venerdì 6 luglio 2018 - enzo sanna

Uno Bianca, scarcerazione Occhipinti. Alla ricerca di prove provate di razzismo

Ogni persona di buon senso si sarà chiesta, nell’arco della propria esistenza, oggi ancor più, dove si collochi la forse flebile linea di demarcazione tra razzismo e non razzismo. Attenzione, si vuole evitare qui la definizione di anti-razzismo che indica una contrapposizione ideologica al razzismo, non una convinzione filosofica ed esistenziale, tanto che oggi molti anti-razzisti si sono ritrovati a saltare la sponda (la linea di demarcazione anzidetta) approdando, e approvando senza neppure porsi l’obiettivo di ragionarci sopra, le cialtronerie imperanti in materia.

Il lettore si starà già chiedendo dove vuol andare a parare l’estensore dell’articolo, oltre a voler cogliere qualche occasione per dare addosso ai nuovi governanti Superman, anzi ai nuovi Capitan Italia, emuli poverelli e comici del Capitan America Trump.

Arriviamo, dunque, alla genesi del “pezzo”. Ricordate la vicenda della “Uno bianca”? No? Ecco a voi una stringata sintesi: la “Banda della Uno Bianca” imperversò nel bolognese tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90 dello scorso secolo rapinando in ogni dove e mietendo vittime sia tra civili che tra le forze dell’ordine. Chi erano costoro? Una banda composta da poliziotti! Sì, da poliziotti con le stellette. Se ne faccia una ragione chi di dovere.

Ebbene, uno di loro, Marino Occhipinti, condannato all’ergastolo, viene ora rimesso in libertà dal Giudice in quanto “sinceramente pentito”. Evvai! I familiari delle vittime protestano, ma a parte qualche notizia relegata nelle cronache locali, non vi è traccia di disappunto, di fastidio, di ripugnanza, di avversione a cui abbiamo spesso assistito quando altri Giudici, forse anche loro un po’ troppo larghi di polsino, hanno rimesso in libertà qualche extra-italiano (iniziamo a definirli correttamente), o peggio, qualche italiano solo di pelle più scura.

Dove è finita la “certezza della pena” tanto cara ai destrorsi di ogni parrocchia? Il concetto vale solo in base al colore della pelle o, peggio, alla professione pregressa? Cioè, se uno è nero o mulatto deve scontare la pena sino in fondo, mentre se è un ex poliziotto italiano che ha macellato poveri innocenti, per lui si può derogare?

Ecco trovata, infine, la demarcazione tra razzismo e non-razzismo, tra ipocrisia e giustizia, tra cialtroneria e buon senso. Chissà se l’inutile Ministro della Giustizia, tale Bonafede, (lasciamo ad altri di elucubrare o ironizzare sul suo cognome, della serie “inversa” Nome-Omen) sentirà il dovere di regolamentare la materia in modo che la responsabilità della decisione di ridare la libertà a un assassino non ricada su un solo giudice posto alla gogna quando tratta il caso di un extra-italiano e l’altro che, invece, se la cava alla buona perché mette in libertà un pluri-assassino indigeno.

Salvini, definibile senza paura di smentita il furbetto del governucolo lego-grillino, tace sul caso. Il ministrucolo grillino della giustizia fa altrettanto, mentre il “Mondo Perduto” della sinistra continua a tacere nonostante le macroscopiche occasioni che le si presentano di fronte per far comprendere che una sinistra esiste e una “alternativa” alla cialtroneria è lì, pronta a manifestarsi. Tra gli otto e i dieci milioni di elettori sono in attesa. Nel frattempo, godiamoci la mediatica diatriba messa in atto dagli omuncoli del potere sul caso delle vittoriose atlete italiane di colore contrapposte alle altrettanto vittoriose atlete italiane di pelle bianca, come se il pigmento dell’epidermide debba costituire un fattore discriminante.




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