venerdì 18 febbraio 2011 - Eleonora Poli

Vecchioni a Sanremo, di poesia e di coraggio

Un coraggio ampiamente ripagato. E a chi si domandava che cosa ci andasse a fare al Festival il professore, il cantautore impegnato, la risposta arriva in queste sere da una canzone - bella, ispirata e toccante senza cadere negli eccessi - che ha incontrato il consenso del pubblico e dei critici. Trentotto anni dopo la sua “prima volta”, si è presentato all’Ariston un uomo, un artista diverso: anzi, migliore.

Nell’album “Di rabbia e di Stelle”, anno duemilasette, cantava “Non amo più”; oggi a Sanremo Roberto Vecchioni interpreta “Chiamami ancora amore”, come a ritrovare idealmente il filo di quello che aveva creduto perdere. Una canzone di speranza, semplice e intensa, immediata e poetica, che ha lasciato da parte citazioni letterarie e metafore indecifrabili per arrivare invece diritta al cuore.

Dopo la sua esibizione, l’altra sera, l’applauso è stato il più lungo, il pubblico era tutto in piedi. Sul Corriere Luzzatto Fegiz gli ha dato il voto massimo, dieci; più cauti sono stati i critici musicali di altri quotidiani anche se, con pochissime eccezioni, tutti concordano che quello del cantautore milanese sia tra i migliori pezzi in gara: un brano che si ama al primo ascolto, da esperti o da semplici appassionati. Mancano ancora due giorni, a sabato. Ma, indipendentemente da quello che succederà, da come voterà la giuria, dalla possibilità molto possibile che arrivino primi i superfavoriti Emma-Modà, indipendentemente da tutto, viene da dire che ha già vinto, Vecchioni.

Intanto, lasciandosi scivolare addosso le critiche di chi voleva coglierlo in contraddizione (“ma come, ha criticato per anni Sanremo e adesso ci va pure lui?”), è riuscito a confrontarsi in modo disinvolto con una realtà per lui quasi inedita, a portare tutto se stesso davanti a 12 milioni di telespettatori, presentando qualcosa di molto “suo” che poteva però arrivare facilmente agli altri. A dimostrare che non soltanto sa essere qualcos’altro, il professore, ma può e vuole, essere qualcos’altro. Nella nuova canzone, musica e testo toccano sentimenti forti e condivisi – amore e non soltanto - senza cadere nella retorica e nella banalità. A chi non se ne fosse convinto leggendo le parole sulla carta, è bastato ascoltare l’apertura della voce, sempre coinvolgente, forte: “perché la riempiremo noi da qui di musica e parole, chiamami ancora amore, chiamami sempre amore”. C’è chi dice, e dirà, che Vecchioni ha fatto una canzone furba, che ha cantato ciò che il pubblico di Sanremo voleva ascoltare: per farsi pubblicità, per vendere qualche disco in più. Ad ascoltarlo dal vivo la prima, la seconda volta si cambia però idea, si capisce che c’è molto di più; perché ci vuole coraggio, per un artista, a rimettersi in gioco come un debuttante in una manifestazione nazional-popolare come Sanremo. Uno che nella sua carriera, dagli anni ’70 a oggi, ha avuto soddisfazioni di ogni genere, ha venduto milioni di album, è stato ascoltato da generazioni, ha conosciuto innumerevoli successi.

Era il 1973, quando il trentenne Vecchioni tentava per la prima (e finora unica) volta l’avventura all'Ariston. Cantava: “chi guarda dalla strada non ci crederebbe mai, io vado a letto adesso, tu sei in piedi dalle sei…” Non era andata come avrebbe immaginato, in quell’occasione, e da allora aveva preso altre strade, a Sanremo ci era tornato solo per partecipare al Premio Tenco. Tutt’altra cosa. Nel frattempo ne ha scritte e cantate centinaia, di canzoni: dai tempi de “L’uomo che si gioca il cielo a dadi” sono passati stagioni, storie, dolori, momenti alti e momenti bui, anche nella vita privata; cambiate la voce, le parole, le immagini, cambiato anche il modo di sognare, di ribellarsi, di combattere, di fare politica. Come è giusto che sia, vivere è cambiare. A differenza di molti colleghi con i quali ha condiviso amicizia ed esperienze artistiche - vedi Guccini - Vecchioni non si è mai ancorato a quello che era venti, trent’anni fa, ha sempre sentito il desiderio di sperimentare. Di confrontarsi con se stesso e con la musica. Ha riarrangiato i suoi pezzi su ritmi classici e blues, recentemente ha fatto un tour accompagnato da un quartetto d’archi, ha misurato le sue capacità vocali su arie liriche.

Ha scritto favole e romanzi, insegnato poesia e musica ai ragazzi nelle università italiane, ha cantato nei piccoli teatri come nelle piazze affollate, ha intonato “Luci a San Siro” ai festival letterari e “Samarcanda”, in jeans e maglietta, alle feste del Pd. Nel tempo trascorso si è trasformato tutto, tranne il suo spirito e l’amore per la vita. Come potrebbe non essere tutta per lui, la platea dell’Ariston? Come non sperare che il meccanismo predefinito si inceppi e sia Vecchioni a vincere il Festival 2011? Sabato lo scopriremo, “ma comunque vada… guardami dentro gli occhi…”




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