatto un film). Si apprende qui che i genitori adottivi di Antonio ricevevano un sussidio per l'”impegno”.

 

Le immagini dell'infanzia tornano prepotenti e ossessive nel film e nella memoria di Antonio – inserti appropriatissimi della regia di Giorgio Diritti e della sceneggiatura - ogni volta che crescendo vive esperienze scomode o sgradite; ne fu segnato per sempre. Le sue reazioni, il nascondersi – derivanti dall'abitudine a scarsi contatti con essere umani - ci fanno partecipi della sua disperazione, le immagini sono così “marcate” da farci sentire vicini al protagonista, siamo con lui dentro il film e dentro le sue vicende: merito grandissimo di Elio Germano che lo interpreta e della regia che ci fa immergere, o sprofondare, nelle scene drammatiche ch'egli vive, “breathless” o da togliere il respiro.

 

Ligabue crebbe attratto dagli animali e da quelle persone che gli regalarono rare carezze, il personaggio dice di capire subito se un uomo è buono o cattivo. Gli animali li imitava, li vedeva nei suoi dipinti come creature vere; la pittura si rivelò la forma d'espressione con la quale il suo spirito trovava un po' di pace e cominciò ad essere apprezzata. Rimase impressionato dagli occhi di una bambina morta che volle riportare su tela; gli parve inaccettabile quella morte, un'esperienza mai vissuta, che talmente lo scosse da farlo vagare disperato e urlante in cimitero di notte.

 

Tante e ricche le citazioni della sceneggiatura, o forse cose vissute da Ligabue (1899-1965). La tassa sul celibato che gli si minaccia nel fascismo e cose da lui dette quando venne riconosciuto come grande pittore e scultore naif, sempre schivo e semplice, un po' rozzo ma immediato: “perché parlare dei quadri, i quadri si vedono, cosa puoi dirne?” o “il maggior condimento sulla pasta è riservato alla gente importante”; il paltò nuovo indossato in estate per tutto il freddo patito in vita, eppoi una certa affermazione di sé o autoriconoscimento, “sono un artista, di un artista o artigiano resta qualcosa, nulla resta di un autista!”

 

Commovente che in punto di morte gli ricompaia il volto della sua giovane madre naturale, gli dà la mano, lo chiama a sé, lui l'ha sempre attesa. Un film magnifico, ebbe solo un Orso d'argento a Berlino per Germano, ma tant'è.

 




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