Vincitori e vinti dell’Era dell’elettricità
L'investimento in energie pulite ha prodotto risultati deludenti, con perdite finora significative. I fondi scommettono contro la transizione energetica, mentre la crescente domanda di elettricità spinge verso investimenti in infrastruttura di rete e nucleare.
Questo post è stato pubblicato in originale su Phastidio.net
Come forse noto, l’investimento in energie pulite non ha sinora dato grandi soddisfazioni a risparmiatori e investitori. Eufemismo per dire che li ha randellati a sangue, come dimostrano i risultati di fondi attivi e passivi investiti sulla Clean Energy, il cui indice negli ultimi tre anni ha perso quasi il 60 per cento del valore e non accenna a riprendersi, mentre nello stesso periodo l’indice S&P 500 e il suo sub-indice Oil & Gas sono cresciuti di circa il 50 per cento.
Tra le motivazioni del pessimo risultato si tende a citare la fase di rialzo dei tassi d’interesse, che ha determinato l’abbattimento del valore attuale dei flussi di utili attesi (o meglio, promessi), oltre alla fiammata inflazionistica dei prezzi delle materie prime nel periodo successivo all’invasione russa dell’Ucraina, che ha reso molto onerosi i costi di produzione.
Hedge fund contro la transizione energetica
Ma anche oggi, secondo un’analisi condotta da Bloomberg sulle posizioni di oltre 500 hedge fund con masse gestite comprese tra 50 milioni e 50 miliardi di dollari, i grandi player di mercato continuano complessivamente a scommettere contro la transizione energetica, ritenendo che non pagherà quanto e quando inizialmente ipotizzato.
Di conseguenza, dallo studio di Bloomberg, emergono posizioni nette corte (cioè ribassiste) su solare, batterie, veicoli elettrici, idrogeno. Si salva l’eolico, con una posizione netta rialzista nel campione di hedge fund, perché già abbondantemente massacrato (si pensi ai costi di realizzazione dei parchi eolici offshore) e di conseguenza teoricamente appetibile. Per contro, gli hedge hanno posizioni nette rialziste sui combustibili fossili, incluso il carbone.
Dopo il quadro macroeconomico, anche quello politico e geopolitico è diventato avverso all’investimento verde. Negli Stati Uniti, l’offensiva dei Repubblicani contro tutto quello che è ESG, visto come sinonimo di woke e di cavallo di Troia anti-capitalista, crea un contesto ostile. A livello geopolitico, soprattutto in caso di vittoria di Donald Trump, ci si attende una tempesta di dazi su tutto quello che è cinese, e come noto la Cina controlla le filiere, dalle materie prime al prodotto finito, che viene esportato col supporto di corposi sussidi.
Di conseguenza, ci sono due livelli di non attrattività dell’investimento: l’eccesso di capacità produttiva cinese, visto plasticamente all’opera sul solare, che demolisce la redditività; e il rischio-tariffe, a livelli ancora più elevati degli attuali. Discorso analogo per le auto elettriche, col settore che in Occidente è sovrainvestito, anche a causa di una domanda nel frattempo evaporata. L’eccezione planetaria alla negatività sulle azioni legate agli EV è il leader cinese BYD, grazie alla sua filiera a forte integrazione verticale. Ma avere un apparente vincitore così presto equivale a dare maggior confidenza nelle scommesse ribassiste sul resto del comparto.
Riguardo invece al fossile e alle posizioni nette lunghe, sul petrolio ai timori geopolitici si sommano livelli di scorte piuttosto bassi. La crescente domanda mondiale di elettricità spinge il carbone termico, anche se le posizioni ribassiste stanno aumentando col trascorrere del tempo. Il prezzo del carbone regge anche a causa delle restrizioni di offerta causate dalle norme ambientali.
Vince l’infrastruttura di rete
Il vincitore, tra gli investimenti nel comparto energetico, è l’infrastruttura di rete con relativi equipaggiamenti, come trasformatori e linee di trasmissione. Ma solo perché la rete è agnostica tra generazione con rinnovabili e fossili, “ospitando” entrambi. L’infrastruttura di rete deve crescere per reggere la forte domanda di elettricità legata allo sviluppo dei data center, ed è al riparo da guerre commerciali.
Siamo dunque entrati nell'”era dell’elettricità”, e la forte ascesa della domanda è alla base delle iniziative di molti colossi tech di rivitalizzare centrali nucleari dismesse e/o investire nello sviluppo diretto della tecnologia dei piccoli reattori modulari. Ricordando che, in questa seconda via, si tratta ancora di tecnologia sperimentale e che nulla garantisce quello che invece molti hanno frettolosamente indicato come punto di forza degli SMR: i costi minori e soprattutto meglio controllabili rispetto a quelli delle centrali come grandi opere pubbliche. Quindi, la via del nucleare come esito fisiologico per rispondere alla enorme e crescente fame di elettricità ha senso ma è lastricata di robuste incognite. Anche per riportare in vita i vecchi impianti.
Scendendo dai massimi sistemi alla bassa cucina delle chiacchiere, in Italia partiamo regolarmente dal tetto in attesa di affossarci nelle fondamenta, col nuovo gioco di società che punta a trovare le migliori location per le nuove mini centrali che (forse) verranno. Mentre restiamo in attesa di capire dove esportare mettere le scorie.
A proposito: non per guastare la festa ma, se non siete Amazon, Microsoft e compagnia cantante di data center, e quindi non avete soldi da mettere nell’impresa, per tutti i comuni mortali (anche quelli vacui, vanesi e chiacchieroni che stanno sulla sponda nord del Mediterraneo), mi risulta ci siano solo due modi per finanziare nuove centrali nucleari: con imponenti stanziamenti pubblici e/o col costo in bolletta dalla posa della prima pietra. Dopo aver compreso questo, possiamo visitare quel panoramico angolino che abbiamo occhieggiato per mettere quel piccolo delizioso reattore di cui vi dicevo.