mercoledì 10 marzo 2021 - UAAR - A ragion veduta

Una laicità “minimalista” non può durare a lungo

È un dato di fatto che non esiste un’idea di laicità condivisa da tutti. Al punto che tanti cercano di stravolgerne il senso attaccandoci un aggettivo: il «sano» Ratzinger, per esempio. I risultati non sono sinora stati eclatanti. Negli ultimi tempi, però, un’interpretazione innovativa della laicità si sta velocemente diffondendo. Persino nel paese che, la parola ‘laicità’, l’ha addirittura inventata.

È quanto emerge da un sondaggio commissionato dalla Lega internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo e dalla rivista Droit de Vivre, e realizzato dall’Ifop. L’inchiesta è stata ideata per comprendere come la pensano i liceali francesi in merito a laicità, religione e libertà di espressione. I risultati fanno presagire un futuro diverso da quello che conosciamo. E non soltanto per la Francia.

Per cominciare, il dato sull’appartenenza religiosa mostra una volta di più che la secolarizzazione non si sta certo arrestando, anzi: il 46% del campione si dichiara senza religione, soltanto il 32% cattolico, il 14% musulmano. Tuttavia – lo sappiamo benissimo – la secolarizzazione non avanza di pari passo con la laicità. Sulla base di questo sondaggio, possiamo ora non solo sostenere che la velocità della prima è sempre più marcata della seconda, ma anche che la mentalità secolarizzata si sta sempre più allontanando da quella laica.

Il primo dato che colpisce è che i liceali si dichiarano favorevoli al velo a scuola in proporzione più che doppia rispetto agli adulti (52% contro 25%). È una posizione in netta ascesa e rappresenta dunque la spia di un cambiamento significativo, pur se riguarda un tema controverso all’interno dello stesso mondo laico. Che non sia un atteggiamento isolato è confermato dal fatto che il 49% dei liceali è favorevole a estendere la facoltà di indossare il velo anche a insegnanti e poliziotte.

Ed è un atteggiamento che traspare anche dalla domanda su quale sarebbe l’interpretazione principale del principio di laicità. L’11% pensa che rappresenti il tentativo di far regredire l’influenza delle religioni nella società: è un insieme in cui prevalgono i cattolici, presumibilmente estremisti, ed è una risposta in forte declino, visto che tra gli adulti è del 26%. Tuttavia, solo il 27% pensa che la laicità consista nel separatismo, e una percentuale analoga pensa che serva ad assicurare la libertà di coscienza. A “vincere”, col 29% (quando invece rappresenta il 19% dell’intera popolazione francese), è la convinzione che la laicità debba in prima battuta assicurare l’eguale trattamento di tutte le religioni. Andrebbe parzialmente bene anche questa risposta, se solo comprendesse la non credenza. Che invece è un po’ l’illustre assente dell’inchiesta.

La tendenza risalta ancora più accentuata nelle risposte sulla libertà di espressione. Per fortuna, ‘solo’ il 17% pensa che Samuel Paty, l’insegnante ucciso da un terrorista islamico, abbia avuto torto a discutere in classe le vignette del Charlie Hebdo: senza sorprese, la percentuale sale al 48% tra gli studenti musulmani, ma è comunque al 10% anche tra quelli senza religione. Dolente nota, il diritto di caricaturizzare i personaggi religiosi è ormai sostenuto da una minoranza (benché del 49%), con un’opposizione del 27% (61% tra i musulmani, 15% tra gli atei convinti). Ancor peggio, la maggioranza assoluta (52%) si dice contraria alla libertà di mostrarsi irrispettosi nei confronti di una religione e dei suoi dogmi (47% tra i senza religione).

 

Siamo in presenza di una trasformazione rilevante. I liceali francesi sono molto meno religiosi dei loro genitori e nonni, ma a quanto sembra sono anche più ‘religionisti’. Forse perché ogni critica alla religione, anche quando è motivata, trova qualcuno che la bolla come antireligiosa. Gli autori della ricerca hanno definito «laicità minimalista» quella che scaturisce dal sondaggio, ed è una definizione calzante: una laicità «quanto basta» per cercare di assicurarsi un quieto vivere. Si tratta però di un auspicio condiviso e di un approccio praticato per tanta parte della storia dell’umanità, con esiti quasi sempre mediocri. Perché questo nuovo approccio dovrebbe darne di migliori?

In società sempre più caratterizzate da un consistente appeal del nazionalismo religioso, tra chi si colloca dalla parte opposta si fa strada, sostengono i ricercatori, una sorta di «americanizzazione» delle mentalità, figlia di un’applicazione estensiva di un’impostazione politicamente corretta: i musulmani sono presi di mira dagli estremisti di destra, ergo difendiamoli (anche quando sbagliano). Ma negli States, dove l’islam è molto meno diffuso, si guardano bene dal definire ‘laica’ tale impostazione, che è invece un’esaltazione della libertà religiosa. Biden non cita certo Voltaire, ma la Bibbia e sant’Agostino. Quanti liceali sanno che era un liberticida? Quanti riceveranno mai qualche informazione sulle sue gesta?

Il tentativo di mostrarsi rispettosi fa presa anche da noi. Lo notiamo dai tanti inviti che ci sentiamo rivolgere: «ma non mi dire che ti fa paura il crocifisso in classe»; «che bisogno hai di offendere una religione?»; «davvero ti sbattezzi? Son solo due gocce d’acqua! Gli dai troppa importanza»; «ma dai, prendertela con un presepe… è così pittoresco!»; «ma che male ti fanno le religioni, da spingerti a impegnarti in un’associazione di atei?»; «le campane hanno un suono meraviglioso: come fai a non capirlo? Non ti facevo così arido». Notare bene: sono inviti che ci vengono rivolti indifferentemente da destra e da sinistra, perché possono essere formulati sia da antilaici cristianisti, sia da sedicenti laici liberal.

La laicità minimalista minimalizza inevitabilmente anche ogni rivendicazione, e quindi anche i diritti a cui aspiriamo. Il massimo che può conseguire è la conservazione dello status quo. Ma per un obbiettivo del genere non c’è alcun bisogno di associazioni laiche “generaliste” – che infatti non esistono pressoché da nessuna parte. Ci si accontenta di quanto conquistato (da altri): come ha giustamente commentato l’ex ministra socialista alle famiglie, la socialista Laurence Rossignol, «andrebbe forse spiegato cosa non avremmo, nel paese della “figlia primogenita della chiesa”, senza la lotta laica: niente preservativi, niente pillola del giorno dopo, niente diritto all’aborto, niente matrimonio per tutti, niente riproduzione assistita per tutti».

Ci tocca infatti ricordare all’opinione pubblica non soltanto avvenimenti semi-dimenticati di 150 anni fa, come la breccia di porta Pia (celebrata dall’Uaar in quasi perfetta solitudine), ma persino conquiste recenti. Gli stessi diritti acquisiti (da altri) non vanno poi mai considerati definitivamente acquisiti, come stanno sperimentando sul proprio corpo le donne polacche. Come se non bastasse, la rivendicazione della (propria) libertà religiosa è diventato ormai un leitmotiv per discriminare chi non la pensa allo stesso modo, dimostrando come anche le affermazioni cristianiste possono essere presentate in forme sapientemente minimaliste. Lo notiamo in questi stessi giorni mentre rivendichiamo una legge contro l’omofobia o il diritto all’aborto farmacologico: «ma come, non avete niente di meglio da fare, con tutti i problemi che abbiamo?»; «ma come, volete mettere fuori legge affermazioni contenuti nei testi sacri? Ce l’avete con la religione, siete i soliti intolleranti».

Purtroppo, la laicità minimalista può sopravvivere soltanto finché sussiste un’autorità minimalista. I Pillon, i Tuiach, gli Adinolfi saranno senz’altro personaggi folkloristici, ma sono anche gli apripista delle Meloni e dei Salvini. Come ci insegnano i governi ungheresi e polacchi (loro alleati), quando conquistano il potere non sono soliti fare prigionieri. Ed è facile rendersene conto quando ormai è troppo tardi: lottare in modo minimalista contro di essi equivale ad affrontare i carri armati nazisti con la cavalleria.

Certo: muori da eroe, e con la soddisfazione di avere la coscienza a posto.

Ma muori.

Raffaele Carcano

 




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