lunedì 4 maggio 2009 - Francesco Raiola

Veltroni, uno scrittore senza politica

Era un po’ che ci chiedevamo cosa stesse facendo Walter Veltroni. Dopo le dimissioni da segretario del Pd, improvvisamente, dopo anni passati, nel bene o nel male, sotto i riflettori, sembra caduto in un enorme cono d’ombra mediatico. Eppure doveva essere l’uomo nuovo, anzi era, per molti, l’uomo nuovo, destinato a risollevare dal pantano una sinistra che da troppo tempo (anche durante il breve Governo Prodi) navigava a vista e non trovava la bussola. Dopo le promesse - valsegli tantissimi sfottò - di andare in Africa subito dopo l’avventura romana, Veltroni era tornato prendendosi un rischio alto, anzi cominciando una partita in parte già persa. L’Obama italiano, senza però, la freschezza obamiana – in fondo non è proprio un novellino – e soprattutto la convinzione che gli italiani potessero essere come gli americani, che hanno tantissimi difetti (vedi le due elezioni consecutive di George W. Bush), ma anche un piccolissimo, ma sempre attivo, bisogno di sognare. Cosa che ormai noi italiani, impegnati a sopravvivere e troppo occupati a cercare un lavoro, a cercare di arrivare a fine mese, abbiamo perso.
 
A questo va aggiunta una scelta di comunicazione che in tanti gli hanno contestato – e che è stata modificata appena ha preso il timone il fido Franceschini, che pure era il suo vice – e alcune scelte non proprio condivisibili, come il continuo credito al Governatore campano Bassolino, con cui era in atto un tira e molla continuo, e un’opposizione considerata troppo morbida.
 
Insomma cosa sta facendo adesso Veltroni? La risposta non l’abbiamo o, almeno, l’abbiamo solo in parte. Veltroni scrive. Sì scrive. “Adesso ho il tempo per scrivere” ci dice.

Abbiamo raggiunto Veltroni nella libreria italiana “La libreria” a Parigi, dove l’ex segretario era arrivato per presentare il suo libro “La scoperta dell’alba”, tradotto in Francia per Flammarion, a tre anni dal’uscita italiana.
 
“Niente politica per favore” ci dice l’ufficio stampa della casa editrice e lo ribadisce lo stesso Veltroni sia durante la presentazione, che prima della chiacchierata che facciamo alla fine. Niente da fare, quindi, nonostante qualche domanda pronta già ci fosse. Sarebbe stato interessante sapere che ne pensava l’ex segretario Pd sull’accordo bipartisan sul referendum, piuttosto che sulle candidature alle europee, quelle che ad esempio hanno portato a correre per l’Europa i bassoliniani Montemarano e Cozzolino, che, infatti, da lì a poco sarebbe stato indagato dalla magistratura. Insomma di domande da fare ce n’erano, ma non si parla di politica. Veltroni sa che in questo momento ogni sua parola potrebbe essere usata contro la sinistra, il Pd (sempre una sua creatura) e soprattutto contro il fido Franceschini.
 
Il libro, i ricordi, la ferita che l’ex sindaco di Roma si porta appresso per la scomparsa, quando era piccolo, del padre, un evento che nella sua traumaticità lui dice di essere riuscito a superare. Un dibattito in cui si sentiva nell’aria la voglia della gente di andare oltre il libro. Un libro che da saga familiare si dipana negli anni fino a toccare il terrorismo. Qual è il terrorismo di questi anni, per lui chiediamo. Quello reale di Al Quaida, ci dice, ma anche “il rischio di un mondo che si va sempre più chiudendo, blindando, su basi identitarie di tipo religiose o etniche. Ecco questa può essere l’anticamera di un grande crash!”. Un mondo che si chiude. Veltroni è quello, è inutile cercare in lui altro, soprattutto perché cercare altro? Gentile e disponibile, anche quando si cita una stroncatura al libro fatta dallo scrittore romano Christian Raimo, l’accusa di personaggi poco sviluppati (ci dirà che il libro è stato scritto abbastanza di fretta) o per usare le parole dello scrittore romano: “Il difetto principale di Veltroni è l’applicazione di una retorica specificamente politica all’ambito letterario- scrive Raimo -. L’ignoranza di quel monito cardinale di qualsiasi scrittore, la frase che si ripete a buffo nei corsi di scrittura: Show! Don’t tell!; non dire, mostra; non dichiarare, metti in scena”. Non la conosceva questa critica Veltroni, però quei difetti “se qualcuno li ha visti vuol dire che ci devono essere. Bisogna leggerle le critiche, bisogna guardarle, e poi naturalmente (…) considerarle con attenzione”. È un politico Veltroni, diplomatico, anche troppo a volte – non nasce a caso il maanchismo.
 
La politica è solo sfiorata, toccata per dire che adesso finalmente può dedicare più tempo alla scrittura: “Adesso ho il tempo per scrivere. Questo libro è stato veramente rubato al mio lavoro, nel senso che l’ho scritto facendo un lavoro, quello di sindaco, che mi assorbiva completamente e quindi l’ho scritto in un’estate. Adesso sto scrivendo un altro libro e quindi ho il tempo per scriverlo e questo mi dà un’immensa soddisfazione”. Insomma quasi una liberazione; scrivere, una delle sue passioni, una passione in cui gettare se stesso, quello che ama ma senza correre il “rischio di fare quelle cose che sono un po’ delle autobiografie camuffate”, benché il libro un po’ lo sia. C’è tutto Veltroni in quel libro, le sue passioni, le sue sensibilità come dice lui stesso. In fondo raccontare “è la cosa più bella che si possa fare, per quello che si ha dentro, che si è visto, conosciuto, raccontare le proprie emozioni, le proprie storie”. Un racconto che però nel suo ultimo viaggio non è riuscito a portare a termine, una storia troppo difficile, che la gente non ha capito, che i suoi compagni di avventura non hanno capito, o forse più semplicemente era una storia sbagliata, come ce ne sono tante. Ad ogni modo una storia lasciata a metà, di quelle, tante, a cui lo scrittore è affezionato ma che, arrivati a un certo punto, non va più avanti. Una di quelle, chissà, che si riprendono in mano anni dopo.
 
Ma una zeppatina, come dicono a Napoli, Veltroni la lancia ed è verso il ruolo della sinistra in questo “degrado culturale” che attraversa il paese, della perdita di quel ruolo di cui la sinistra andava fiera fino a qualche anno fa e di cui adesso quasi si vergogna, per paura di fare la fine degli intellettuali, etichetta che ormai, in opposizione al Presidente operaio, è da tenere il più lontano possibile. Una volta essere intellettuali era un pregio di cui fregiarsi, ora un’onta da nascondere. Una cultura che non si sposa abbastanza col tubo catodico, un’immagine che è vecchia, dicono. “La cosa peggiore che si può fare in circostanze come quelle che noi stiamo attraversando è di subire la sindrome Zelig (non c’entrano Bisio e la Incontrada, ma Allen ndr), cioè di diventare come gli altri, neanche di pensare a una superiorità, perché, anche questo è un errore spaventoso, l’idea che da una parte c’è il bene e dall’altra c’è il male… tutte cose sbagliate, però bisogna avere il coraggio di andare controcorrente quando è più difficile e credo sia anche la cosa più affascinate dal punto di vista intellettuale”. Ecco l’effetto Zelig riassume bene quello che è stato la sinistra negli ultimi anni e bisogna dare atto a Veltroni che questa sia un’immagine più che calzante della situazione dell’opposizione in questi ultimi anni.
 
La chiacchierata, più che intervista, con Veltroni è terminata con un gioco. Su internet, più in particolare sul sito letterario Il Primo Amore (se non lo conoscete andate a visitarlo, non ve ne pentirete), girava una lista di libri accomunati da una cosa. L’abbiamo mostrata a Veltroni, che inizialmente ha titubato, per poi capire e darci la risposta. Quale sarà? (prendiamo in prestito le regole da Nazione Indiana e cancelleremo momentaneamente i primi commenti giusti). La risposta ve la daremo fra un po’, quando già molti di voi avranno indovinato (se avete già letto la cosa astenetevi dal rispondere). Nel frattempo…non imbrogliate!




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