domenica 18 giugno 2023 - Giovanni Greto

VITTORE CARPACCIO Dipinti e disegni al Palazzo Ducale di Venezia

E’ ancora visitabile fino a domenica 18 giugno la mostra del Maestro veneziano

 

E’ davvero tutta da vedere e da gustare, scoprendo piano piano nuovi significati, la seconda grande mostra monografica su Vittore Carpaccio (Venezia, 1460/66 ca. - 1525/26 ca.), dopo quella che la medesima sede aveva ospitato dal 15 giugno al 6 ottobre 1963, a cura di Pietro Zampetti (1913 – 2011), inclito storico dell’arte, che fu anche Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia.

La grande retrospettiva, allestita nell’appartamento del Doge, si è potuta concretizzare grazie alla collaborazione tra MUVE (Fondazione Musei Civici di Venezia) e la National Gallery of Art di Washington dove, con il titolo Vittore Carpaccio: Master Storyteller of Renaissance Venice, la mostra aveva avuto luogo dal 20 novembre 2022 al 12 febbraio 2023, prima grande retrospettiva mai dedicata fuori dall’Italia al geniale artista veneziano, riscuotendo un successo di pubblico e un ampio seguito mediatico. In realtà, non ci fosse stata la pandemia, l’esposizione sarebbe stata in programma dapprima al Ducale, nell’ottobre del 2020.

La curatela del progetto, nato dalla necessità di un’aggiornata rilettura storico-critica della sua pittura e fondato su una selezione mirata delle migliori opere dell’artista, è stata affidata a Peter Humfrey, riconosciuto specialista del pittore e del suo contesto, con Andrea Bellieni, curatore dei Musei Civici di Venezia e Gretchen Hirschaurer, curatrice della pittura italiana e spagnola alla National Gallery of Art di Washington.

Lungo le 12 sale in cui si snoda il percorso espositivo sono riunite soprattutto opere provenienti da musei e collezioni internazionali, oppure da chiese degli antichi territori della Serenissima, dalla Lombardia, all’Istria, alla Dalmazia : opere che illustrano compiutamente la varietà e l’altezza della pittura di Carpaccio, seguendone anche l’evoluzione. Fino al capitolo conclusivo della sua carriera, quando l’arte del maturo Maestro, pur rimanendo colta e suggestiva, pare non tenere il passo delle novità tematiche e tecniche introdotte da Giorgione e Tiziano.

Una delle opere più famose, non solo di Carpaccio, ma di tutta la pittura veneziana del primo Rinascimento, è Giovane cavaliere (1510) del Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid : presenta un’immagine fortemente romantica e sognante di un giovane cavaliere in una scintillante armatura, in piedi, in un paesaggio ricco di fiori, animali e uccelli, nell’atto di rinfoderare (o sguainare) la spada; mentre una delle più poetiche e commoventi è Meditazione sulla passione di Cristo (1494-1496 circa) del Metropolitan Museum of Art di New York : Carpaccio presenta all’osservatore una meditazione sulla Passione, morte e Resurrezione di Cristo, caratterizzata da un’eccezionale raffinatezza di esecuzione.

In totale si possono ammirare 70 opere, di cui 42 dipinti e 28 disegni, sei dei quali sono recto/verso, per cui nel complesso le opere salgono a 76.

La pittura di Carpaccio celebra fantasticamente Venezia al volgere del XV° secolo, quando la Serenissima dominava un vasto impero marittimo – commerciale e fioriva come un grande centro di cultura. Alla maniera di un regista – scenografo poetico e fantastico, Carpaccio trasporta le storie sacre dei cicli narrativi realizzate nella vita vera per varie confraternite, all’interno di fantastici scenari, arricchiti di infiniti dettagli e riferimenti contemporanei all’ambiente e alla società della sua città, restituendoci l’essenza stessa della venezianità, ossia lo spettacolo sfarzoso e la mitologia della Repubblica Serenissima, al suo apogeo economico e culturale.

Victor Carpathius, come amava firmare le sue opere, era anche un disegnatore superlativo. Dal notevole corpus dei suoi disegni, in mostra sono presenti numerosi studi su carta, spesso straordinari di per sé, che spaziano da rapidi schizzi compositivi d’insieme ad accurati studi preparatori di teste e pose. Egli formò e alimentò la sua arte nella tradizione pittorica veneziana dei Bellini, dei Vivarini, nonché di altre influenti personalità e tendenze, come la lezione dei toscani, dei ferraresi, di Antonello da Messina, dei tedeschi (Durer) e dei primitivi fiamminghi. Ne derivò una personalità originale e autonoma, attratta dai particolari di flora, fauna e paesaggio, di architettura, arredo e decorazione, di abbigliamento ed esotismo. Fu di fatto l’inventore della pittura europea cosiddetta di genere e soprattutto un insuperato raccontatore di storie. Infatti fu sempre celebrato principalmente per i suoi cicli, serie coordinate di tele (teleri), che tramandano articolati racconti sacri, quasi cinematografici, perfettamente sceneggiati nella loro eloquente narrazione visiva popolare.

Per la troppa grandezza e fragilità, le opere basilari non erano trasportabili in mostra. Si è potuto soltanto tentare la temporanea ricomposizione del ciclo smembrato delle Storie della Vergine, realizzato tra il 1502 e il 1508 circa, della Scuola degli Albanesi.

Le Scuole erano confraternite devozionali laicali, dove soprattutto la classe borghese, mercantile e imprenditoriale, affiancandosi a quella patrizia, trovava riconoscimento di prestigio sociale e di immagine.

La comunità degli immigrati dall’Albania, una terra, nel XV° secolo, pesantemenete minacciata, invasa dai turchi ottomani e storicamente legata alla Serenissima, fu fondata nel 1442 presso il monastero di San Gallo. Si trasferì in seguito accanto alla chiesa di San Maurizio, dove intorno al 1500 eresse la propria piccola sede, tuttora esistente, con una facciata marmorea del 1532 circa. Subito dal 1502 fu presa l’iniziativa per un ciclo pittorico dedicato alla Vergine, principale e identitario culto devozionale albanese.

In tutte le sei tele la luce proviene da sinistra, il che suggerisce come in origine esse fossero allineate sulla medesima parete della sala superiore della Scuola, dove rimasero fino alla requisizione napoleonica del 1806, quando il ciclo fu smembrato fra gallerie pubbliche di Venezia, Milano e Bergamo.

Rimane grande il rammarico, per non poter ammirare il ciclo di Sant’Orsola – aperto al pubblico l’8 giugno 2019 dopo la conclusione del restauro -, conservato nelle Gallerie dell’Accademia, poiché le sale che lo ospitano sono al momento chiuse per restauro e interventi sull’impiantistica.

Si tratta del primo grande ciclo narrativo di Carpaccio, destinato alle pareti della sala di riunione della Scuola di S.Orsola, nella sede eretta nel secolo XIV°, accanto alle absidi della chiesa domenicana dei SS. Giovanni e Paolo.

I nove grandi teleri, rispetto alle disponibilità economiche della confraternita, furono realizzati gradualmente tra il 1490 e il 1498 circa, senza seguire l’ordine narrativo della vicenda tragico-romantica, popolarissima nella versione scritta da Jacopo Da Varazze nella sua Leggenda Aurea.

La principessa bretone cristiana del V° secolo, Orsola, promessa sposa del principe pagano d’Inghilterra, trova il martirio assieme a 11 mila vergini compagne e al Papa, nel vano tentativo di convertire gli Unni occupanti la città di Colonia. Rimasti nella Scuola fino alla sua soppressione napoleonica, i dipinti nel 1812 furono trasferiti nelle Nuove Gallerie dell’Accademia, nell’ex monastero della Carità.

Ad ogni modo, al Ducale sono esposti alcuni significativi disegni preparatori di studio per le tele del ciclo.

Non in mostra, tuttavia visibile nella sua sede d’origine, è il ciclo narrativo della Scuola Dalmata dei santi Giorgio e Trifone (o degli Schiavoni, “Slavi”), fondata il 24 marzo 1451 da un gruppo di circa 200 Dalmati che risiedeva in città. A Carpaccio vengono commissionati nove teleri che narrassero alcuni momenti della vita di Gesù e di Girolamo, Giorgio e Trifone, i tre santi nazionali dalmati. Furono presumibilmente dipinti fra il 1502 e il 1509 e costituiscono l’unico dei cicli carpacceschi ad essere conservato nella sede per la quale fu realizzato (benchè pare non più nella esatta situazione d’origine), coi dipinti destinati a far fregio continuo nella parte alta delle pareti della non grande sala di riunione al piano terreno.

Ma la vera sorpresa della mostra è l’occasione davvero unica per ammirare le due parti, finalmente riunite, di una scena già compiuta ed unitaria. Le Due Dame del Museo Correr si ricongiungono con la Caccia in laguna, del Getty Museum di Los Angeles.

L’unitaria tavola dipinta fu segata orizzontalmente e divisa in due parti verso la fine del Settecento, a Venezia: le Due dame acquisite da Teodoro Correr; la Caccia in laguna, già presso i fratelli Francesco e Bonomo Algarotti, fu poi a Roma nella collezione del Cardinal Fesch, zio di Napoleone.

La scena unitaria era in origine raffigurata su quella che doveva essere ‘solo’ un’anta di porta a soffietto, posta tra due ambienti, a chiusura di un immaginabile raffinato, privatissimo studiolo. Porta formata da due ante uguali, reciprocamente legate da cerniere (visibili le tracce), è superstite e qui ricomposta la metà destra, mentre è ignoto il destino della mancante anta sinistra, dove la ‘messa in scena’ doveva logicamente completarsi. Anche il retro, con la giocosa rappresentazione a trompe l’oeil di lettere appese ad un nastro, era dunque visibile a porta chiusa dal secondo ambiente.

Nella sala 12, che chiude il percorso espositivo, una postazione multimediale offre ai visitatori un’esperienza in 3D totalmente immersiva del dipinto Caccia in laguna. Il percorso interattivo condurrà alla scoperta di un’opera, che forse per la prima volta in assoluto, testimonia un antico ambiente lagunare, come quello dell’epoca (fine 1400) e un’attività di caccia tradizionale, eseguita con l’arco da ballotte (palline di terracotta).

L’attività consentirà di soffermarsi su aspetti inediti o poco noti dell’opera, che dall’ambito prettamente artistico si addentrano fino a quello naturalistico ed etnografico :

quali uccelli sono raffigurati?

Come avveniva la caccia con l’arco e a quale specie era rivolta?

Quali erano le imbarcazioni utilizzate?

Queste e altre domande sono oggetto di approfondimenti attraverso un moderno e spettacolare strumento digitale.

Da ricordare, infine il catalogo, edito da Marsilio Arte.

Riccamente illustrato, presenta un’accurata scelta di dipinti e disegni con fotografie eccezionali, scattate dopo i restauri compiuti in gran parte di tele e tavole, che consentono una lettura inedita del lavoro di Carpaccio. Esperti e studiosi internazionali, nei loro saggi, approfondiscono ciascuno fasi della produzione, tecniche pittoriche e interpretazioni critiche dell’opera dell’artista.

 




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