giovedì 20 maggio 2021 - Phastidio

Vedi il debito di Napoli e poi muori

Dolorosa e improvvisa epifania di un candidato sindaco: il comune di Napoli sta per collassare sotto il peso del debito. La politica romana si stringe a coorte

Colpo di scena: dopo un accordo politico faticosamente raggiunto e che aveva il segno distintivo della Storia con la maiuscola, il Prescelto e Pre-Eletto fa dietrofront, accorgendosi di un gigantesco elefante nella stanza: il debito. Di che parliamo? Del tentativo della ex maggioranza nazionale giallorossa di ottenere il sindaco di Napoli, vincendo le prossime elezioni comunali. Quanto al maxi debito, era lì da tempo ma pare fosse riuscito a sistemarsi nel punto cieco del campo visivo della politica.

Dopo laboriose consultazioni, il professor Gaetano Manfredi, già ministro dell’Università del governo Conte 2, ex rettore dell’Università Federico II di Napoli, ex presidente della Conferenza dei rettori italiani, pareva il prescelto per l’appuntamento con la storia: governare Napoli e mettere finalmente in azione il patto tra Pd e M5S, per replicare in ambito locale l’esperienza del governo Conte 2, che tanti orfani e vedove ha misteriosamente lasciato sul terreno.

Il Pre-Eletto e il Dolore

Il professor Manfredi ha studiato e ristudiato, il suo cuore era gonfio di orgoglio, sentimento, gioia e speranza per questa missione. Ma, improvvisamente, si è imbattuto in Lui, il Mostro:

Lusingato e riconoscente, come è mia abitudine, mi sono messo a studiare. E ho scoperto il dolore.
Il Comune presenta una situazione economica e organizzativa drammatica. Le passività superano abbondantemente i cinque miliardi di euro, tra debiti e crediti inesigibili. Le partecipate sono in piena crisi e si prospettano difficoltà a erogare i servizi. La macchina amministrativa è povera di personale e competenze indispensabili. La capacità di spesa corrente è azzerata. Siamo, di fatto, in dissesto.
Un dissesto che dovrà essere dichiarato o dal sindaco Luigi de Magistris entro qualche giorno o dal nuovo sindaco a fine anno. Sarei felicissimo se venissi smentito su questi dati drammatici, ma temo che saranno confermati. La conseguenza è che, in queste condizioni della città, il sindaco diventa un commissario liquidatore.

Quindi, vediamo: il professor Manfredi si è messo a studiare e ha scoperto l’esistenza di un debito cittadino di oltre 5 (cinque) miliardi di euro. “Tra debiti e crediti inesigibili”. Come sappiamo dalle note e sfortunate vicende della Regione Sicilia, sono soprattutto i crediti inesigibili, riconosciuti tali, la determinante dei dissesti. Oltre a ricorrenti voragini di entrate, perché in fondo non si deve vessare il popolo.

Crediti inesigibili, entrate svanite

Si passano anni con bilanci in apparente equilibrio, nei cui attivi figurano crediti spesso imponenti che tuttavia semplicemente non esistono più, ammesso che mai siano esistiti. Si inizia la pulizia, si scosta il cartello con scritto “lavori in corso” e la voragine appare, in tutta la sua magnificenza. La realtà bussa alla porta, more solito, direbbero quelli che hanno fatto studi classici.

In questi casi l’ente locale dichiara il dissesto e inizia un percorso doloroso ma necessario di riequilibrio pluriennale (se foste interessati, qui trovate l’iter). Per farla breve, servono più entrate e meno spese. Incredibile, vero?

Ci sono alternative? Dipende: se siete enti locali dotati di grande rilevanza politica, economica e sociale, potete tentare di negoziare qualche accordo col governo centrale, in modo da spostare parte dell’onere di ristrutturazione sui contribuenti nazionali.

Potete segnalare che la città “è una polveriera”, non senza ragione, oppure potete ricorrere a un approccio masaniellare (o masaniellesco?), di matrice preferibilmente terzomondista, denunciando la natura “odiosa” del debito cittadino, che lo rende quindi meritevole di ripudio nell’epica della lotta allo sfruttamento capitalista e yankee dell’umanità. Che non c’entra nulla ma serve sempre, soprattutto in determinati ambienti.

All’occorrenza, si trovano accademici e intellettuali che denunciano il colonialismo di altre regioni dal paese, secondo una geolocalizzazione piuttosto consolidata, che di solito termina con frasi del tipo “ah, se il Nord non avesse i nostri consumi, morirebbe di fame!”, o equivalente.

L’apparizione del debito

Perché vi ricordo, in modo invero assai sgradevole, queste situazioni e circostanze? Intanto, vorrei condividere con voi il mio stupore dopo aver visto che una persona, da sempre protagonista della vita culturale e scientifica di Napoli, si mette a studiare e scopre un mostruoso e ormai insostenibile debito. Forse il professor Manfredi ha avuto molto da fare, in questi anni, oppure con questa decisione ha cercato di evitare di bere un calice assai amaro.

Oppure, terza ipotesi non disgiunta dalle precedenti, egli ha voluto manifestare il proprio disappunto per non essere stato ripescato nel governo Draghi su indicazione dell’entità convenzionalmente chiamata M5S, e che quindi non abbia alcun interesse a cantare e portare la croce di quella che si annuncia una consiliatura grondante sangue, sudore e lacrime.

Che fare, quindi? Manfredi è contrario a questa sofferente ipotesi per i suoi concittadini, o comunque è contrario a essere il commissario liquidatore del comune, ed ecco il “suggerimento”, grassetti sobillatori miei:

I napoletani, legittimamente, hanno aspettative altissime. Ambiscono ad avere trasporti efficienti, strade riparate e pulite, asili nido, centri per gli anziani, impianti sportivi, parchi pubblici e condizioni di vita quotidiana adeguate ai migliori standard nazionali e internazionali. E questa è soltanto l’ordinaria amministrazione. Ma chiedono anche altro, vogliono evolvere verso la trasformazione digitale, il turismo sostenibile, l’economia circolare, i diritti di cittadinanza. Ambiscono a fare di Napoli, seppur mantenendo tutte le sue formidabili tipicità, una città europea a pieno titolo come è stata sempre nella sua storia.

Patto ricco, mi ci ficco

Detta in questi termini, e prima di pronunciare la fatale (per le tasche dei contribuenti italiani) formula del “Patto per [inserire nome di capitolo di spesa pubblica a piacere]”, sembra una duplice precondizione all’accettazione della designazione: spostamento del debito in capo alla “solidarietà nazionale”, per lenire i sensi di colpa di neoliberisti e neocolonialisti, e suggerimento della imprescindibile necessità di pilotare robuste quote del prossimo Recovery Fund in città.

Che ci può certamente stare, se obiettivo del Next Generation EU è anche quello di colmare i più eclatanti divari di crescita e ricchezza a livello regionale, nella cornice dell’ormai leggendaria rivoluzione ambiental-digitale. Finora, con la programmazione ordinaria dei fondi europei, siamo stati sfortunati ma non abbandoniamo la speranza di cambiamento.

Come che sia, oggi la politica romana ha scoperto che Napoli è schiacciata da un debito ingestibile. L’ex premier Giuseppe Conte, nelle more del titanico scontro legale tra l’entità convenzionalmente chiamata M5S e l’Associazione Rousseau (prossimamente anche su Netflix), proclama la necessità di una “assunzione di responsabilità da parte di tutte le forze politiche”. Nazionali, è il non troppo sottinteso. Conte parla anche della costruzione di un “fronte ampio” delle forze di progresso, usando un’espressione che profuma di Sudamerica.

In attesa che l’Abogado del Pueblo si ponga alla testa delle masse popolari estraendo una pochette giallo-rosé, anche l’eterno candidato al ruolo di improbabile papa straniero della sinistra, Roberto Fico, ha proferito parole di grande saggezza sull’inopinato debito della sua città, di cui pareva potesse essere candidato sindaco.

Saggezza che, manco a dirlo, converge verso il famoso “Patto per Napoli”, che poi diverrà Patto per l’Italia, visto che nella Penisola ci sono 800 comuni in incipiente o conclamato dissesto. Non vi dirò cosa accade negli Stati Uniti quando un comune fallisce: sarebbe così terribilmente provinciale, da parte mia.

Dissesto nazionale, default locali

Credo che i default locali siano conseguenza del più generale dissesto del paese, ma non vorrei balzare a conclusioni affrettate. Probabilmente è colpa dell’euro, della Germania, del neoliberismo o della pandemia canaglia.

Poi, essendo io notoriamente malpensante, credo che questa improvvisa fuoriuscita del debito comunale dal punto cieco del campo visivo della politica sia stato agevolato dall’imminente arrivo dei 210 miliardi “europei”. Oltre che dalla nota inclinazione italiana a curare il debito con altro debito.

Sarebbe assolutamente senza cuore infliggere sofferenze ai cittadini con traumatici default comunali, proprio mentre ci apprestiamo a balzare nel futuro ambiental-digitale. Serve capire come, ma qualche ardita costruzione di ingegneria finanziaria (a debito) per disperati può e deve essere trovata, in nome del Frente Amplio.

Tra le domande oziose, o più propriamente reazionarie, resta quella che andrebbe fatta al sindaco uscente di Napoli, dieci anni dopo una grande esperienza di comunità partecipata e delle sue partecipate. Debito cinico e baro.




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