martedì 5 gennaio 2016 - Fabio Della Pergola

Un Medio Oriente libero da sciiti

Come sempre in Medio Oriente le cose che appaiono sono solo una piccola porzione di quelle che si muovono davvero.

Quello che si è visto, in questi ultimi anni, è il Califfato islamico. Vale a dire una strana accozzaglia di spietati tagliagole che, per molti e comprensibili motivi, ha trovato facili via d’accesso in un mondo reso vuoto - politicamente e militarmente - dalla grande guerra al terrore di Bush figlio (ossessionato da armi di distruzione di massa decisamente inesistenti).

Ed ha trovato, per gli stessi motivi, terreno fertile fra le stremate popolazioni di quella stessa area che va dai confini dell’Iraq sciita del sud (ormai saldamente al potere a Baghdad) alla frastagliata linea di confine del Kurdistan iracheno.

L’Isis, ormai lo sappiamo, costituisce il riscatto sunnita contro un potere sciita che stava saldandosi dai confini dell’Afghanistan - attraverso l’Iraq e la Siria di Assad - fino alle coste mediterranee di un Libano dominato dalla forza politico-militare di Hezbollah.

Non è un mistero che dietro l’Isis ci siano soldi ed armi sunnite: del Qatar, dell’Arabia Saudita e di chissà quali altri simpatizzanti meno propensi a farsi vedere; ma c’è anche la compiacente accondiscendenza della Turchia di Erdogan in pieno delirio di onnipotente protagonismo, fino ad azzardare l’abbattimento di un jet russo oltre che la solita, prevedibile, strage di curdi. Né manca il solerte appoggio da lontano di un Egitto impegnato a strangolare definitivamente, dentro e fuori i suoi confini, la Fratellanza Musulmana (che è sunnita, ma alleata di Hezbollah in funzione antiisraeliana).

Ora, dopo l’impiccagione freddamente portata a termine dai Sauditi ai danni di oppositori sciiti e dopo la scontata reazione degli iraniani, un nuovo pericolosissimo fronte si apre inaspettatamente ai confini meridionali del Libano dove una pattuglia israeliana è stata colpita da ordigni piazzati da Hezbollah.

Alcuni parlano di “vendetta” del movimento sciita libanese contro Israele, accusato dell’assassinio di Samir Kuntar, un terrorista pluriomicida - diventato poi un alto esponente di Hezbollah - liberato otto anni fa in uno scambio di prigionieri. L’uccisione è avvenuta qualche settimana fa alle porte di Damasco e fonti del movimento libanese ne hanno ritenuto responsabile Israele, anche se l’attentato è stato rivendicato dal Free Syrian Army, una delle formazioni armate siriane che combattono contro il regime di Assad.

Visti gli avvenimenti successivi, anche se non è impossibile pensare che Israele abbia colpito a distanza di anni un pluriomicida condannato a quattro ergastoli per l’uccisione di poliziotti e civili israeliani, compresa una bambina di quattro anni, pare molto più sensato chiedersi se l’uccisione di Kuntar non rientri piuttosto fra le cose che non sono quello che sembrano.

Vale a dire che la verità della sua morte non sia da cercare più tra mani amiche dei sauditi che tra quelle vendicative degli israeliani.

Che l’Arabia Saudita e gli emirati si siano infilati in un pericolosissimo braccio di ferro con l’Iran, ben più potente militarmente, senza coprirsi le spalle coinvolgendo possibili, per quanto impresentabili (agli occhi dei musulmani), alleati sembrerebbe davvero incredibile.

L’improvvisa apertura di un fronte caldo israelo-libanese appare quindi un interesse saudita ben più che israeliano. Allo stato ebraico stare alla finestra guardando i suoi nemici storici, sunniti o sciiti, che si scannano fra di loro non può che far piacere.

Ma la latente alleanza fra Israele e Arabia Saudita non sarebbe poi una novità essendo già stata sperimentata con la decisa, quanto impotente, opposizione dei due paesi all’accordo con Teheran sul nucleare. E a Gerusalemme qualcosa di traverso è andato in quell'occasione.

Se poi volessimo cercare altri strani movimenti li potremmo trovare ad Ankara dove il premier turco si è improvvisamente lanciato in aperture tutt’altro che prevedibili verso lo stato ebraico. “Israele ha bisogno della Turchia, tanto quanto la Turchia ha bisogno di Israele”. Lo ha sostenuto pochi giorni fa, facendo una virata di 180 gradi rispetto alla rottura di rapporti fra i due paesi dopo l’incidente della Mavi Marmara.

Non è solo la necessità di gas, che la Russia sarà decisamente restìa a vendere ai turchi, ma di cui Israele ora dispone in abbondanza dopo la scoperta di immensi giacimenti sottomarini. Quello che ha spinto Erdogan all’imprevedibile apertura potrebbe essere interpretato come una conferma che una Grande Tenaglia si sta stringendo attorno alla enclave sciita libano-siriana. E che molti - fra i sunniti - vorrebbero Israele, con tutto il suo deterrente militare, schierato al loro fianco. E chissenefrega dei palestinesi.

Nel mezzo ci sarebbe anche il turbolento Califfato, ma quello è - qualsiasi cosa se ne pensi in Occidente - il problema minore. Una volta giocato il grande gioco tra sunniti, sciiti, ottomani e israeliani, i conti con l’Isis saranno regolati poi nel giro di poche settimane.

Quello che conta, al di là delle ambizioni da “scontro di civiltà” che possono animare davvero i fanatici seguaci del Califfo dalle bandiere nere, è il futuro assetto del Vicino Oriente.

Che dovrà essere libero da sciiti. Così si vuole a Ryad, ad Ankara, al Cairo, forse a Gerusalemme (ma con qualche non insensata simpatia filorussa) e forse anche, ma con qualche obamiana titubanza, pure a Washington.

Piccolo problema: non è così che la vede Ras-Putin. E il problema potrebbe non essere poi così piccolo.




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