mercoledì 29 luglio 2020 - Camillo Pignata

Un sistema di PPSS europeo per uscire dalla crisi

Toglietevi dalla testa che i soldi del recovery fund, si possono spendere meglio in una dimensione nazionale e privatistica. Nessuna riforma ci fa stare meglio, se prescinde dal contesto europeo in cui si colloca e dalla necessità di imprese ed investimenti pubblici. La realizzazione dell’Europa politica, della politica industriale fiscale finanziaria ed estera europea richiede una strumentazione adatta allo scopo.

 

 La cassa integrazione, il reddito di cittadinanza, i bonus sono misure positive, ma strumenti dell’emergenza. Per uscire dalla crisi servono politiche industriali, finanziarie infrastrutturali , la modifica dei trattati, ma anche un sistema di imprese pubbliche europee per realizzarle. 

Il coronavirus e il disastro economico che ne é conseguito, non sono accidenti scesi dal cielo, figli del caso e della fatalità, ma di questo modello di sviluppo economico, che per il profitto e i voti, calpesta i diritti fondamentali della persone e le istituzioni preposte al loro soddisfacimento, che finanzia poco il sistema sanitario pubblico e molto quello privato, trascura la scuola, la ricerca, la sicurezza dei lavoratori, l’equilibrio della natura che ci rende più esposti all'aggressione dei virus. 

Ma è anche figlio di un sistema decisionale UE troppo sovranista, incentrato su di una governance, che emargina gli organismi decisionali transnazionali (Parlamento, commissione BCE), ed affida le redini del comando ad un’accozzaglia di stati in lotta tra di loro. 

 Può questo modello economico liberista, che ha generato il virus ed il disastro, debellarli definitivamente? Può questo sistema decisionale, ad impronta nazionalista, dare una risposta efficiente ed equilibrata ad una questione globale che richiede cooperazione e solidarietà. Evidentemente no.

 In Europa il sistema decisionale e le istituzioni non sono il luogo del conflitto di idee, ma dello scontro di interessi tra gli stati. La loro linea politica non ha al centro l'uomo ed i suoi diritti, ma il capitale ed i suoi privilegi. Con questo sistema ed in questo sistema, si possono trovare soluzioni contingenti, mai definitive, perché è un sistema che divide anche in caso di emergenza sanitaria. Nessuna meraviglia dunque se sulla proposta dei governi europei sul recovdry funds si è determinato uno scontro tra governanti nazionali e Parlamento europeo.

Per sconfiggere l'epidemia e i disastri economici finanziari conseguenti, occorre un sistema alternativo a quello che ha generato l’epidemia, occorre la cooperazione e la solidarietà di tutti i paesi interessati. Diversamente il castello di carta di questa ’Europa iperliberista, senza valori, solo euro, e sovranità del credito, è destinato a crollare miseramente sotto i colpi delle sue contraddizioni.

Per risolvere la crisi sanitaria ed economica provocata dalla pandemia occorre finirla con iniziative per il rilancio dell’economia scollegate da ogni previsioni sui loro effetti sanitari ed economici/ finanziari.

Non si gioca con la vita della gente e il destino economico delle persone senza assumersi le responsabilità degli effetti delle proprie scelte sul picco dei contagi, sull’incremento di malati e del pil. Occorre avviare un’azione coordinata globale, un piano preciso con date e modalità, scadenze in grado di affrontare queste sfide.

Non si può rilanciare l’economia con un'azione improvvisata, perché "la gente non ne può più. Si può e si deve definire un’ordinata ripresa delle attività, che tenga conto dell’andamento dell’epidemia a livello di contagi e guarigioni e del sistema industriale. Ma tutto ciò non puo avvenire a “spizzichi e bocconi”, inseguendo la realtà o il pragmatismo deteriore che conserva “lo status quo“ cristallizza i poteri i privilegi e le disuguaglianza esistenti,ma nel quadro di una programmazione secondo i criteri della sicurezza sanitaria e dello sviluppo economico sostenibile, in coerenza con il processo di globalizzazione in atto, di cui il coronavirus e l'andamento economico mondiale è la più evidente espressione e conferma.

Questa azione non può essere fondata sull'iniziativa economica privata, perché la libertà di azione ad ogni costo, postulata dal liberismo, mal si accorda con il coordinamento i vincoli e la programmazione. Occorre un sistema decisionale, molto diverso da quello attuale. Un sistema fondato sul ruolo preminente dello Stato, che insegue l’interesse della collettività e non l'interesse proprio . 

Non può essere il sistema imprenditoriale privato, che privilegia gli interessi degli affari rispetto al bene pubblico. Occorre costruire una nuova normalità perché quella che viviamo, è il prodotto di questo modello di sviluppo che subordina la salute allo sviluppo economico, i diritti globali al capitale globali.

Non può essere il privato a costruire una nuova austerità in cui il consumo è una necessità e non uno spreco, la moneta di scambio non sono i soldi, ma il tempo della vita che è servito per guadagnarli, un tempo che è la misura della libertà di ciascuno.

Per questo l’azionariato pubblico non si colloca in una dimensione nazionale, non può e non deve trascurare il contesto in cui opera. Un contesto rappresentato dal processo di globalizzazione e dall’attacco della finanza agli Stati per la supremazia, che li pone di fronte al dilemma: dominio dei mercati sugli Stati o dominio degli Stati sui mercati. 

Un processo che ha allargato la dimensione e la natura della concorrenza, che non è solo un fatto economico che coinvolge le imprese, ma geopolitico. Così quella che ieri era competizione tra imprese,oggi è competizione tra sistema Paesi o meglio tra aree geografiche.

 Di qui la necessità di un processo di adeguamento dimensionale ed operativo delle aziende e degli Stati, al contesto globale in cui vivono. 

In un mercato globale possono competere solo imprese, che abbiano una dimensione adeguata a far fronte ad una domanda mondiale e un sistema competitivo adeguato.

E d’altra parte è impensabile che aziende strategiche europee possano essere affidate a soggetti privati e rischiare ciò che sta avvenendo in Italia con la Fiat, che sta abbandonando il nostro paese lasciandolo in brache di tela. Insomma le P.P.S.S. europee nel settore bancario e in quello industriale strategico, sono una necessità per l’Europa, impegnata a risolvere la crisi e in una competizione sistemica. L’austerità non basta, la crescita non basta. Certo sono necessari, quando servono ad evitare gli sprechi e a incrementare il PIL, in aderenza ad un disegno di politica industriale, ma non risolvono la crisi.

La crisi si risolve proteggendo le imprese e la produzione industriale europea, governando i processi di innovazione, consentire alla nostra industria di stare sul mercato.

La crisi si risolve con una strategia di sviluppo previa definizione dei settori da conservare quelli da dismettere,per garantire l’affidabilità la sicurezza dei trasporti,una politica per l’ambiente, per i diritti sociali.

Per questo l’Europa deve abbandonare la sua politica iperliberista, e intervenire nell’economia, per acquisire il controllo di aziende strategiche energetiche, di ricerca ma soprattutto banche e creare un sistema di imprese a partecipazione statale, in linea con il processo di globalizzazione in atto.

 Se l’Europa non controlla le banche e non ridà spessore all’industria, non potrà mai risolvere i suoi problemi.

E d’altra parte e è impensabile che aziende strategiche europee, possano essere affidate a soggetti privati e rischiare ciò che sta avvenendo in Italia con la Fiat, che sta abbandonando il nostro paese lasciandolo in brache di tela. Insomma le P.P.S.S. europee nel settore bancario e in quello industriale strategico, sono una necessità per l’Europa, impegnata a risolvere la crisi e in una competizione sistemica. L’austerità non basta, la crescita non basta. Certo sono necessari quando servono ad evitare gli sprechi e a incrementare il PIL, in aderenza ad un disegno di politica industriale, ma non risolvono la crisi.

 




Lasciare un commento