giovedì 18 marzo 2021 - Phastidio

Vaccini, la crisi di nervi e l’euro-capro espiatorio

Una pandemia corrosiva per la psiche di popolazioni sempre meno coese colpisce ancora. E l'Europa resta il capro espiatorio d'elezione

La sospensione delle vaccinazioni con AstraZeneca, in attesa di un pronunciamento dell’agenzia europea del farmaco, sta suscitando il tradizionale campionario di riflessi condizionati ad ampio spettro. Nella stanchezza generale delle popolazioni europee per confinamenti e blocchi delle attività economiche, è più che comprensibile che le reazioni siano su note alte. Ogni governo ha i propri problemi, e non potrebbe essere diversamente, in una situazione di tale eccezionale gravità. Tutto ciò premesso, serve anche il solito modicum di razionalità, per contrastare le coazioni a ripetere.

Sappiamo quello che è accaduto: da giorni, in alcuni paesi europei, sono state decise misure precauzionali dopo segnalazioni di morti ed eventi avversi dopo le inoculazioni con AstraZeneca. Anche in Italia si è inizialmente seguita la strada degli interventi cautelari circoscritti, ad esempio bloccando un singolo lotto di vaccino AstraZeneca.

Si muove la Germania

Ma l’evento che ha precipitato una vera e propria crisi di euro-nervi è stata la decisione tedesca di bloccare la somministrazione, dopo segnalazione dell’agenzia nazionale per le vaccinazioni di una frequenza “elevata” di una rara forma di trombosi cerebrale. E i numeri paiono realmente anomali, rispetto alla normale frequenza di tali eventi.

Come spesso accaduto, e come continuerà ad accadere, ogni azione pesante tedesca induce comportamenti imitativi da parte di altri paesi. Nel caso specifico, di Italia, Francia e Spagna, che hanno sospeso le vaccinazioni con AstraZeneca, in attesa che l’agenzia europea del farmaco si pronunci. È importante osservare che quest’ultima stava già effettuando raccolta e analisi di dati, nell’ambito dell’attività di farmacovigilanza che si affianca a quelle nazionali, e che da esse peraltro viene alimentata in termini di dati.

L’azione tedesca, e i comportamenti imitativi di altri paesi, hanno causato una serie di pesanti cortocircuiti. Da noi, ad esempio, si è crocefissa l’AIFA, la nostra agenzia del farmaco, che in questa vicenda appare essersi piegata alla volontà politica. Ovvio che è andata così ma è difficile pensare ad una indipendenza assoluta della “scienza” dalla “politica”.

Scienza e politica

Chi pensa il contrario è un idealista anche piuttosto naïf. Ovviamente, questa è una constatazione e non un giudizio di valore. Non solo: esiste anche una scienza “à la carte” per la politica, per la sua stessa natura e metodo, di produzione di ipotesi falsificabili. Se non vi è chiaro cosa intendo, pensate alle tribù schierate a coorte dietro ai propri virologi di riferimento.

La stessa fascinazione (genuina o strumentale) per Sputnik nasce, dopo tutto, da uno studio di Lancet. Sin quando non arriverà altro studio, col crisma della peer review, che affermerà il contrario e troverà la sua brava camera a eco nella politica e nei social. Quando sei avvolto nel mistero e non hai ancora prodotto notizie di morti ed eventi avversi, sei il candidato ideale, a tutto. La scienza è stata “democratizzata”, alla fine. Cioè resa utilizzabile dalle fazioni, come ipse dixit.

Europa, Madame Malaussène

Poi abbiamo avuto e abbiamo i soliti riflessi pavloviani. Del tipo “è colpa dell’Europa”. Con argomentazioni disassate sul piano logico, quale “la Ue ha ordinato i vaccini, ora non può lasciar fare le singole nazioni sulla farmacovigilanza”. Scordando che le due cose non hanno alcun legame. Ribadiamolo: non esiste, al momento, alcuna struttura comunitaria che abbia prevalenza e primato sulla politica vaccinale nello specifico né su quella sanitaria in generale. Provare a ricordarselo servirebbe a evitare reazioni prive di senso.

Tutto ciò è un bene, è un male? È un bene per i soliti demagoghi, meritevoli solo di disprezzo e forse neppure di quello, per non sprecare energie nervose. Un bene nel senso che consente di intonare la canzoncina “è colpa dell’Europa”, e volgersi verso altri e più affascinanti lidi.

I partiti filorusso e filocinese sono da sempre molto attivi, non solo da noi. Il primo, in particolare, sta da tempo battendo la grancassa del mirabolante vaccino Sputnik V, cioè di un vaccino -ricordiamolo- a base di due differenti adenovirus, nelle inoculazioni previste, di cui non c’è capacità produttiva né in Russia né altrove, malgrado gli ossessivi tentativi di usarlo come proiezione di soft power globale, col supporto di volenterosi propagandisti politici locali.

Anche in queste ore, questi ultimi stanno impazzando con la televendita, dimenticando che i tempi tecnici semplicemente non esistono, neppure iniziando oggi. E se non si inizia oggi non è di certo per colpa della “burocrazia europea” (provate con quella russa, magari: vi si aprirà un mondo).

Europa troppo invasiva o troppo poco?

Tutto ciò non significa che la Ue abbia agito al meglio, e pure questa non pare rivelazione epocale: col senno di poi, c’è sempre qualcosa che è andato storto, e che viene puntigliosamente ricordato da qualche oracolo del giorno dopo, che magari ci scrive sopra un libro. La Ue ad esempio pare essersi comportata in modo troppo “cavalleresco” o distratto riguardo alla produzione di vaccini sul proprio territorio, ignorando i deflussi di produzione. Forse serviva essere più aggressivi.

C’è stato deficit di coordinamento nazionale o la struttura comunitaria è stata troppo lasca? Questo è il solito quesito e dilemma, che riguarda ogni attività dell’Unione. Ma, ancora una volta, è utile ai politici locali come bersaglio: se l’azione europea è troppo centralizzata e dotata di denti, allora “prevarica le nazioni ed è un mostro liberticida”; se è troppo allentata, per lasciare spazio a iniziative e interessi nazionali, è inefficiente. Non potete avere la torta e mangiarvela, signori. La Ue è e resta un faticoso ma ineliminabile gioco cooperativo. Anche e soprattutto nel procurement vaccinale.

Purtroppo, il cherry picking è il motore primo della dialettica politica. Prendere esempi in apparenza positivi ed elevarli a sistema, e occultarne sconfitte e disastri. Quello che accade al Regno Unito, che sta viaggiando verso una pesantissima resa dei conti con la realtà sulla Brexit ma è stato abile e/o fortunato con la campagna vaccinale, dopo aver sbagliato tutto ciò che era possibile sbagliare, nella prima ondata, e dopo aver speso decine di miliardi per un sistema di tracciamento che appare essere stato ininfluente sul contenimento della pandemia.

Pandemia psichica

Ciò detto, altre domande di peso variabile: il governo italiano e il suo premier devono parlare di più? Probabilmente sì, almeno in relazione a eventi che oggettivamente lasciano scossa l’opinione pubblica. La ripresa delle inoculazioni con AstraZeneca lascerà comunque un segno profondo di diffidenza nella popolazione, ostacolando e danneggiando la campagna vaccinale? Non è detto, anche se il colpo è forte.

Riuscirà l’Europa a diventare meno dipendente dalla Germania, sotto molti aspetti? No, e per motivi che dovrebbero essere evidenti a chiunque. E comunque, ricordiamo che sarà l’impulso tedesco, con nuove strutture produttive (ad esempio, quella di Marburg per Pfizer-BioNTech) e nuove produzioni (CureVac) a dare la spallata decisiva agli ostacoli alla campagna vaccinale, non i vaccini russo, cinese o cubano. E saranno vaccini a mRNA, cioè una possibile e probabile svolta per l’umanità, non solo nelle pandemie.

Sul piano della psicologia di massa, poche cose come una pandemia sono efficaci a corrodere l’orientamento dell’opinione pubblica e alimentare sindromi paranoidi di ogni tipo, aprendo praterie ai demagoghi. Questa è la certezza, non di oggi, con cui i governi devono misurarsi. E non è per nulla semplice “mandare in guerra” l’elettorato, rispetto al passato o a quanto accade in paesi meno aperti, primo fra tutti la Russia (vedasi dati della loro campagna vaccinale).

Troppa diffidenza, troppo poca coesione sociale e identitaria, erosa da dinamiche profonde, incluse interferenze esterne. Sarà sempre più difficile, stare al mondo. Ma questo si era capito da tempo.




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