mercoledì 16 dicembre 2015 - Entità astratta

Usa, odio sullo scuolabus: "Ti sparo perché sei figlio dell’Isis"

George ha 11 anni, frequenta la sesta classe, e come ogni bambino della sua età va scuola, fa i compiti a casa e gioca. George però ha una particolarità: la sua è una famiglia di origine mediorientale trapiantata a Vandalia, a poco più di un'ora da Columbus, la capitale dello stato dell'Ohio, negli Stati Uniti. Il Paese dove George è nato.

Non tutto però nella vita di George fila liscio. Ogni giorno George (nome di fantasia) torna a casa con lo scuolabus, la compagna di viaggio del suo tragitto è la musica, che spesso ascolta ad alto volume. Per questi motivi George viene spesso deriso dai compagni.

Martedì 8 dicembre George torna a casa sconvolto: «io a scuola non vado più». I suoi genitori lo ascoltano e dopo alcune ore, sostenuti da altre famiglie allarmate dal pericolo, decidono di intervenire.

Quel giorno, durante il viaggio di ritorno, George è stato minacciato più volte da un suo compagno di scuola di qualche anno più grande. Tra gli insulti quello di «esser musulmano» e «figlio dell'Isis». George è stato accusato anche di «esser responsabile del crollo delle torri gemelle». Ma ben più gravi le altre minacce. George è stato anche minacciato di morte. «Domani porto a scuola la calibro 40 di mio padre e finiamo la questione» avrebbe detto. Le minacce del bullo sarebbero state estese anche verso altri studenti.

Ad una settimana di distanza George sta meglio, ha ricevuto una lettera di scuse da parte del suo compagno di classe, mentre il suo aggressore è stato preso sotto custodia nel carcere giovanile di “Montgomery”, è sospeso dalla scuola per 10 giorni e rischia l'espulsione. Su di lui pendono accuse molto pesanti, aggravate da moventi razziali.

Sul “Washington Post” Murab, il padre di George, non ha mostrato disprezzo verso il giovane aggressore: «cosa sanno i bambini di come va il mondo?». Murab però è stato critico con i media e con i genitori, che fomenterebbero l'odio verso i musulmani, incitando a chiamarli con nomi offensivi. «Sono musulmano e non voglio morire per il mio nome» ha aggiunto. «Gli Stati Uniti sono un melting pot dove convivono musulmani, crisitiani, buddisti e non credenti».

Gli Stati Uniti sono il terzo stato più popoloso del mondo dopo Cina e India, con 322 milioni di residenti, divisi tra più di 80 credi religiosi. Secondo un report abbastanza datato la religione più professata è quella cattolica, mentre quella islamica è solo alla tredicesima posizione. Ma negli Stati Uniti la popolazione musulmana è in rapida espansione e nei prossimi 15 anni potrebbe crescere quasi di 4 milioni di individui. Per il “Time”, uno dei più antichi settimanali statunintensi, la crescita annuale della popolazione musulmana in America è due volte superiore ai numeri dell'attuale popolazione della Francia.

In questo periodo i musulmani d'America stanno vivendo uno dei periodi più difficili dagli attentati terroristici dell'11 settembre del 2001 ad oggi. L'odio verso la comunità musulmana è cresciuto ulteriormente dopo gli attentati di Parigi, avvenuti in varie zone nevraligiche della vita mondana della città nella notte del 13 novembre scorso. Le dichiarazioni contro la comunità musulmana di Trump hanno fatto il giro del mondo e hanno suscitato sdegno e preoccupazione. Tra queste: «impedirò ai musulmani di entrare in America» ma anche quelle sulla necessità «chiudere internet in alcune zone del paese, per impedire la radicalizzazione dell'Islam».

Trump è assieme al senatore della Florida Marco Rubio e al suo collega del Texas Ted Cruz uno dei possibili candidati a ricoprire la carica di 45esimo presidente degli Stati Uniti d'America. Tra questi esponenti del Great Old Party (GOP) Trump è di gran lunga il più apprezzato dall'elettorato della destra americana, e secondo alcuni sondaggi le sue recenti dichiarazioni contro l'Islam hanno fatto salire il suo indice di gradimento.

Dietro alla storia del piccolo George c'è un'altra grande anomalia degli Stati Uniti d'Amerca: la relativa facilità con cui si può comprare un'arma da fuoco. Alla “Morton Middle School” di Vandalia, fortunatamente, si può parlare di pericolo scampato, e non di una nuova strage. A differenza di quanto accadde il 14 dicembre del 2012, quando Adam Lanza, un ventenne di Newton, in Cennecticut, aprì il fuoco alla “Sandy Hook School” uccidendo 26 persone, tra cui 20 bambini.

Alcuni dati diffusi dalle agenzie federali americane (Cdc Wonder) hanno evidenziato come nel 59 percento dei casi la morte dei giovani americani è stata causata da armi da fuoco. Nello stesso periodo, dal 1999 al 2014, il 22 percento si è sucidato mentre solo il 16 percento è morto per cause involontarie.

Lo scorso luglio Barack Obama, l'attuale presidente degli Stati Uniti, ha giudicato il non aver potuto varare una valida legge che regoli la vendita delle armi da fuoco negli Stati Uniti come uno dei più grandi fallimenti della sua presidenza. Quello delle armi è un tema altamente divisivo per la politica americana: a difenderne l'attuale normativa sono soprattutto i repubblicani, mentre in generale i democratici lo sono meno. Contro la libertà di armarsi si è schierato il “New York Times”, che è tra i più autorevoli quotidiani del mondo.

Recentemente il “New York Times” ha dedicato per la prima volta in 95 anni un editoriale contro l'eccessiva libertà di armarsi degli americani. «Nessun diritto è illimitato, immune da un livello ragionevole di regolamentazione» si legge. «E’ moralmente oltraggioso e una disgrazia nazionale che la gente di questo Paese possa acquistare legalmente armi progettate per uccidere con brutale velocità ed efficienza» prosegue.

I numeri danno ragione al quotidiano americano. Come ha ricordato lo stesso Obama alla “Bbc” dopo l'11 settembre le vittime del terrorismo domestico sono state molte di più di 100 mila, mentre quelle del terrorismo religioso sono state meno di cento.




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